Convegno “Antifascismo e Resistenza nel salernitano”: Il ruolo dei confinati

Cacciatore e Dini con Manzione parlano di Resistenza, di Antifascismo, di partigiani e del ruolo dei confinati politici ad Eboli e nel salernitano.

Nell’ambito del Convegno organizzato dal “Giornale di Eboli“, “dall’Antifascismo alla Resistenza: il ruolo dei confinati politici…“, la presentazione dei libri di Fabio Ecca e Ubaldo Baldi.
Gli interventi dei Vari relatori sono riportati a fondo pagina, man mano che ci perverranno.

Convegno Giornale di Eboli 1

EBOLI – Si è tenuto ad Eboli nella sala delle conferenze della Scuola Media G.Romano in via V. Veneto alle ore 17,30 il Convegno dal tema …….”dall’Antifascismo alla Resistenza: il ruolo dei confinati politici a Eboli e nel salernitano”, organizzato da Benito Engenito, editore del “Giornale di Eboli” diretto da Attilio Mancini. L’incontro è stato anche l’occasione per presentare le due ultime fatiche di Ecca e Baldi.

Il convegno moderato da Antonio Lioi, editorialista del “Giornale di Eboli”, ha preso spunto dalle riflessioni riportate nel libro del giovane Fabio Ecca e in quello di Ubaldo Baldi, alle quali hanno dato il loro contributo, dopo il saluto del padrone di casa il dirigente scolastico Rosario Coccaro: Giuseppe CACCIATORE, Vittorio  DINI, Giuseppe MANZIONE, Martino MELCHIONDA, Fabio ECCA e Ubaldo BALDI, per analizzare il periodo più brutto del secolo scorso, della storia del nostro paese e che  dovremmo augurarci, attraverso la memoria e la narrazione dei fatti di quel tempo, come è stato auspicato dallo stesso Cacciatore, di trasmettere alle giovani generazioni per evitare di cadere nel futuro in tranelli che mistificano storia, religione, principi politici, sociali e razziali.

…….”dall’Antifascismo alla Resistenza: il ruolo dei confinati politici a Eboli e nel salernitano”, in questo titolo che si è dato all’evento, vi sono tutte le considerazioni di quanto i due autori hanno voluto rappresentare nei loro scritti.

Considerazione che vanno ben oltre i fatti stessi che sono stati narrati dalla storia, e che tendono per la prima volta ad umanizzare quegli eventi legati al ventennio Fascista, alla Resistenza opposta da migliaia di coraggiosi, al ruolo che molti nostri conterranei hanno avuto nella lotta contro il Fascismo, alle lotte di singoli e successivamente dei gruppi, alle pagine dolorose ma bellissime e che hanno fatto emergere l’Antifascismo come modello ispiratore verso ogni forma di prevaricazione delle libertà e delle coscienze, al ruolo che hanno avuto i confinati politici, al ruolo che hanno avuto i nostri conterranei nella resistenza e alla lotta contro il Fascismo. Ci hanno fatto conoscere eroi nati ed eroi per caso ma non per questo minori.

Un modo nuovo di raccontare che è stato sottolineato dai vari interventi di Manzione, Ecca, Dini, Baldi, Cacciatore e Melchionda, attraverso anche il ricordo vivido di alcune personalità di quel tempo, come  il Gen. Dino Philipson o Mario Garuglieri, il ciabattino “abbeveratosi” durante la sua prigionia, alla fonte di Antonio Gramsci, e al ruolo di formatore  della classe politica, che Garuglieri ha avuto e dalla quale sono emersi quelli che poi che hanno dato vita ai fermenti politici rinnovatori nella nostra provincia e nel meridione, come : Abdon Alinovi, Giuseppe Vignola, Antonio Cassese, Vincenzo Aita Senior e lo stesso Giuseppe Manzione.

CRISTO SI E’ FERMATO a Eboli? e PRIMA CHE ALTRO SILENZIO ENTRI NEGLI OCCHI, le due fatiche di Fabio Ecca e Ubaldo Baldi, analizzano la stessa storia ma in modo diverso: il primo parla dei confinati politici ad Eboli e Aliano; il secondo, racconta dei Salernitani perseguitati, partigiani, ribelli, combattenti e morti per la Liberazione, citando anche alcuni ebolitani.

