Il PUC: Un piano senza qualità, che ha generato uno scontro all’interno della maggioranza e lo scioglimento del Consiglio comunale. (Completo)
Le motivazioni risiedono nella visione politica della pianificazione o negli interessi marcati che si perseguono quando non prevale lo sviluppo armonioso e puntuale della programmazione che riesce a rispondere e a far convivere le istanze pubbliche e private ?
di Luigi Manzione
architetto
per (POLITICAdeMENTE) il blog di Massimo Del Mese
EBOLI – Con piacere pubblichiamo alcune considerazioni dell’Architetto Luigi Manzione sul Piano Urbanistico Comunale, recentemente approvato dalla Giunta municipale presieduta dall’ex Sindaco Martino Melchionda, che tra l’altro è costato la rottura politica con il gruppo di Eboli Libera che ha ritirato i suoi Assessori dalla Giunta Ilario Massarelli e Dino Norma, le dimissioni di Luca Sgroia da Presidente del Consiglio comunale e successivamente, le dimissioni congiunte con altri 13 consiglieri dei quattro di Eboli Libera, Luca Sgroia, Pietro Mazzini, Gerardo Lamanna, Mario Di Donato. Dimissioni firmate insieme alle opposizioni di destra FI, Nuovo Psi, Fratelli d’Italia e quelle di centrosinistra ed interne del gruppo dei Riformisti del PD, hanno sfiduciato di fatto il Sindaco e l’Amministrazione e provocato lo scioglimento anticipato del Consiglio e la nomina del Commissario Prefettizio.
La materia del contendere è stata appunto il PUC (Piano Urbanistico Comunale). I dimissionari ritenevano di dover soprassedere nell’approvazione del Preliminare del PUC in Giunta, nella convinzione di voler coinvolgere una più ampia platea di Partiti per uno strumento di Pianificazione così importante soprattutto in questa fase di fine consiliatura.
Il prosieguo è stato un susseguirsi di accuse che ci inducono a pensare, a giudicare da quelle che i vari contendenti politici si sono lanciate, che in quel PUC vi fossero alcuni indirizzi ed alcune scelte non condivise, oltre al fatto che si lasciava immaginare che dietro quelle scelte vi fossero interessi specifici. Accuse che non sono suffragate da denunce precise che gli stessi si guardano bene dal formularle, ma i più informati indicherebbero in alcune operazioni come quella dell’Housing Sociale, ed altre aree in alcuni PUA periferici e in alcune scelte che vedrebbero coinvolte anche soluzioni che riguarderebbero l’ISES, circa una variante di Piano chiesta per costruirvi il Centro stesso.
Ma indipendentemente dalle accuse che si lanciano, quello che a noi interessa, trattandosi di un Piano che ci coinvolge a che comunque ne dovremmo subire gli effetti, è sviluppare una discussione e semmai facendo delle analisi e delle proposte, senza escludere le critiche rispetto ad uno strumento programmatorio che comunque sarebbe sempre meglio si discutesse in ambiti più allargati invece che nelle stanze di una Giunta e con pochi intimi, indipendentemente poi se si ricorre all’evidenza pubblica per consentire agli stocheolder di poter discutere e manifestare le loro proposte e i loro interessi pubblicamente e Luigi Manzione ci offre appunto il suo punto di vista, le sue riflessioni, le sue critiche sperando possano aprire un dibattito pubblico ed arricchire la discussione e quindi quella che potrebbe essere anche una proposta.
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Il PUC: Un Piano senza qualità
Il comune di Eboli ha approvato il 25 settembre 2014 il preliminare di piano urbanistico comunale (PUC). Due giorni dopo, su questo atto è caduta l’amministrazione. Si apre ora la fase di partecipazione e confronto, con la possibilità prevista dalla normativa regionale di formulare osservazioni sullo strumento urbanistico, partorito tra mille difficoltà e in tempi biblici: un anno e mezzo per la redazione del piano strategico comunale (PSC) a partire dal conferimento di incarico del 2007; più di sette anni per il preliminare di PUC. Nella nebbia dell’attuale situazione ebolitana, l’unica certezza è che i tempi per l’approvazione definitiva faranno del PUC un’eredità, più o meno gradita, per la futura amministrazione comunale.
L’oggetto della discordia
L’interrogativo principale ha riguardato in sede politica la ragione di approvare in giunta, con una maggioranza risicata, una proposta di PUC su cui non esisteva una reale condivisione nella maggioranza stessa. Ci si è domandato se non fosse stato invece più opportuno spostarne in consiglio comunale l’approvazione, con una discussione aperta a tutte le forze politiche. Da parte dell’opposizione, prima della decadenza del consiglio comunale, si era chiesto di lasciare alla prossima amministrazione il compito di rielaborare il PUC e di condurlo all’approvazione. La legge regionale 16/2004 prevede che sia la giunta ad approvare la proposta di PUC, in quanto presuppone un ampio processo di partecipazione e concertazione a monte della sua redazione. Processo che a Eboli non ha prodotto esiti conseguenti sulle scelte, come da me evidenziato nel 2012 [https://www.massimo.delmese.net/38822/l%E2%80%99urbanistica-si-e-fermata-a-eboli-una-lettura-del-piano-strategico-comunale/]. Le modalità di coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte di pianificazione sono state comunque lontane dallo slogan che aveva segnato, nelle parole degli autori, il piano fin dagli inizi: “un progetto di urbanistica partecipata”. La passata amministrazione non aveva comunque l’obbligo di portare il preliminare di PUC in consiglio comunale; anzi sarebbe stato ben strano se lo avesse fatto, visto che lo strumento era in itinere da più di sette anni (o a riposo da un paio di anni, secondo un’altra delle versioni riferite). Un tempo decisamente lungo per ritornarvi sopra in consiglio comunale…
Oltre l’approssimarsi della scadenza del mandato elettorale, la ragione di tanta precipitazione nel condurre al traguardo il preliminare di PUC risiede probabilmente nel fatto che, in virtù del Regolamento regionale 5/2011, il piano regolatore generale (PRG) aveva perduto efficacia, essendo trascorsi 18 mesi dall’entrata in vigore del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP). Quindi a Eboli, comune privo di PUC, doveva applicarsi quanto disposto dall’articolo 9 del DPR 380/2001, comportante restrizione dei limiti di edificabilità su vasta parte del territorio. La delibera di giunta regionale 605/2013, inoltre, aveva prorogato il termine di 18 mesi per la redazione del PUC da parte di tutti i comuni della provincia di Salerno con 36 mesi dalla entrata in vigore del PTCP (marzo 2012). La scadenza slittava così a marzo 2015: sussisteva allora un problema di limitazione alla edificabilità per la perdita di efficacia del PRG, ma l’approvazione del PUC non era più una indifferibile priorità in virtù della nuova scadenza stabilita dalla regione. Anzi, date le circostanze (politiche e tecniche), con un atto di responsabilità verso la comunità, sarebbe stato senza dubbio preferibile prendere il tempo necessario per definire con maggiore approfondimento e coerenza lo strumento urbanistico, discutendo anche le diverse decisioni contenute nel preliminare approvato rispetto a quello originariamente redatto.
