Il pensiero “Del Mese”: “Basta curatori ‘archistar’ la cui missione principale è sempre quella dell’auto-celebrazione. Coinvolgere giovani gruppi internazionali”.
La Biennale di Venezia? Per Gabriele Del Mese (già Presidente Ove Arup Italia): “Da rifondare per interrompere il lascito di messaggi sterili”.
di Gabriele Del Mese
per (POLITICAdeMENTE) il blog di Massimo Del Mese
ROMA – Pubblichiamo questo interessante intervento dell’Ing. Gabriele Del Mese di origine ebolitana, professionista di fama internazionale, conosciuto in tutto il Mondo per le importanti opere che ha progettato e per aver dato sostanza strutturale ai progetti più belli, più interessanti e più intriganti dal punto di vista architettonico, strutturale e innovativo del Mondo, sia della Ove Arup, uno degli Studi di progettazioni più grandi del Mondo, di cui è stato fondatore e Presidente della Ove Arup Italia, sia delle firme internzionali più prestigiose tra cui il nostro Renzo Piano, l’inglese Norman Foster, il giapponese Arata Isozaki.
Con questo suo intervento e in base alla sua più che consumata esperienza, introduce uno degli argomenti più interessanti, che riguarda soprattutto la crisi profonda di idee e di progettualità che coinvolge l’Italia, ormai vittima di se stessa e soprattuto dei suoi “grandi”, che non riescono più a dire nulla se non a parlare da soli e di se stessi, delle proprie cose in una ritualità autocelebrativa, ma senza nessuno sbocco di “scuola” per le future generazioni.
L’intervento di Gabriele Del Mese riportato nella rubrica “Il pensiero Del Mese” su PPAN, che è una piattaforma di comunicazione e networking per il costruito e che produce contenuti specialistici, portando valore aggiunto nelle relazioni e nelle opportunità che si manifestano nei settori specifici di loro competenza.
PPAN, animata da Paola Pierotti e Andrea Nonni, racconta con puntualità fatti e protagonisti dell’architettura, del design e dell’ingegneria, e nello specifico, offre un focus, essendosi appena conclusa, sulla Biennale 2014 dell’Architettura a Venezia, per cui è naturale fare qualche considerazione sul valore effettivo del messaggio che si prefiggeva di trasmetterci, di quì l’intervento che segue dell’Ing. Gabriele Del Mese, uno dei protagonisti dell’ingegneria e dell’architettura mondiale.
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Il tema scelto dal curatore è stato quello di portare all’attenzione internazionale i “Foundamentals, o Elements of Architecture”. Siamo stati invitati a riflettere sulle “cose fondamentali” che compongono l’Architettura e specificatamente su alcuni elementi figurativi e costruttivi che ne fanno parte e che possono definirla arricchendola.
La scelta di questo Tema è un ennesimo invito a tutti quelli coinvolti nel mondo dell’architettura a farsi un esame di coscienza. Forse nell’opinione del curatore la comunità degli architetti sta attraversando un lungo periodo di smarrimento in cui gli elementi fondamentali da lui proposti sono ingiustamente ignorati. Questo smarrimento, a sua volta, giustificherebbe l’allontanamento o il rigetto che a volte la comunità che ‘subisce’ l’architettura mostra nei riguardi degli architetti e delle loro avanguardie. È questo un rigetto simile a quello verso la politica che sta serpeggiando oggi in molte Nazioni.
Già dalla fondazione della Mostra nel 1980 il suo Direttore Paolo Portoghesi invitava tutti a riconsiderare ‘La presenza del Passato’ quasi ad indicare che si stava perdendo o si era persa la strada giusta. E molte delle Mostre successive hanno lamentato la perdita di Estetica ed Etica in architettura senza però mostrare segni di ravvedimento.
L’appello per un ritorno alle ‘cose fondamentali’, anche se con parole diverse, è stato un tema ricorrente di molte Biennali del passato. Negli ultimi decenni lo slogan “Back to Basics” ricorre continuamente, dalle campagne elettorali politiche a quelle religiose di ogni Paese. Segno che il malessere e lo smarrimento sociale causato dalla perdita di vista di valori ritenuti ‘fondamentali’ è un fenomeno generale della nostra era, che coinvolge inevitabilmente anche l’architettura che per sua natura è intrinsecamente connessa ai cambiamenti delle comunità. Ci si preoccupa, giustamente, di non voler perdere le cose che dovrebbero fare parte essenziale della nostra missione di ‘designers’ e costruttori.