E’ inutile sottolineare che il Convegno ha toccato in maniera originale ma densa di riferimenti quel periodo storico, che oggi ad opera di nuovi revisionisti si tenta a presentare il Ventennio e la dittatura del Ventennio ispirata dal Nazional-Fascismo, a differenza del Nazismo, come il “Fascismo dal volto umano“, una sorta di “Fascismo alla Matriciana“, si tende a minimizzare la portata e gli effetti, che invece non possono essere affatto sottovalutati o tanto meno dimenticati.

Il Convegno è riuscito in maniera perfetta a rappresentare il messaggio dell’alimentazione del ricordo, e i relatori con i loro spunti, che saranno riportati integralmente sia in maniera scritta che VIDEOREGISTRATA sul Canale You Tube di POLITICAdeMENTE e sullo stesso sito, alla sezione dedicata alla Web TV, hanno trasformato l’evento storico in un  momento culturale e letterario di grande profilo, specie riguardo alle riflessioni, oltre che degli autori dei libri, dalla testimonianza di Manzione e il contributo di Melchionda, alla presenza e alle considerazioni-riflessioni del prof. Vittorio Dini, Direttore del Dipartimento dell’Università di Salerno di Sociologia e Scienza della Politica, e del Direttore del Dipartimento di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università “Federico II” di Napoli prof. Giuseppe Cacciatore, Accademico dei lincei.

Eboli, 27 novembre 2010

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Foto gallery

A. Lioi-G. Cacciatore-M. Melchionda-V. Dino-F. Ecca-G. Manzione-U. Baldi

Giuseppe Cacciatore-Martino Melchionda-Vittorio Dini-Fabio Ecca
Giuseppe Cacciatore

Giuseppe Manzione

Fabio Ecca

Ubaldo Baldi

Gennaro Giordano Antonio Lioi

Giuseppe Manzione Fabio Ecca

Gli INTERVENTI

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Giuseppe Manzione

A Ubaldo Baldi e a Fabio Ecca dobbiamo veramente essere grati per il contributo che, con le loro ricerche e con la pubblicazione di questi due volumi (*), essi  offrono a rinnovare il ricordo di un periodo  tra i più tragici della nostra storia quale è stato il ventennio fascista con il suo carico di violenze liberticide e di persecuzioni,  e per non dimenticare quale è stato il prezzo di vite umane pagato, anche da tanti nostri conterranei salernitani, protagonisti della lotta antifascista, perseguitati, partigiani, che hanno combattuto per liberare l’Italia dall’oppressione del fascismo e riconquistare il nostro Paese alla libertà e alla democrazia.

D’altra parte, richiamare alla memoria queste vicende  che per responsabilità di una certa cultura o pseudo tale, un poco anche per responsabilità della scuola e di chi ne programma i contenuti educativi, purtroppo non dicono molto a tanta parte delle giovani generazioni,  è oggi più che mai un bisogno delle coscienze democratiche  e un atto che si deve ai nostri padri e ai nostri fratelli maggiori, “prima che altro silenzio entri negli occhi”, dice giustamente Ubaldo già nel titolo del suo bel libro, ripercorrendo  il contributo che tanti eroici nostri conterranei dettero alla lotta antifascista e alla resistenza.

Sembrano, infatti, andare di moda revisionismo e negazionismo  in tempi come questi nei  quali si va mettendo in discussione l’immensa atrocità dei campi di sterminio nazisti e delle camere  a gas, la persecuzione degli ebrei perpetrata in nome della purezza della razza inventata dalla follia di Hitler e da Mussolini in Italia.

In tema di negazionismo, naturalmente,  non poteva non metterci di recente qualcosa di suo anche il nostro presidente del Consiglio, che facile come è alle battute, con evidente difficoltà  a tenere la lingua a freno, ci ha fornito la sua bella interpretazione dei motivi per i quali migliaia di oppositori del fascismo, operai, artigiani, intellettuali,  vennero condannati al confino nelle isole o in località sperdute della penisola.

Il nostro presidente del Consiglio, beato lui, ci ha fatto sapere che la polizia fascista, i tribunali speciali creati a tale scopo, mandavano costoro a fare villeggiatura a spese dello Stato.