Il confezionamento del preliminare di PUC
I documenti che compongono il preliminare approvato a settembre scorso forniscono le linee di indirizzo per la redazione del piano comunale, sulle quali dovrebbe concentrarsi nei prossimi due mesi il processo di partecipazione alle scelte di governo del territorio. Come previsto dalle Linee guida per la redazione del preliminare di PUC (2012) elaborate dalla regione Campania e dalla provincia di Salerno, il preliminare contiene gli elaborati relativi al quadro conoscitivo, al documento strategico e al rapporto preliminare della valutazione ambientale strategica (VAS). Nel caso di Eboli, la relazione illustrativa (elaborato 2.1) – scaricabile come l’insieme del preliminare dal sito web del comune – coincide con quella del piano strategico del 2009 (Indirizzi di politica urbanistica per la formazione del piano urbanistico comunale), qui riproposta testualmente, accompagnata solo da una brevissima Relazione integrativa al PSC (elaborato 2.1.A) di aggiornamento (2007-2014), “sviluppo e conclusione”.
In breve, il preliminare di PUC approvato a Eboli costituisce la riproposizione letterale del PSC, con l’aggiunta degli elaborati richiesti (ma non tutti) dalla normativa regionale e di alcune decisioni specifiche di cui tratteremo oltre. Il che rende ancora più inspiegabile il fatto che siano trascorsi più di cinque anni dall’approvazione del PSC per portare a termine il preliminare di PUC. Il Documento di scoping (elaborato 3.1) – un testo allo stato sostanzialmente vuoto – riporta inoltre pari pari il contenuto metodologico delle citate Linee guida per la redazione del preliminare di PUC, valide per tutti i PUC della provincia di Salerno, limitandosi ad implementarvi l’”Illustrazione dei contenuti e degli obiettivi del PUC” di Eboli (cap. 2, pp. 5-16). Questa “Illustrazione” non è altro che la Relazione integrativa PSC prima citata che compare pertanto due volte nel preliminare. Alla fine, il lettore che volesse farsi un’idea del preliminare, ma è intimorito dalle centinaia di pagine e dalle decine di tavole di cui si compone, ha la fortuna – qualora conosca già a grandi linee il PSC – di poter leggere un testo di una quindicina di pagine (la Relazione integrativa PSC), dove troverà in estrema sintesi le scelte del PUC a venire, tenendo a fianco la tavola 2.2 (Proiezioni territoriali del PSC), di cui diremo nel seguito. [fig. 1]
Dal PSC al PUC: l’approccio al governo del territorio
All’origine del PSC del 2009 venivano riposti tre punti chiave: a) l’adeguamento della strumentazione urbanistica comunale al mutato quadro normativo, in particolare alla legge regionale 16/2004 e agli strumenti sovraordinati di pianificazione; b) la divaricazione tra le previsioni del PRG del 2003 e le azioni intraprese dall’amministrazione e dall’imprenditoria privata, con il ricorso a procedure in variante; c) la messa in campo delle politiche urbanistiche comunali, con i relativi strumenti e strategie di attuazione. Le ipotesi di assetto per la città di Eboli, costituenti il solo apporto originale del piano strategico, erano contenute a loro volta nel capitolo 3.2 “La nuova organizzazione territoriale” dello stesso PSC, dove si tratta delle “tre città” e del territorio agricolo (una quindicina di pagine sulle settecento complessive del documento).
Per il preliminare di PUC occorre fare riferimento alla citata tavola 2.2 Proiezioni territoriali del PSC, costituente documento strategico del piano. Essa definisce, come vedremo, una divisione in zone omogenee del territorio comunale in parte diversa da quella del PRG approvato nel 2003. Tale zonizzazione è tuttavia vaga e poco dettagliata: non si riesce a capire quali siano le destinazioni d’uso e le attività compatibili, oltre che gli indici fondiari e territoriali, i parametri edilizi, gli standard urbanistici. La normativa regionale, in sé non proprio un modello di coerenza, non include tra gli elaborati del preliminare di PUC le norme tecniche di attuazione (NTA), ma un “quadro delle regole” che dovrebbe specificare il contenuto normativo del PSC, di cui non si rileva la presenza, a meno di una mia svista, nel preliminare di Eboli. Sulla scorta allora di quali informazioni possono i “soggetti pubblici e privati, anche costituiti in associazioni e comitati, proporre osservazioni contenenti modifiche ed integrazioni alla proposta”? Ci si può basare solo sulle indicazioni fornite dalla Relazione integrativa PSC, tenendo comunque presente che la parte operativa del PUC, ancora di là da venire, prenderà in conto solo una quota delle scelte strategiche, la cui attuazione è ritenuta prioritaria nel quinquennio successivo alla definitiva approvazione del piano comunale. Queste priorità devono trovare posto nel Documento di dimensionamento, che dovrebbe essere parte integrante del preliminare, ma anch’esso non risulta inserito negli elaborati di piano.
