I diritti della donna dalle rivolte degli anno 70 alla violenza dei tempi moderni. Quando la cronaca nera si tinge di “rosa” si parla di femminicidio.
128 donne, tra i 15 e gli 89 anni, uccise in Italia. Un ‘Bollettino di guerra’ solo 2013. Un numero destinato ad aumentare inesorabilmente nel 2014. Di 1504 vittime che hanno contattato il ‘Telefono Rosa’, 1290 sono italiane, 214 straniere, tantissime nemmeno si azzardano a denunciare.
di Annamaria Forte
per (POLITICAdeMENTE) il blog di Massimo Del Mese
ROMA – “Femminicidio” è un termine che tristemente e prepotentemente è entrato nella quotidianità. I dati in Italia sono infatti impietosi perché ogni anno quasi duecento donne vengono uccise, una ogni tre giorni. Molti sono gli interrogativi che sorgono, ma più di tutti si dovrebbe analizzare, se si vuole seriamente comprendere il fenomeno, il ruolo della donna, il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa e, non per ultimo, il ruolo dell’uomo nella società di oggi.
L’attenzione che i mass media hanno negli ultimi anni rivolto al tema della violenza sulle donne è certamente cresciuto tanto che la cronaca quasi quotidianamente ci bombarda con notizie di questo tipo. Da Nord a Sud, moglie, amica o amante, è sempre la stessa storia a fare notizia: uccisa.
I mass media giocano un ruolo essenziale in questa costruzione del ruolo della donna perché offrono schemi per interpretare la realtà nonché la stessa violenza sulle donne. Il loro potere è tale che si è indotti a pensare che influiscano anche sulle politiche di lotta a tale fenomeno perché posso indurre i cittadini a chiedere determinati interventi anziché altri. La figura della donna compare nei telegiornali, per esempio, prevalentemente come vittima di casi di cronaca nera. Esse appaiono esseri fragili, esposte alla violenza e al sopruso, cioè con una identità opposta all’immagine giovane e splendente offerta dalla pubblicità e dall’intrattenimento.
LA CONDIZIONE DELLA DONNA. La discriminazione della donna è stata ed è ancor oggi uno dei fenomeni negativi che colpisce tutto il mondo. La sua condizione ha subito molti cambiamenti, spesso in positivo, ma permangono ancora molti problemi. Nel passato la donna non poteva esprimere le proprie idee e non aveva una cultura, era considerata quasi nulla rispetto all’uomo tanto che si parlava di sesso debole. Ancora oggi in alcuni Paesi è sottomessa all’uomo e l’uguaglianza dei diritti è lontana. Nei Paesi più sviluppati, le donne, per raggiungere una posizione sociale, hanno dovuto lottare a lungo e ci sono state molte battaglie per la loro emancipazione.
LE DIVERSE MODALITA’ DI VIOLENZA . Ancora oggi le stragi di violenza maschile sulla donna vengono codificate dalla cronaca con le parole “omicidio passionale”, “d’amore”, “raptus”, “momento di gelosia”, quasi a testimoniare il bisogno di dare una giustificazione a qualcosa che è in realtà mostruoso.
Il fenomeno della violenza maschile sulle donne è un argomento molto importante e delicato, erroneamente considerato, soprattutto dalle popolazioni occidentali, come lontano, come qualcosa che ormai non ci riguarda più. Basta prendere in considerazione la nostra terra, in Italia, infatti, fino a non molti anni fa, l’ uomo che uccideva la moglie o la fidanzata “per gelosia” poteva contare su una attenuante giuridica: il movente “d’ onore“, grazie alla quale se la cavava con pochi anni di prigione.
E’ un vero e proprio ‘bollettino di guerra’ quello che a partire dal 2013 ha ‘contato’ 128 donne, tra i 15 e gli 89 anni, uccise in Italia, destinato ad aumentare inesorabilmente nel 2014. I dati presentati da ‘Telefono rosa’, che ha ‘fotografato’ la sua attività di sostegno alle donne vittime di violenza. La ricerca ha analizzato i dati relativi alle 1504 vittime che hanno contattato il ‘Telefono Rosa’ – associazione da 26 anni in prima linea nella lotta contro la violenza di genere – e due subcampioni di 1290 donne italiane e 214 straniere.
I risultati “all’interno di una situazione che risulta immutata negli anni”, hanno evidenziato uno spostamento dell’età media delle vittime, con un aumento della fascia di età tra 45 e 54, passata dal 25% del 2012 al 28% dal 2013al 2014, anche se – rileva la ricerca – per la prima volta in 7 anni si registrano 15 vittime di età inferiore ai 15 anni. Le donne straniere s’imbattono nella violenza prima delle italiane: 2 donne su 3 hanno un’età compresa tra 25 e 44 anni (il 31% ha tra i 25 e i 34 anni e il 35% ha tra i 35 e i 44 anni). Aumenta anche l’età media dei carnefici: il segmento di violenti di età superiore ai 55 anni (il 17% ha tra i 55 e i 64 anni e il 10% oltre i 65 anni) passa infatti dal 22% del 2012 al 27% di quest’anno. La quota più ampia di aggressori, pari al 58% del campione, resta comunque concentrata nell’età di mezzo, tra i 35-44 anni (29%) e i 45-54 anni (29%). Il restante 15% di violenti si annida tra i giovani con un’eta’ inferiore a 34 anni.
I dati della ricerca di Telefono Rosa sfatano inoltre, ancora una volta, il pregiudizio che lega l’insorgere della violenza all’arretratezza culturale: il 21% delle donne è laureata e un ulteriore 53% ha un diploma. Non si osservano inoltre differenze di scolarizzazione significative tra donne italiane e straniere. “Il dato – si commenta nel Report – invia un messaggio importante a chi si occupa di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza di genere: non è solo all’interno di contesti degradati che bisogna individuare i carnefici e non basta l’emancipazione culturale a proteggere le potenziali vittime”.