Se così stanno le cose bisogna allora chiedersi quali sono secondo la maggior parte degli architetti i valori persi da recuperare ad ogni costo.
Difficile catalogarli perché il mestiere dell’architettura si coinvolge nell’ordinamento della vita stessa della comunità alla quale questo mestiere è o dovrebbe essere dedicato. E questo riguarda fattori che sono in continua evoluzione e che sono soggetti a dinamicità e che generano cambiamenti sociali e culturali inevitabili che non vanno ostacolati. In un certo senso l’architettura ha un bersaglio mobile e questo la rende più difficile ed allo stesso tempo più affascinante.
Se però ci si stacca dal contingente e si tenta di definire i principi che sono alla base del mestiere della progettazione architettonica e che possono quindi ritenersi fondamentali, allora forse si potrebbe tentare una definizione generale che sia al di sopra di tutte le mode architettoniche che necessariamente si sviluppano nel corso dei secoli. Si potrebbe allora dire, in forma generale, che il principio “fondamentale” che dovrebbe guidare il mestiere dell’architetto è quello di concorrere insieme all’apporto di altri contributi, a progettare e costruire un mondo migliore attraverso, appunto, l’architettura e le costruzioni.
Da questo principio scaturisce inevitabilmente un altro importante punto fondamentale, che è quello che ci dice che la professione del progettare e del costruire, dal momento che opera per le esigenze delle comunità, è necessariamente anche un impegno etico.
In effetti l’eticità del nostro lavoro di progettisti dovrebbe essere l’aspetto principale della professione architettura intorno alla quale vanno poi organizzate molte altre componenti quali l’estetica, l’organizzazione dello spazio, la sostenibilità, il recupero, il comfort, le infrastrutture, le innovazioni dei materiali, gli spazi comuni e quelli privati, il territorio e la sua protezione etc etc.
Forse è la constatazione di aver dimenticato o sottovalutato la ‘missione’ etica a favore della auto celebrazione dell’architetto stesso che genera questa inquietudine in quasi tutte le Biennali veneziane che, così spesso, hanno invocato un ritorno ai valori fondamentali della professione senza però mai fare ammenda per gli errori commessi.
C’è smarrimento e ambiguità anche in questa ultima Biennale. Ciò è palese anche dalla eccessiva percentuale di spazio e ‘focus’ dedicata ai ‘foundamentals’, individuati nei temi delle finestre, corridoi, caminetti, maniglie delle porte, solai etc. Cose queste che possono certamente rendere migliore il mondo del costruire ma che nonostante la loro importanza sono componenti e rimangono tali, e che da sole non fanno certo architettura. Lo spropositato spazio dedicato a questi elementi sarebbe più appropriato per una mostra del tipo Saie di Bologna, dove per altro sarebbe possibile vedere anche maggiori dettagli.
Per fare un paragone, è come se in un festival di musica che volesse ritrovare le sue radici o ‘fondamenta’, la gran parte del tempo, dello spazio e dell’attenzione fosse dedicato alle scale musicali, agli arpeggi ed al solfeggio. Cose queste che pur essendo importanti non fanno però ‘musica’.
La stessa mancanza di equilibrio e la stessa inquietudine è stata avvertita nella mostra in Arsenale, dove lo spazio dedicato all’architettura è praticamente limitato ad una sala con foto retro illuminate di interventi costruttivi mentre la maggior parte dello spazio viene dato alle varie arti figurative quali il cinema. Ovviamente anche queste devono far parte del bagaglio culturale dell’homo sapiens che si prefigge il miglioramento del mondo costruito. Ma pur non volendo innalzare barriere culturali, andrebbe comunque menzionato ai curatori che Venezia ospita anche una vivace Mostra del Cinema. Questa potrebbe anche essa, a sua volta, aver bisogno di un ritorno ai suoi ‘foundamentals’ ed utilizzata, ma in modo più specifico, in relazione all’architettura.
La realtà comunque è che l’architettura è profondamente in crisi e sta attraversando un periodo di smarrimento. È solo di pochi giorni fa il bruciante giudizio di Frank Gehry che l’architettura contemporanea sia per il 98% da rigettare come immondizia. Commento che richiama alla memoria la fantozziana asserzione liberatoria sulla ‘Corazzata Potiomkin’ e se questo film fosse o meno un capolavoro.