Le scelte strategiche e le zone omogenee
Il preliminare di PUC recupera i grandi ambiti territoriali (le tre polarità e l’antipolarità) definiti nel piano strategico, come si legge nella Relazione integrativa PSC dove si riportano anche le zone omogenee. Nella “città consolidata” si prevedono: 1) zona A (“zona di particolare interesse ambientale e archeologico A1”, “centro antico A2”, “centro storico A3”);[1] 2) zona B (centro contemporaneo: “aree consolidate B1”, “aree di integrazione B2”, “aree di trasformazione” B3);[2] 3) zona C (“completamento e sviluppo insediativo”), ricadente anche nei PUA, ulteriormente suddivisi in sub-comparti di autonoma attuabilità;[3] 4) zona D (“polo della produzione integrata D1”-Pezza Grande, “nuovo insediamento artigianale, commerciale e per servizi alle imprese D2”- Epitaffio);[4] 5) zona E (“aggregati edilizi in contesto agricolo”), in particolare in località Grataglie, Prato, Epitaffio, Casarsa, in cui si prefigura la riqualificazione degli aggregati edilizi sparsi, con dotazione di opere di urbanizzazione e di servizi, nel rispetto della disciplina della zona agricola (disciplina che al momento non è ancora dato conoscere, in particolare riguardo ai lotti minimi e agli indici edilizi); 6) zona F (“grandi attrezzature di interesse generale F1”, “parchi territoriali F2”).[5]
Nella “città lineare della produzione e del commercio”, disseminata lungo gli assi viari Ss 18, Sp 30, Sp 204 e Sp 262, il PUC prefigura un “modello insediativo del tutto diverso dalla edificazione a nastro lungo strada (…) fenomeno assolutamente da evitare” (p. 10). La lettura delle intenzioni del PUC per questa polarità non permette tuttavia di cogliere in concreto la diversità. Valorizzazione degli assi viari sopra citati con il loro potenziamento nella geometria e nelle funzioni; riqualificazione e consolidamento funzionale dei nuclei insediativi sparsi lungo gli assi, anche con un moderato incremento della capacità insediativa (non sono indicati indici quantitativi); riorganizzazione delle attività esistenti con concentrazione di funzioni artigianali e commerciali (agroalimentare), attrezzature e servizi, residenza: una serie di indicazioni generiche più vicine ad un foglio bianco che a un testo scritto.[6] Lungo la Ss 18 si propone di razionalizzare i processi insediativi in corso, con il consolidamento dei maggiori nuclei esistenti. Anche qui non si entra nel dettaglio di tale razionalizzazione, che può assumere pertanto le forme e le dimensioni più diverse. I nuclei di S. Cecilia, Cioffi e Corno d’Oro sono definiti come zona C (“completamento e sviluppo insediativo”). Il preliminare di PUC descrive questa come una conferma, mentre in realtà il passaggio da zona B (nel PRG del 2003) a zona C (nel PUC) appare piuttosto come una smentita, severa o moderata a seconda degli indici che verranno poi stabiliti. Inoltre, in questi centri abitati il PUC prevede la presenza di zone D (“di trasformazione integrata”) con sviluppo insediativo a destinazione mista (produzione, terziario, residenza e attrezzature).[7]
Nella “città costiera” la strategia di fondo coincide con la valorizzazione della risorsa mare e la destagionalizzazione della domanda di servizi turistici, favorite dal declassamento della Sp 175 Litoranea e dal potenziamento della Sp 417 Aversana. Si dispone la presenza di zone D (“di trasformazione integrata” a prevalenza turistico-ricettiva), con aggiunta di residenze, strutture extralberghiere e parchi di divertimento, già previsti dal PRG ma ritenuti allo stato di difficile realizzazione in quanto ricadenti nella fascia fluviale di tutela del piano straordinario per l’assetto idrogeologico (Autorità di bacino interregionale fiume Sele). Della fascia costiera si intendono potenziare i caratteri “urbani”, con il recupero e la riqualificazione degli insediamenti esistenti, la dotazione di funzioni turistico-ricettive, attrezzature e servizi che, nell’insieme, dovrebbero riordinare l’edificazione diffusa creando “insediamenti costieri integrati”. Per il litorale, il PUC ipotizza la cessione in gestione non più di piccoli segmenti di spiaggia per la balneazione, come avviene oggi, ma di blocchi modulari integrati comprendenti spiaggia, pineta e servizi.[8]
Nel “territorio della produzione agricola”, ridimensionato rispetto alle indicazioni del PRG, si dispone il controllo del consumo di suolo, il contrasto dell’uso improprio dei terreni agricoli, l’insediamento di attività e funzioni strettamente connesse con la produzione agricola, la riqualificazione delle emergenze storiche e dell’edilizia rurale, il recupero degli impianti dismessi, l’incentivazione delle attività zootecniche, serricole, agrituristiche.[9]
L’espansione della città e la nuova edilizia residenziale
Per la consistenza e gli effetti sul futuro della città, le scelte sopra riassunte meriterebbero una discussione pubblica ben più approfondita. Sperando che ciò possa ancora avvenire, mi limito a segnalare quelli che a mio avviso sono i due elementi emergenti dal preliminare di PUC: a) la ricomparsa della zona omogenea C (di completamento e sviluppo insediativo), ossia la tradizionale zona di espansione) assente nel PRG approvato nel 2003 [fig. 2]; b) l’introduzione della zona D (di trasformazione integrata), ossia di insediamenti produttivi nel territorio ricadente nella “città costiera” e in quella che il preliminare definisce ottimisticamente “città lineare della produzione e del commercio”. Riguardo al punto a), è evidente il cambio di filosofia rispetto al precedente PRG, che disciplinava invece come “sature” le aree della città consolidata, non suscettibili quindi di ulteriore edificazione. Così come è chiara la smentita anche rispetto allo stesso PSC del 2009 che prevedeva per il centro contemporaneo esclusivamente la manutenzione con mantenimento del carico insediativo, specificando che non sarebbero stati ammessi incrementi, ma solo una ulteriore dotazione di spazi e di attrezzature di uso pubblico.
Un esempio per tutti: a Grataglie, come si è detto, il preliminare di PUC localizza un’area per l’intervento di housing sociale, su cui mi sono già soffermato due anni fa [https://www.massimo.delmese.net/46366/housing-sociale-puc-piano-strategico-riflessioni-a-penna-libera-di-luigi-manzione/]. Questa area è stata ridefinita nel PUC come zona omogenea C, mentre nel PRG del 2003 era contrassegnata come zona agricola E (sottozone Ea-collinare e montana ed Ec-boschi e praterie), nonché fascia di rispetto paesistico, al confine con la zona G-cave e discariche. Una localizzazione “sfortunata”, dove non erano ammesse nuove edificazioni. Il preliminare di PUC rende qui edificabile un’area prima soggetta a diversa disciplina, in vista della eventuale conclusione positiva dell’iter di approvazione dell’housing sociale. Nel caso in cui il progetto non venisse realizzato, l’area resterebbe comunque disponibile ad accogliere altre costruzioni e usi compatibili con il completamento (non si capisce di cosa) e l’espansione (peraltro in un’area geologicamente delicata).
Nonostante si precisi che non tutte le “aree di trasformabilità” individuate nel preliminare di PUC diventeranno “aree di trasformazione” nel piano operativo, appare chiaro che questo strumento urbanistico ipotizza, in generale, una ulteriore espansione della città o almeno crea le condizioni più favorevoli in questa direzione. E lo fa puntando sulla nuova edilizia residenziale anziché sul recupero e la valorizzazione del patrimonio esistente, pur richiamandosi, non senza contraddizione, al minimo consumo di suolo come principio fondatore, posto alla base della normativa regionale vigente. Questa scelta non è certo confortata dall’esame dello stato attuale, né dalla previsioni future. Si ricorda infatti che con 58.140 stanze per una popolazione di 38.593 abitanti al 2011 (prevista 40.724 al 2021) esiste a Eboli uno stock abitativo esuberante. In sede di determinazione dei carichi insediativi, tuttavia il comune (con deliberazione di giunta comunale 16/2013) stimava – in difformità dal computo effettuato dalla provincia – una capacità insediativa teorica residua pari a 2.237 alloggi (di cui 1.733 derivanti dal PRG, 194 da abusivismo edilizio, 310 da housing sociale e “piano casa”). Tale dimensionamento veniva fatto derivare da un fabbisogno aggiuntivo agganciato ad un trend di crescita positivo, anche per effetto di “fenomeni di attrazione” (insediamento di popolazione immigrata e di una ulteriore quota potenzialmente derivante dagli addetti ai due centri commerciali presenti sul territorio). Motivazioni non convincenti – basti considerare la trasparenza corrente delle locazioni per i lavoratori immigrati e le modalità contrattuali per chi viene assunto nei suddetti centri commerciali – per contrastare l’evidenza di un surplus nello stock abitativo, rafforzato dal perdurare della crisi economica, nonché da limitate previsioni di incremento demografico a dieci anni.