L’indipendenza economica resta invece un fattore fondamentale di affrancamento dal contesto violento. Lo conferma anche quest’anno l’ampia quota di vittime disoccupate (19%), inferiore solo a quella delle impiegate tra le italiane (23%) e a quella delle colf/badanti tra le straniere (27%). L’espulsione delle donne dal mercato del lavoro porta quindi con sé anche la tragica conseguenza di una maggiore fragilità, psicologica ed economica. Le vittime restano assoggettate al proprio carnefice pur di sopravvivere. Coerentemente con l’aumento dell’età media delle vittime, aumenta rispetto agli anni scorsi anche la quota di pensionate. Per quanto riguarda i carnefici, il 64% ha un grado d’istruzione medio-alto: il 44% è diplomato e il 20% laureato. In molti casi la violenza si nasconde anche tra quanti avrebbero il compito di soccorrere le vittime di violenza: infermieri, vigili, medici, Forze dell’Ordine. Le posizioni professionali più rappresentate dai violenti sono gli impiegati, anche di alto livello (17%), gli operai (16%) e i liberi professionisti (13%). La maggior presenza sia di operai che di liberi professionisti nulla dice rispetto alla possibilità di riconoscere gli aggressori dal tenore di vita o da quella che, con contorni sempre meno nitidi, si definisce come classe sociale.
Ma cosa si può fare per contrastare questo terribile e crescente fenomeno radicato nella nostra cultura?
Qualcosa è stato fatto, negli ultimi tempi in particolare: oltre alla nascita dei centri anti-violenza, dotati spesso anche di case-rifugio, in Italia sono stati istituiti corsi di formazione dei carabinieri, mentre in tutto l’Occidente è stato introdotto il reato di “femminicidio“, con il quale si tenta di passare il messaggio che uccidere una persona perché ci si ritiene proprietari del suo corpo, della sua vita, della sua libertà, è un’aggravante giuridica, e non più una attenuante. Sono grandi passi avanti, ma purtroppo manifestare il dissenso probabilmente non cambierà a breve il fenomeno, non basta una legge per salvaguardare il sesso femminile, ma col tempo riuscirà forse a cambiare la cultura e le mentalità. È in questo senso che occorre impegnarsi: serve soprattutto maggiore educazione famigliare e scolastica, quella formazione culturale che dovrebbe far capire che tale violenza maschile non è legittima, ma conseguenza di pregiudizi legati alla virilità, all’onore e ai diversi ruoli maschili e femminili nella coppia e nella società; che “amore” non significa possesso della donna cui chiedere obbedienza assoluta, negandole la libertà dei sentimenti. Indispensabile pure spingere le spose o le fidanzate a non sottovalutare i primi segnali di violenza, a non aver paura di denunciare, benché ciò sia spesso rischioso. Si tratta quindi di modificare un fenomeno culturale che priva di rispetto il corpo delle donne, facendole sentire inferiori moralmente e socialmente. Questi sono limiti culturali, stereotipi sociali, assurdità che non si possono più tollerare. È ora di dire basta, e siamo noi donne a dover fare il primo passo, a batterci per il rispetto del femminile. Abbiamo il compito di educare i nostri figli nel modo giusto, di premere sulla società per consentire il raggiungimento dell’obbiettivo, per ottenere uguaglianza giuridica, politica, ma soprattutto sociale.
Roma, 21 dicembre 2014
il movimento femminista prosegue tuttora la sua lotta contro ogni forma di violenza subita dalle donne. Nella sua visione acquista inoltre rilevanza l’effettiva considerazione dei modi di vita attuali della donna. Sono problemi a cui le leggi possono porre qualche rimedio, ma che saranno risolti soltanto attraverso un’evoluzione profonda della nostra società.
Non c’è da meravigliarsi se la condizione femminile oggi è allarmante. Mancano tutti i presupposti per una parità di genere e manca l’elemento fondamentale: il rispetto. Parolona grossa che di questi tempi riecheggia sulla bocca di tutti per una mera figura estetica ma, in realtà, d’importanza basilare per ricostruire quello che chiaramente è andato in pezzi: il concetto di dignità e di libertà.
La parità dei sessi è stata raggiunta solamente sulla carta nonostante anni di lotta e rivendicazioni.
La donna continua ad essere considerata per molti, un elemento di proprietà senza possibilità di sviluppo e di accrescimento personale in quanto costretta a casa e con i figli, sottoposta a condizionamenti di vario genere che ne limitano la libertà d’azione. Fino a poco tempo fa, il valore di una donna veniva misurato solo per gli aspetti riproduttivi e per la sua propensione femminile a pensare prima ai bisogni e alla salute del marito e dei familiari e poi ai propri.
La considerazione che molti uomini hanno delle donne, nasce da un archetipo antichissimo, da una cultura estremamente diffusa in tutto il mondo. Una cultura che ha posto la donna, procreatrice di vita, come un oggetto di potere; è proprio il potere e questa presunta superiorità maschile a tradursi, a volte, in violenza psicologica e/o fisica contro la donna.
credo che la ragione dell’aumento dei femminicidi sia l’inasprimento delle pene relative.Ora chi fa violenza ad una donna cerca anche di sopprimerla quale unica testimone,capace di denunciarlo:l’aggressore non ha alternativa, deve anche sopprimerla.
Necessita un accurato studio del grafico ,andamento dei femminicidi in rapporto con le date di inasprimento delle pene Si deve escogitare un’alternativa all’inasprimentro delle pene, che ancora non saprei.