Certamente non è questo il messaggio delle Biennali veneziane, anche se spesso sono criticabili. Ma forse parte del problema risiede nella scelta dei ‘curatori’. Molti di essi, pur facendo parte di avanguardie, sono diventati troppo involuti nei loro stessi dogmi esasperati da dimenticare i principi fondamentali del loro nobile mestiere.
È lecito allora chiedersi a gran voce quale debba essere il futuro di iniziative quali la Biennale se non vogliamo che muoia o che continui a lanciare messaggi sterili.
Piuttosto che eliminarla, molto probabilmente la Biennale dovrebbe essere rifondata e rilanciata non ogni due ma ogni quattro-cinque anni. Bisognerebbe poi smettere di nominare curatori ‘archistar’ la cui missione principale è sempre quella dell’auto celebrazione. Sarebbe meglio per l’architettura e per la comunità se in futuro i curatori non fossero più individui ma studi/atelier di ‘gruppi’ di giovani progettisti da varie parti del mondo, che riportino nuovo slancio e nuova fecondità di idee.
Solo così si potrà fermare questa lunga lista di sterili proclami che continuano ad invitarci a ritornare ai valori fondamentali di questa nobile missione dimenticando però che questi dovrebbero essere principalmente il progettare e costruire un mondo migliore per la Comunità.
Gabriele Del Mese guarda la foto di Rem Koolhaas con il piccolo Superman per mano (la foto pubblicata in questo articolo è stata scattata all’apertura della mostra Art Or Sound, 4 giugno 2014 a Venezia alla Fondazione Prada. Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Prada) e si chiede “A 70 anni può veramente ispirare le nuove generazioni?”.
GABRIELE DEL MESE
Dopo gli studi classici si scrive alla facoltà di Ingegneria Civile dell’Università di Padova. Conseguita la Laurea inizia un periodo professionale in Italia operando in diverse regioni, successivamente , attirato dalle grandi sfide, nel 1973 entra nello Studio Arup e si trasferisce a Londra, incominciando così la sua “avventura” professionale. Nella sua carriera internazionale all’interno di Arup è stato responsabile per la progettazione e la costruzione di un gran numero di progetti complessi, inclusi ospedali, università, teatri, impianti sportivi, edilizia terziaria ed edifici industriali.
E’ membro della Institution of Structural Engineers (MIStructE), ingegnere abilitato sia in Italia che nel Regno Unito e membro dell’Ordine degli Ingegneri di Salerno. Fra i suoi progetti sono inclusi: Palahockey, Torino; Stazione TAV, Firenze; Il Sole 24 Ore, Milano; American Air Museum, Duxford, UK; Commerzbank HQ, Francoforte, Germania.
Nel 2004 Gabriele Del Mese riceve la Medaglia d’Oro del premio “Cittadini Illustri“, alla sua XII^ edizione. Premio istituito dalla Camera di Commercio di Salerno per rendere omaggio ai salernitani che si sono distinti ed hanno avuto successo fuori dalla provincia.
Nel 2009 è stato insignito della Laurea ad Honorem in Ingegneria Civile e Architettura presso il Politecnico di Milano.
E’ visiting professor in diversi istituti internazionali e università italiane.
Gabriele Del Mese nel 2000 fonda Arup Italia con sede a Milano e successivamente a Roma.
Promotore e sostenitore della progettazione integrata multi-disciplinare come approccio ideale per raggiungere un livello di qualità unitaria, vede nel lavoro dell’architetto, del progettista strutturale, dell’impiantista e nelle richieste della committenza la ricerca di un obiettivo comune. Egli insegna che “è l’interazione tra queste forze e l’approccio mentale che si richiede ai vari attori del processo creativo che determinano il risultato vincente: non si cercano soluzioni codificate da catalogo ma soluzioni e combinazioni necessarie per arrivare all’unica convincente per tutti.”
È questa la metodologia perseguita negli anni da Arup e che ne ha fatto un modello in termini di eccellenza e una garanzia di risultato.
Roma, 11 dicembre 2014
Da rifondare,veramente da rifonfare.Finalmente.Eutukìa !
Giustissimo, oggi si fa passare tutto per arte, la spettacolarizzazione degli ultimi anni umilia l’artista vero, compreso l’architetto di studi e talenti, guardiamo oggigiorno maggiormente il contenitore, scartandone il contenuto.