Si ricorda che il PSC auspicava invece, nel 2009, un opportuno incrocio tra la domanda e l’offerta residenziale. Ciò non trova conferma – almeno dalla lettura della Proposta di dimensionamento approvata in giunta il 29/01/2013 – nel preliminare di PUC, in cui peraltro avventatamente le zone C di espansione si distribuiscono anche su quella che il PRG del 2003 definiva come zona B satura, senza che questa scelta sia sostanziata dai calcoli previsti dalla normativa regionale. In queste zone si potranno realizzare ulteriori volumi residenziali, con prevedibile aumento della esuberanza dello stock abitativo e conseguenti disequilibri nel mercato delle abitazioni. Nessun accenno concreto è invece presente alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, ovvero a quegli interventi, anche di scala modesta, che possono creare occasioni di occupazione e sviluppo locale, con opportuni incentivi e premialità. A partire dall’intervento di housing sociale – per il quale il PUC prevede, come si è notato, un apposito cambio di destinazione urbanistica dell’area – si preferisce affidare l’edilizia residenziale pubblica e privata a progetti in contrasto o in condizioni di inopportunità rispetto alle indicazioni contenute nel PRG e nei piani urbanistici attuativi (PUA), alcuni dei quali non ancora redatti nonostante siano trascorsi più di dieci anni dalla loro previsione.
SECONDA E ULTIMA PUNTATA
La produzione diffusa sul territorio
Riguardo alla diffusione della zona D in quella che era la zona E del PRG, si può osservare una mutazione nel tempo della visione del territorio agricolo. Il PSC del 2009 prevedeva per questo l’applicazione di un “moderno concetto di ruralità”, da tradursi nella riqualificazione dei nuclei storici e della edilizia rurale, nella limitazione del consumo di suolo, nella regolamentazione precisa delle dinamiche insediative. Il PTCP individuava, nel 2012, la piana del Sele quale area di importanza strategica per il riequilibrio territoriale rispetto al peso dominante della città di Salerno. Nel preliminare di PUC del 2014, le indicazioni del PTCP si traducono nella “previsione di insediamenti integrati, produttivi (artigianale, commerciale, turistico-ricettivo) e residenziali, oltre ai relativi servizi”. Il territorio agricolo potrebbe così essere ridisegnato dal PUC in maniera cospicua nell’assetto funzionale, con l’inserimento di ampi corridoi destinati ad attività produttive lungo le principali vie di comunicazione nella piana (Sp 30, Sp 204, Ss 18, Sp 262), sottraendo quantità di suolo, ancora imprecisate, alla produzione propriamente agricola.
A questo proposito il Manuale operativo del regolamento 5/2011 di attuazione della L.R. 16/2004 in materia di governo del territorio, pubblicato a gennaio 2012, dispone che le “aree di importanza agricola, forestale e destinate a pascolo” sono escluse dalle “aree di trasformabilità”, cioè dall’“insieme delle parti del territorio urbano suscettibili di trasformazione sostenibile” (p. 11). Ciò solleva un importante interrogativo circa la legittimità o l’opportunità di solcare il territorio agricolo della piana, in tutta la sua profondità fino alla costa, di corridoi di insediamenti produttivi e residenziali, sebbene gli assi viari su cui questi si struttureranno siano già punteggiati da commercio, produzione e residenze (regolamentari e abusive). Tanto più che, ripeto, il PUC conferma l’attuale zona D (quella del PIP) e ne promuove l’espansione, dispone la formazione di un’altra area produttiva in zona Epitaffio, ridistribuisce inoltre sul territorio insediamenti produttivi di minori dimensioni. E tutto ciò mentre la zona dell’attuale PIP sconta notevoli ritardi nell’attuazione e nell’insediamento delle attività produttive previste.
Le visioni territoriali 2003-2014
Il confronto con il PRG del 2003 non è senza ragioni, dal momento che nove anni fa l’amministrazione comunale appena insediata rilanciava una discussione, aperta in campagna elettorale, sullo strumento urbanistico allora vigente, considerato eccessivamente vincolante, inadatto ad accogliere le legittime trasformazioni nelle zone edificabili, affetto da disfunzioni nei meccanismi di perequazione e nella prefigurazione degli assetti e della fabbricabilità nel territorio agricolo. Il confronto tra i due strumenti urbanistici dovrebbe partire da alcune domande. Il preliminare di PUC corregge le criticità del PRG individuate nel 2005? Le limitazioni in territorio agricolo vengono superate dai corridoi di zone produttive D o da eventuali correttivi nel sistema di edificazione, giudicato all’epoca – secondo me a ragione – troppo restrittivo ma suscettibile di aggiramenti (puntualmente verificatisi negli ultimi dieci anni senza alcuna legittima repressione)? Sono previsti meccanismi concreti di perequazione nel PUC? Si prefigurano appropriate e legittime trasformazioni solo in zone libere, o comunque edificate nei limiti regolamentati dalla legislazione vigente? O invece queste trasformazioni vengono permesse dal PUC anche in zone già sature o destinate ad altri usi consolidati?
Le “proiezioni territoriali del PSC”, contenute nella citata tavola 2.2, aiutano a trovare risposte a questi interrogativi. Ma si tratterà in larga parte di ipotesi, considerando le lacune e le ambiguità da cui il preliminare è affetto. Ricalcando il PSC, questo PUC propone in sintesi, come si è detto, una visione del territorio comunale basata su tre polarità e un’antipolarità: da un lato la “città consolidata della integrazione funzionale”, la “città lineare della produzione e del commercio”, la “città costiera della produzione turistica integrata”; dall’altro il “territorio della produzione agricola”. Ricapitolando, nella “città consolidata” si ripresenta la possibilità di una ulteriore espansione edilizia (con la presenza di zona C), mentre la zona agricola E viene ridefinita come “aggregati edilizi in contesto agricolo”, con una evidente sottolineatura del costruito (e di una residua potenzialità edificatoria) rispetto al territorio non edificato, destinato alla produzione agricola in senso proprio. Nella “città lineare” convivono zone B, C, D e F, ossia ulteriore espansione edilizia, attività produttive e attrezzature pubbliche, il tutto in territorio agricolo (la classica zona E). Nella “città costiera”, oltre alla pineta e alla spiaggia, si ha zona F, già presente nel PRG del 2003, e zona D di insediamenti produttivi che non era invece presente nel PRG. Il “territorio della produzione agricola” risulta di conseguenza ridimensionato rispetto a quanto stabilito dal PRG del 2003.