Ora, che non si trattasse di villeggiatura è ben noto. Quei luoghi di villeggiatura erano per gran parte piccoli Comuni disagiati dell’entroterra meridionale, dove la vita dei confinati, sradicati dai loro ambienti di origine, dalle loro occupazioni e quasi sempre dalle loro famiglie, era messa a dura prova da difficoltà e sofferenze di ogni genere che costringevano talvolta a chiedere sussidi per fronteggiare le precarie condizioni economiche o di salute in cui erano costretti,  quando non anche a rivolgere domanda di grazia alle autorità fasciste,  con richieste che spesso venivano puntualmente respinte o ignorate   perché,   nella logica del regime, gli oppositori andavano umiliati e possibilmente piegati fino all’abiura delle proprie idee.

Fabio Ecca, attraverso   attente ricerche di archivio, ci dà una ricostruzione puntuale delle condizioni di vita  dei confinati politici, riflettendo anche sui motivi che inducevano i tribunali speciali e la polizia fascista a scegliere una località piuttosto che un’altra come luoghi di pena  per gli oppositori del regime.

E con riferimento a  queste scelte e alle condizioni di vita dei confinati  Ecca prende in esame due località in particolare, Eboli in provincia di Salerno  e   Aliano  in provincia di Matera, due realtà completamente diverse tra loro :  Eboli centro notevolmente progredito, economicamente sviluppato, culturalmente avanzato, terra di confine tra un Mezzogiorno sufficientemente dinamico e un entroterra appenninico arretrato e chiuso ad ogni forma di civiltà,   di cui appunto Aliano,   terra di pastori, di braccianti e di contadini poveri, era  esempio evidente;  una realtà che Carlo Levi mirabilmente descrive nel suo Cristo si è fermato a Eboli.

Per la verità anche nella vicina Campagna, sede peraltro di un campo di concentramento per centinaia di ebrei vittime delle leggi razziali promulgate nel  ‘38 , furono mandati al confino diversi oppositori del regime fascista, tra i quali, come ha ricordato  l’amico Vittorio Salemme in una nota apparsa recentemente nel periodico I Fatti di Ornella Trotta,  due personalità  eccezionali,  eccezionali per il ruolo avuto nella storia del nostro Paese: Ferruccio Parri, che sarà tra i capi della Resistenza e presidente del Consiglio dei ministri nel primo governo dell’Italia liberata,  e Fabrizio Maffi, comunista, già  personalità di spicco del Partito socialista nel primo novecento, deputato per più legislature tra il 1913 e il 1924, più volte arrestato e condannato ad anni di carcere e di confino per la sua attività politica.

Ma diciamo di Eboli,  dell’opposizione antifascista nella nostra città  e del ruolo dei confinati.

Un prima considerazione va fatta in proposito e riguarda il carattere popolare dell’antifascismo ebolitano,  che aveva radici   nei sentimenti di rivolta contro le malversazioni dei signori locali,  i galantuomini, che amministravano la cosa pubblica perseguendo interessi di parte,  e nella plurisecolare lotta per il possesso e l’uso della terra come bene di uso civico,  sentimenti di rivolta spesso sfociati in atti di aperta ribellione contro gli agrari, usurpatori di vaste proprietà demaniali, i quali nella coscienza popolare erano in pratica simbolo di una oppressione odiosa sulla classe dei cafoni, dei meno fortunati, dei braccianti e dei contadini poveri.

La città si trovava divisa in gruppi sociali contrapposti, da una parte ceti popolari ansiosi di miglioramento delle proprie condizioni di vita  e  dall’altra ceti  di piccola borghesia urbana,  notabilato agrario  e  ceti commerciali  arricchiti con abili attività speculative,  tenaci avversari di ogni innovazione.

Contrasti sociali questi che vennero acquistando via via, soprattutto negli anni della grande guerra e nel primo dopoguerra, anche uno spiccato carattere politico che si fece più acuto con l’avvento del fascismo.

L’Amministrazione democratica del generale Giuseppe La Francesca, che nel 1920 aveva vinto le elezioni con il sostegno dei ceti popolari e con  l’appoggio degli esponenti più in vista delle organizzazioni contadine e bracciantili,    osteggiata dagli  agrari  e dai ceti benestanti più retrivi confluiti nel fascismo, nel 1923  fu sciolta con decreto prefettizio su pressioni di questi gruppi.

Il sindaco La Francesca, esponente di una delle più cospicue famiglie aristocratiche di Eboli,  di tradizioni liberali (**) fu addirittura accusato di condotta bolscevica  e contro i suoi sostenitori fu scatenata ogni forma di persecuzione.

Esemplare fu la vicenda di uno dei capi più in vista del movimento popolare, Berniero Manfredi, artigiano ebanista di grande valore, coraggioso organizzatore sindacale e difensore dei diritti della povera gente. Denunziato e arrestato per la sua attività politica fu costretto nel 1924 ad andar via da Eboli ed emigrò  in Algeria,  dove militò nelle file del partito comunista, e lì, nel 1936, da sicari fascisti  fu assassinato in circostanze misteriose. Del delitto dette notizie  lo stesso Consolato di Algeri,  riferendo che  il partito comunista  algerino aveva  partecipato ai funerali solenni organizzati in suo onore.

Esponenti del partito comunista, socialisti, liberali, furono sottoposti qui a pressioni e persecuzioni di ogni genere, licenziati dai luoghi di lavoro, tenuti sotto costante controllo dalla polizia.

Penso a Vincenzo Maurino, licenziato dal Comune ormai fascistizzato, penso a Carmine Fulgione, licenziato dalle Ferrovie, a Olindo Cuomo, a Rosario Latronico, Vincenzo La Padula, agli Altieri.

E’  giusto, tuttavia, ricordare che ad onta di tante persecuzioni  minacce  e violenze, l’antifascismo ebolitano, pur nei limiti  e nelle difficoltà create dal regime liberticida imperante, rimase vivo nelle coscienze di quanti più attivi erano stati nelle battaglie politiche e civili del primo dopoguerra; penso, al vecchio Vincenzo Aita, contadino, che sarà candidato comunista alla Costituente nelle elezioni politiche del 1946,  e poi ai Vignola, famiglia di tradizioni socialiste, ai Vacca, liberali, ai Romano Cesareo, al gruppo del La Francesca con i fratelli Albano che non fecero mai mistero dei loro sentimenti, penso al gruppo di operai e artigiani che di sera o nei giorni di festa si riunivano nella sartoria di Salvatore D’Onofrio per giocare a tressette, ma anche per discutere di politica, alimentando la loro tenace speranza in un domani migliore, in una Italia libera e democratica. Tutte persone, queste, che ho conosciuto da vicino e che nutrirono la mia prima giovinezza di valori e speranze che non ci dava la scuola e che mi portarono ad aderire all’età di sedici anni, nell’inverno del ’43, al partito comunista.

Questo il clima nel quale vennero a trovarsi i confinati politici a Eboli.

Ve ne furono mandati qui ventinove,  ricorda Ecca,  persone di diversa provenienza ed estrazione sociale e di diversa età.

Allontanato dal paese di origine per il solo fatto di avere pronunziato parole contro il regime, a metà degli anni ’30 fu obbligato a trasferirsi nella nostra città, in una sorta di domicilio coatto, il capo stazione Pio Jacazzi, che all’indomani della liberazione ritroviamo tra i componenti più attivi della locale sezione del Comitato di Liberazione, di cui fu uno dei primi segretari.

Alcuni confinati  rimasero a Eboli poco tempo o per condono della pena residua o perché  trasferiti in altre località.  Per altri, come l’on. Dino Philipson, fiorentino, deputato liberale  negli anni 1915-1922,  la permanenza durò piuttosto a lungo. Dopo la caduta del fascismo, quando si costituì il governo di Salerno  Dino Philipson  fu Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, poi componente della Consulta  Nazionale, e molto si adoperò in favore della nostra città quasi interamente distrutta dai bombardamenti angloamericani.

Ma chi ha lasciato un segno profondo della sua permanenza a Eboli è stato Mario Garuglieri,  mandato  qui nel 1938 dopo un periodo di confino ad Agropoli e dopo avere scontato sedici anni di carcere duro in diverse località,  ultimi anni dei quali  nel carcere di Turi, in Puglia, nello stesso carcere in cui si trovava ristretto il capo del partito comunista d’Italia, Antonio Gramsci,   con altri compagni di pena.

Garuglieri conosceva Gramsci dagli anni lontani della costituzione del partito comunista nel quale aveva militato fin dalla fondazione nel 1921 dopo un lungo impegno politico nel partito socialista fiorentino,

Una vita esemplare di combattente antifascista quella di Garuglieri, mai piegato al regime anche negli anni più difficili della sua esistenza e nonostante  le sue precarie condizioni di salute.