Nella sostanza, si rileva dunque da una parte la disseminazione di zone di espansione e completamento sul territorio comunale, dall’altra la moltiplicazione e ridistribuzione di zone destinate ad insediamenti produttivi, sempre sulla quasi totalità del territorio del comune. Queste ultime zone vengono differenziate dal punto di vista terminologico, apparendo come “zona omogenea D (zone produttive)” nella “città consolidata”, “zona omogenea D (zone di trasformazione integrata)” nella “città lineare” e “zona omogenea D (zone di trasformazione integrata a prevalenza turistico-ricettiva)” nella “città costiera”. Non è dato sapere, tuttavia, quali sono le differenze in termini di destinazioni d’uso, attività compatibili, etc., né quale dovrebbe essere la disciplina a cui verranno assoggettate dal PUC. Ci si trova così di fronte a scatole chiuse, e su queste scatole chiuse dovrà esercitarsi la discussione in sede di partecipazione e condivisione, con le osservazioni sul PUC previste dalla normativa regionale.
Il piano concentra la propria attenzione sulla “città lineare”. Quella che ai miei occhi appare piuttosto come la dispersione insediativa (residenziale, produttiva e commerciale) lungo le principali arterie di comunicazione nella piana. Questa parte del territorio comunale, maggioritaria in termini di estensione, presenta numerose criticità e richiede interventi appropriati. Qui si apre la questione dello sprawl nella estrema periferia. Ora, si può essere per ragioni diverse pro o contro gli insediamenti lungo i corridoi produttivo-commerciali che danno corpo a questa città diffusa, a tratti abusiva o in difformità (più o meno occulta) rispetto alla normativa di piano vigente all’epoca di edificazione. Il nodo della questione resta tuttavia eminentemente economico (e la soluzione sostanzialmente politica): si tratta di capire chi deve accollarsi in prevalenza, e in proporzione, i costi della infrastrutturazione dei corridoi in agro e verso il mare, di quelli esistenti e dei futuri incrementi. È noto infatti che questi costi sono molto più alti rispetto a quelli ordinari proprio perché occorre urbanizzare o adeguare zone distanti dai centri abitati, spesso senza raccordi tra loro. Si potrebbe almeno evitare di far ricadere il notevole peso economico della urbanizzazione della città diffusa in maniera indiscriminata sulla comunità, adeguando i costi di costruzione e gli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) in rapporto alla loro effettiva localizzazione, oltre a prevedere meccanismi di perequazione, incentivazione, compensazione. Il che non sembra trovare spazio nel preliminare approvato che, anche da questo punto di vista, non fornisce risposte convincenti. Non chiarisce cioè quale sia la diversità sostanziale del modello proposto di “città lineare” rispetto alla edificazione a nastro lungo strada, in termini di consumo di suolo, di costi insediativi, di ricadute pubbliche e private, di qualità dell’ambiente e del paesaggio.
Gli scenari futuri
L’esame delle proiezioni territoriali mostra, in sintesi, che questo piano propone un quadro preciso, ancorché non dettagliato e sostanziato, degli scenari futuri del territorio e della città. Non è esatto quindi dire che il PUC non delinea un disegno di città futura. Esso prevede assetti ben individuabili, diversi nell’insieme da quelli perseguiti dal PRG e in parte anche dal PSC. Il problema di fondo, a mio modo di vedere, è che il PUC, come il PRG, mette in campo un progetto per la città in assenza di “costruzione sociale”. Pur con le differenze costitutive che li caratterizzano, entrambi rischiano di diventare autoreferenziali proprio perché sono stati partoriti ed elaborati senza l’ascolto dei bisogni e delle attese della intera comunità, senza una reale condivisione. Si potrebbe dire che il PRG del 2003 ha visto prevalere una ragione disciplinare forte, ossia la visione di un certo orientamento rigoristico e conservativo dell’urbanistica del tempo in cui venne elaborato, visione fatta propria in toto dall’amministrazione dell’epoca, a prescindere dal consenso dei cittadini. Una visione che per la sua rigidità si è rivelata difficilmente attuabile senza i necessari correttivi. Qualora venisse approvato in via definitiva nella forma attuale – e non ce lo auguriamo – il PUC del 2014 farebbe invece prevalere una ragione politica, non di alto profilo, intesa come pura attribuzione di costi e benefici, di limitazioni e premialità. Una visione formata sull’attenzione prevalente verso i soggetti portatori di interessi e di istanze capaci di imporsi in un processo di contrattazione; una visione orientata all’acquisizione del consenso e al consolidamento di assetti nel potere locale per mezzo della ridistribuzione di plusvalenze e minusvalenze. Una visione, questa del PUC, che appare molto lontana dal proposito di ripensare la città futura per l’intera comunità, a partire dai principi di sviluppo sostenibile e di equità distributiva.
In queste condizioni, l’urbanistica si riduce a mero supporto per l’attività edilizia, in particolare della produzione di alloggi, o per la realizzazione di progetti urbani spesso imposti dall’alto e non accettati della popolazione residente. Senza ipotesi articolate e partecipate di assetto futuro della città e dei suoi quartieri, gli esiti di questa maniera di fare “urbanistica senza urbanistica” sono prevedibili. Essi si riassumono in ulteriore consumo di suolo, di cui beneficia solo marginalmente la comunità cittadina: senza alcun miglioramento delle condizioni materiali e dell’ambiente di vita delle persone, senza alcuna qualità urbana. Ora, proprio perché il piano è un atto essenzialmente politico (tecnicamente più o meno assistito), alla base si pone un problema di giustizia distributiva, derivante dalla tutela dell’interesse generale. Interesse spesso distorto o addirittura negato quando si concepisce uno strumento urbanistico come spazio di prevalente contrattazione e l’urbanistica come merce di scambio politico. Se il governo del territorio deve mirare a creare le condizioni spaziali per una migliore coesistenza della comunità locale, anche in termini di occupazione e sviluppo, il piano urbanistico dovrebbe trovare un punto di equilibrio tra utilitarismo ed equità. Equilibrio che può essere perseguito in pratica con una pluralità di approcci e strumenti di pianificazione strategica o tradizionale (perequazione, zonizzazione, visioning, progetti urbani, etc.), ma che non sembra essere al centro delle strategie di questo preliminare di PUC.
La legittimazione ex post
Invece di contribuire a costruire il futuro, immaginando politiche urbane e territoriali suscettibili di avere ricadute positive per la cittadinanza nel suo insieme e per una porzione quanto più estesa del tessuto socioeconomico locale, questo PUC preferisce invece legittimare il presente e il passato. Esso agisce in maniera preferibilmente retroattiva, ispirandosi ad una logica generalizzata di adeguamento ex post. Ciò appare in contraddizione anche con quanto veniva affermato nel PSC circa la necessità di definire un quadro unitario di assetto territoriale per evitare di pianificare per aggiustamenti progressivi e varianti originate da necessità contingenti o pregresse, che poco o nulla hanno a che fare con l’interesse pubblico. Le scelte presentate nel preliminare di PUC non derivano da una visione coerente e partecipata dell’avvenire della città, delineata con chiarezza di principi, criteri, orientamenti, ma piuttosto dall’intento di ratificare l’esistente (progetti in corso di realizzazione o di approvazione) o di creare le condizioni per il dispiegarsi di investimenti e interventi spesso in conflitto con i caratteri e le vocazioni del territorio, oltre che con i desiderata degli abitanti. A questo proposito, si ricorda solo il progetto di riqualificazione di piazza Borgo, già fermamente bocciato in passato dai residenti, la cui riproposizione nel PUC dà la misura dell’assoluta indifferenza verso la volontà dei cittadini.
Il principale punto critico di questo piano è che, a dispetto di alcune linee strategiche enunciate nel 2009, esso si limita a ricomporre un mosaico di intenzioni abbastanza sfuggenti (si veda, ad esempio, l’idea di “Eboli al mare”, che si vorrebbe far passare come un imperativo del PTCP, e che è ben diversa dalla necessaria riqualificazione, valorizzazione e incentivazione dei circa otto chilometri di fascia costiera), di scelte non sufficientemente motivate e dettagliate (fabbricazione addizionale nella città consolidata, insediamenti produttivi in zona agricola, etc.), di decisioni variegate (passate, attuali o che si presume si prenderanno in futuro) riguardanti progetti di iniziativa pubblica e privata, senza una sostanziale partecipazione della comunità locale alle scelte di governo del territorio. A ben guardare, già nel PSC si profilava l’intenzione di convalidare lo stato presente delle trasformazioni sul territorio comunale, con una commistione di orientamenti teorici rigorosi (quando si trattava, ad esempio, della zona agricola e del consumo di suolo) e di pragmatica legittimazione di quanto era stato fino ad allora progettato in variante al PRG vigente (in conseguenza di proposte, decisioni e intese tra comuni, enti pubblici, soggetti privati successivamente alla approvazione del PRG).
Non si tratta quindi di una novità, ma del risultato di un processo ben identificabile. Nell’ultimo decennio la pianificazione ha sofferto a Eboli di una specie di sdoppiamento: da un lato, si poneva mano con lentezza e poca convinzione al nuovo piano urbanistico, nonostante gli sforzi di comunicazione e promozione; dall’altro si continuava a redigere i PUA previsti dal PRG del 2003, con un evidente deficit di coerenza nelle trasformazioni urbanistiche ed edilizie. Questo doppio regime, da cui deriva l’esigenza di riordino ex post, ha fatto sì che si teorizzasse, non senza superficialità, la possibilità di pianificare per varianti e per modifiche puntuali alla disciplina vigente (NTA del PRG, regolamento edilizio, regolamento nel centro storico, da ultimo il regolamento di assegnazione dei lotti in area PIP che non ha avuto però il tempo di essere discusso in consiglio comunale). Con gli esiti modesti e discutibili a cui abbiamo assistito.
Considerazioni finali
L’alternativa a questo stato di cose non è certo la tutela e la conservazione assoluta del territorio comunale. Nella profonda crisi attuale è senza dubbio fondamentale puntare sullo sviluppo, sull’occupazione, sul turismo, sulle risorse locali, sulla attrattività e sulla competizione territoriale, così come coinvolgere e attivare i diversi attori sociali e imprenditoriali interessati alle trasformazioni urbanistiche ed edilizie. È pertanto decisivo costruire un insieme di possibilità, indicazioni, vincoli aperto, flessibile e condiviso, per far sì che il piano urbanistico crei le condizioni affinché quello insieme possa materializzarsi sul territorio con efficienza ed equità. Ciò non deve tuttavia fare ombra su alcuni punti fermi riguardo alla città esistente e consolidata: quella non più disponibile ad essere modificata in profondità (per le condizioni oggettive di saturazione, per scelte di natura conservativa o per esigenze di compatibilità ambientale). Per questa parte del territorio, dove vive la maggioranza dei cittadini e che per questo non può essere dimenticata, occorre prevedere interventi puntuali di manutenzione e di miglioramento dell’esistente, dotazione di attrezzature e di spazi pubblici o di uso pubblico, luoghi di aggregazione, verde di quartiere (nel centro cittadino oggi quasi del tutto assente), parchi gioco per bambini, anche con la sostituzione di manufatti degradati o dismessi e con il ridisegno di spazi aperti, tenendo in debito conto la qualità architettonica degli edifici e dei vuoti. Non c’è traccia di tutto questo nel preliminare di PUC, al di là di indicazioni generiche e non localizzate. Un disegno della città futura dovrebbe far convivere, soprattutto nel momento difficile che attraversiamo, i progetti rilevanti di iniziativa pubblica e privata, prima elencati, con gli interventi di minore respiro e importanza, ma di maggiore utilità e immediato interesse per i cittadini, in una prospettiva di necessaria ricostruzione socioeconomica e culturale della città di Eboli.
Riprendendo in conclusione il filo, a distanza di due anni dai miei precedenti contributi su Politicademente, non mi sembra ci sia stato in questo intervallo alcun approfondimento (o accelerazione) nella elaborazione degli strumenti urbanistici (piano comunale e piani attuativi), salvo la mossa finale dell’approvazione della proposta di PUC, rivelatasi fatale per la passata amministrazione comunale. Nel frattempo gli interrogativi e i dubbi si sono moltiplicati e accumulati, mentre le risposte sono diventate sempre più complesse, per di più nel contesto di una gestione commissariale che certo non rappresenta la condizione ideale per discutere di governo del territorio e di scenari futuri. Così, almeno dal mio punto di vista, il ruolo di laboratorio di sperimentazione disciplinare sul terreno della pianificazione, che in passato pure è stato attribuito a Eboli, appare oggi offuscato, se non addirittura perduto, ammesso che la città lo abbia mai realmente posseduto…
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[1] In A2 si inseriscono i progetti di riconversione del castello Colonna ad attrezzatura polifunzionale e della Casa del pellegrino Cosma e Damiano con i relativi parcheggi pubblici e pertinenziali interrati.
[2] Sono inclusi qui gli interventi di riqualificazione urbana di piazza Borgo (riproposizione di una vecchia ipotesi non realizzata di mix di residenza, commercio, uffici e parcheggio interrato) e delle aree dell’ex mercato ortofrutticolo, ex mattatoio ed ex Sarim per funzioni integrate pubblico-private.