Fabio Ecca nel ricordo di Garuglieri ci fa sapere che questi fu tra i pochi del gruppo dei confinati in Eboli e ad Aliano che mai chiese aiuti alle autorità fasciste,  né mai fece domanda di grazia.

Nel suo bel libro Ecco riporta  in fotocopia un drammatico appello pubblicato nell’agosto del 1929 dall’ Humanité,  giornale del partito comunista francese,   nel quale si denunziavano le condizioni di Garuglieri  in pericolo di morte in carcere e se ne chiedeva  la liberazione, come  per Umberto Terracini ed altri detenuti politici.   Appello naturalmente inascoltato dalle autorità fascista.

Garuglieri, il maestro calzolaio fiorentino, il comunista combattente antifascista, tenace e irriducibile nel suo impegno politico e nel suo onore di militante, era diventato un caso internazionale.

Di lui Fabio ci parla in più punti del suo libro, mentre  un ritratto compiuto e affettuoso ce ne ha lasciato Abdon Alinovi nel volume apparso qualche anno fa intitolato “Alle radici del nostro presente “.

La brevità del tempo a cui Lioi, il nostro amabile moderatore,  giustamente ci richiama  e la necessità di non abusare della vostra pazienza,  mi impongono a questo punto di andare  alla conclusione del mio intervento. E allora, anche se di  Garuglieri dovremmo parlare veramente più a lungo per quello che lui ha rappresentato nella storia della lotta al fascismo e per quanto riguarda la sua presenza nella nostra città, dove rimase dal 1938 al 1946, mi limiterò ad aggiungere poche cose,  per dire che Mario, venuto qui a Eboli con una lunga storia personale di esperienze e di lotte rivoluzionarie e con una formazione politica originale che aveva maturato nel carcere di Turi, nella comunanza di vita con Antonio Gramsci, vi continuò a svolgere,   pur nella clandestinità, una intensa attività politica raccogliendo intorno a sé, nella sua bottega di calzolaio, ed educandoli all’impegno civile, un gruppo di giovani   che  nel prosieguo degli anni  sarebbero stati chiamati dalle vicende politiche del nostro Paese ad assumere ruoli di grande responsabilità anche a livello nazionale, come Abdon Alinovi, Peppino Vignola, Giovanni Perrotta, Antonio Cassese, e diventando lui stesso all’indomani della caduta del fascismo  protagonista di primo piano nelle vicende politiche salernitane ed ebolitane dando un contributo notevole alla ripresa della vita democratica, alla ricostruzione e alla rinascita della città devastata da immense rovine e con problemi di eccezionale gravità, con una attenzione da parte sua sempre rivolta ai bisogni dei più diseredati, agli operai, ai contadini, promuovendo azioni di lotte sindacali e sollecitando interventi da parte del governo che dopo la liberazione si era costituito a Salerno, presso il quale molto valse anche  il suo prestigio personale.

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(*)   – Ubaldo Baldi, Prima che altro silenzio entri negli occhi, Quaderni dell’Istituto  “Galante Oliva”, n.1- Aprile 2010.

– Fabio Ecca, Cristo si è fermato a Eboli? – I confinati politici a Eboli e Aliano,  Gedit edizioni, Bologna 2009.

(**)  – Il padre, Francesco La Francesca, insigne giurista, fu protagonista dei moti antiborbonici nel Salernitano. Il 6 settembre del 1860 ospitò nella sua casa in Eboli Giuseppe Garibaldi.

Il nonno materno Giuseppe Avezzana aveva partecipato ai moti del 1820-21  in Piemonte subendone una condanna a morte alla quale  era sfuggito riparando prima in Spagna, poi in Messico, dove nel ’29 partecipò alla guerra di  indipendenza di quel paese. Rientrato in Italia nel ’48 combatté contro l’Austria nella prima guerra di indipendenza. Dopo la sconfitta di Novara lo ritroviamo a Roma con Mazzini e Garibaldi a difendere la repubblica romana assumendovi la responsabilità di  ministro della guerra. Nel 1860 fu al seguito di Garibaldi nella spedizione dei Mille  e dopo l’unità d’Italia fu più volte deputato al Parlamento nazionale.

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