[3] A Grataglie si prevede l’housing sociale di cui al “Piano nazionale di edilizia abitativa” DPCM 16/07/2009; si conferma inoltre l’attuale svincolo autostradale.
[4] Per D1 si prevede l’espansione dell’area del piano insediamenti produttivi (PIP) a sud-ovest, oltre due nuove zone produttive: una verso il centro urbano, dove dovrebbero collocarsi gli standard (attrezzature e servizi pubblici) non realizzabili nel sito attuale del PIP a causa di preesistenze e impedenze; l’altra nell’area delle cave in località S. Giovanni, a nord dalla autostrada A3, su cui localizzare impianti di produzione di energie alternative da fonti rinnovabili (parco tecnologico ed energetico). Per D2 a Epitaffio si individua l’insediamento di attività produttive (non industriali) incompatibili con i caratteri della città consolidata.
[5] Per F1 si consolida la presenza dell’ospedale Maria Ss. Addolorata e si confermano le superfici dell’Elaion, mentre nessuna indicazione figura relativamente all’ISES. Per F2 si confermano i parchi pubblici di S. Donato e di S. Giovanni; si recepiscono inoltre i PUA del PRG del 2003 “Città di Eboli” (centro sportivo) e “Serracapilli” (centralità commerciale consolidata); l’ampliamento del cimitero comunale; un polo di grandi attrezzature (servizi integrati per il terziario, attrezzature sanitarie e ospedaliere, centro servizi con il nuovo mercato ortofrutticolo) in località Acquarita.
[6] Specificamente per la Sp 30 e la Sp 204, si prevede il consolidamento e lo sviluppo di alcuni nuclei insediativi con funzioni produttive e residenziali (ex tabacchificio a Fiocche e area in località Torre Carcione).
[7] A S. Nicola Varco il PUC prevede, nel PUA approvato, il polo logistico con un centro commerciale e l’area retrostante con funzioni connesse alla logistica.
[8] Si confermano il “Campolongo Hospital”, con ampliamento della superficie fondiaria nella pineta, e del centro “Casina rossa”. L’ipotesi del porto turistico è anch’essa confermata, ma da rivedere in base alla disciplina del piano stralcio per l’assetto idrogeologico, con la previsione nel breve-medio periodo di un attracco diportistico di dimensioni limitate.
[9] Si conferma qui il progetto di campo “energetico collinare” con l’impianto fotovoltaico in località Monte di Eboli; per l’azienda Improsta (S. Nicola Varco) e per l’area dell’Orientale si prevede una funzione di alta produttività agro-zootecnica (attività di sperimentazione e didattica).
Eboli, 21 ottobre 2014
Alla cortese atte.ne dell’Architetto Manzione,
Il suo intervento sul Preliminare di PUC è importantissimo perché a differenza di chi suggeriva il rinvio Lei lo ha letto e commentato. Il preliminare di Piano indica gli obiettivi urbanististi di Sviluppo del Territorio deliberati dal Maggioranza politica del Governo della Città di Eboli, la stessa che ha approvato il Piano Strategico in Consiglio Comunale e come Lei segnala non si discosta di molto da quello approvato dalla Giunta a Maggioranza a larga maggioranza degli Assessori (Massarelli e Norma CONTRARI e Atrigna -API- favorevole -però assente perché si trovava all’estero ). L’ atto era stato condiviso da tutti e fatto partecipe a tutti i soggetti previsti dalla legge. È chiaro, Arch. Manzione, che Lei rappresenta anche una parte politica del Centrosinistra non facente parte della Maggioranza è che su questi punti programmatici si deve avviare e si stanno consumando incontri tra i Partiti del Centrosinistra ad Eboli. Il Consiglio Comunale doveva recepire le osservazioni di tutti, compresi gli altri attori coinvolti sul territorio, per poi procedere all’approvazione. Infine la sua riflessione attenta sul’ Housing Sociale è una scelta per le famiglie con reddito con canoni calmierati stabiliti dalla Regione su 80 alloggi con diritto di riscatto. Cordialente
Segretario Provinciale API- Alleanza per l’Italia
Prof. Arturo Marra
Caro Arturo, non ti confondere con l’ex Ducetto. Le tradizioni familiari di grandi, onesti e intelligenti imprenditori del legno, non ti consentono di difendere l’operato di uno squallido pseudo mestierante della Politica Ebolitana. L’Housing Sociale, oltre a danneggiare la zona acquifera dove doveva sorgere (dove stanno i falsi Sinistrorsi di Legambiente?), serviva da paravento a una colossale gettata di Cemento Armato. Dietro gli appartamenti per i meno abbienti, quanti altri se ne costruivano di lusso? Da ottimo Professore e gentile e onesta persona, tirati fuori dal putrido fango, in cui vi aveva trascinato un mostro dai famelici tentacoli..
Ringrazio Massimo Del Mese per l’invito e la pubblicazione di queste prime riflessioni sul preliminare di PUC, sperando che possano dare avvio ad una discussione più ampia di quella che si è avuta finora in sede di confronto e partecipazione alle scelte di governo del territorio.
Al prof. Marra: la ringrazio del commento alla prima parte del testo, cui seguirà una seconda dove esprimo più dettagliatamente il mio punto di vista. Il preliminare di PUC riproduce alla lettera negli elaborati il piano strategico del 2009 ma, come si vede nella “Relazione integrativa PSC” e nelle indicazioni contenute nella tavola “2.2. Proiezioni territoriali del PSC”, si discosta, spesso in maniera sostanziale, dal piano strategico. Riguardo all’housing sociale, mi sembra necessario ritornare su un’analisi realistica del fabbisogno abitativo della città (su questo terreno le previsioni del comune si discostano da quelle della provincia). 80 alloggi sociali rappresentano qui il minimo regolamentare (30% sul totale): mi chiedo su quali criteri si sia basata questa proporzione e se non fosse stato invece più opportuno prevedere una maggiore quantità di ERS, visto che probabilmente a Eboli esiste un surplus nello stock di alloggi su libero mercato e un deficit di edilizia residenziale sociale. Un’ultima precisazione: non rappresento nessuna parte politica, non essendo iscritto a nessun partito (e nello scorso decennio il mio modesto contributo non è stato richiesto, né considerato da alcuna parte politica). Ho naturalmente, per tradizione familiare, un forte interesse verso la politica e verso il futuro della città in cui vivo, per cui cercherò di contribuire con maggiore impegno come cittadino e come architetto.
La relazione dettagliatissima dell’architetto Manzione doveva essere degna di maggiore e più approfondita analisi da parte degli amministratori e degli addetti ai lavori.
Anche su questo blog, purtroppo, interventi pochissimi.
La gente è abituata solo alle chiacchiere e alle offese gratuite.
Un tecnico come Luigi Manzione potrebbe essere un fiore all’occhiello per qualsiasi giunta comunale…
Ringrazio il preside Cicalese del commento e dell’apprezzamento, di cui sono onorato. Forse è comprensibile la presenza di pochi commenti su questioni apparentemente “tecniche”. Qualcuno però dovrà pur assumersi il compito di comunicare le scelte urbanistiche ai cittadini affinché questi possano esserne consapevoli e non ridursi – o non lamentarsi di essere ridotti – solo a subirle. Dovrebbe farsi carico di ciò chi aspira ad amministrare la città. E sarebbe un passo importante per dare un segnale netto agli elettori: quello di intendere il governo del territorio, e il piano che lo rappresenta, come espressione di trasparenza e non di opacità quale spesso è o viene percepito.
Gent.arch.Manzione, caro Vincenzo C., indubbiamente il contributo “apparentemente tecnico”, per chi tecnico non è ( come il sottoscritto) non è facilmente commentabile o analizzato. Confermo però che ho letto con grande interesse quanto scritto ed aspetto con interesse le successive analisi.
Scusatemi se mi ripeto: questa tipologia di “interventi” di cui l’autore se ne assume la responsabilità ed i 5 interventi FIRMATI ( caso strano su questo blog) danno la dimensione dell’importanza e dell’utilità di “politicaDEmente”. Massimo “capisc’ a me!!!)
La chiarissima relazione dell’architetto Luigi Manzione è una conferma della serietà e competenza di questo professionista, che dimostra la sua autonomia intellettuale in un contesto in cui prevale “necessità di bottega” di tanti altri suoi colleghi. Sarebbe riduttivo e forse controproducente per lui dire che concordo con la sua analisi, potrebbe sembrare un mero appiglio di chi a suo tempo ha sostenuto ben altre scelte. Non sono un urbanista, ma ritengo che le scelte che attengono la gestione del territorio sia un problema connesso al diritto di cittadinanza di chiunque, non solo degli esperti, degli addetti ai lavori o di chi è direttamente interessato. E’ questo il discrimine fondamentale su cui si fa la verifica di una buona o cattiva amministrazione, si valutano i soggetti in campo e la validità delle scelte. La lunga e dettagliata disamina della proposta di PUC lo porta a concludere che: “Le scelte presentate nel preliminare di PUC non derivano da una visione coerente e partecipata dell’avvenire della città, delineata con chiarezza di principi, criteri, orientamenti, ma piuttosto dall’intento di ratificare l’esistente (progetti in corso di realizzazione o di approvazione) o di creare le condizioni per il dispiegarsi d’investimenti e interventi spesso in conflitto con i caratteri e le vocazioni del territorio, oltre che con i desiderata degli abitanti.” Su questo, io cittadino, muto testimone dei fatti, concordo, ed esprimo le mie valutazioni negative sugli attori politici del momento. Il generico perbenismo di alcuni soggetti all’interno dell’amministrazione non li salva da un severo giudizio di condanna, perché anch’essi hanno sottratto all’intera cittadinanza la possibilità di decidere i destini del proprio territorio, avallando l’oscurantismo politico della chiusura delle sedi di partito e restringendo il dibattito e le discussioni all’interno di ristretti circoli, spesso pesantemente condizionati da interessi particolari. L’epilogo commissariale non è solo un incidente di percorso, o una meschina congiura di palazzo, come qualcuno vorrebbe far credere, ma è l’implosione di un sistema che non poteva reggere, perché la politica ormai non contava più nulla. Ho visto crescere politicamente Sgroia e Massarelli e non ho condiviso le loro scelte in quest’ultimo decennio, ma non credo siano dei “volgari voltagabbana traditori”. La misura era colma e chi aveva conservato un minimo di buon senso politico, anche se tardivamente se ne è reso conto. Ora la discussione è tutta aperta, proprio partendo dai temi dell’urbanistica. L’associazione “Eboli Nuova” a questo proposito, proprio per colmare un vuoto di discussione che non c’è stato, sta organizzando un dibattito in merito. E’ solo l’avvio di un percorso, la strada è molto lunga e tortuosa.
Grazie al prof. Pindozzi e al dott. Lioi per le parole molto apprezzate nei miei confronti.
A Vito Pindozzi vorrei dire che non considero riduttivo o controproducente il suo concordare con le mie analisi per il fatto che è stato assessore all’urbanistica quando venne approvato il PRG. Credo che anche lui, negli anni trascorsi, ne abbia rilevato i notevoli punti critici insieme ai presupposti che si sono dimostrati ancora validi. Il fatto che ritenga il governo del territorio una questione attinente i diritti di cittadinanza – su cui sono pienamente d’accordo – mi sembra sotto questo aspetto una opportuna presa di distanza dal PRG che, anche in quanto espressione di una maniera di pensare l’urbanistica propria di un momento storico profondamente diverso dall’attuale, è stato carente proprio nella condivisione delle scelte. Come il PUC oggi, ma per ragioni del tutto diverse.
Il governo del territorio non può essere considerato ancora come uno spazio opaco. È nell’interesse di tutti (amministrati e amministratori) vederlo invece come un ambito di trasparenza su cui far misurare l’esercizio del diritto di cittadinanza. Perciò credo che chi aspira oggi ad amministrare Eboli nei prossimi cinque anni debba iniziare da qui: comunicare ai cittadini, in termini chiari e semplici, qual è il suo punto di vista sul PUC in corso di approvazione (se lo condivide o meno, in tutto o in parte), ed eventualmente qual è, se ne dispone, la sua visione del futuro della città e del territorio. L’idea del piano come campo di pura contrattazione o come strumento esclusivamente coercitivo, che comprime unilateralmente i diritti dei cittadini, è definitivamente tramontata per una serie di ragioni che non sto qui a elencare. Il piano dovrebbe invece essere pensato e comunicato come un insieme di possibilità (economiche, sociali, culturali, etc.) concretamente realizzabili, e non solo di vincoli. Di regole da scrivere insieme, per avere chiara consapevolezza delle opportunità e degli obblighi. Di decisioni condivise, dove chi viene penalizzato da certe scelte strategiche deve avere in contropartita la possibilità di esercitare (altrimenti, altrove, etc.) un diritto di trasformazione. Viceversa, chi acquisisce un diritto di trasformazione (o ne vede aumentata la potenzialità in conseguenza di certe scelte di piano) deve corrispondere di ritorno qualcosa di concreto e commisurato a vantaggio della comunità. Tutti però dovrebbero essere messi in condizione di effettuare, direttamente o meno, investimenti compatibili sul territorio. Il discorso è lungo, a partire dal rapporto sviluppo-conservazione… Ma se il percorso futuro si avvierà su questi presupposti, forse ci sarà ancora qualche chance per evitare l’allontanamento definitivo delle persone dalle questioni connesse all’assetto futuro della città.