Continua il dibattito sul restiling del Monumento a Vincenzo Giudice e da Kant e l’estetica introdotta da Guida si passa alle emozioni e al valore progettuale dell’Arch. Cuccarano.
Cuccarano porta ad esempio il David, Michelangelo e Cosimo dei Medici. Ma purtroppo Melchionda non è Cosimo dei Medici, la scena monumentale di Giudice non è il David, così come i progettisti, sebbene bravi, non sono Michelangelo.
da (POLITICAdeMENTE) il blog di Massimo Del Mese
EBOLI – Il restiling del Monumento alla Medaglia d’Oro Vincenzo Giudice continua ad essere al centro dell’attenzione e indipendentemente dalle critiche, intorno alla sua ennesima realizzazione, si sta sviluppando un dibattito che va ben oltre il monumento stesso, toccando, l’arte, la cultura, la progettualità, la rappresentazione, ivi compreso la volontà di voler attribuire all’opera in generale, sia essa il monumento a Giudice che qualsiasi altro, un valore simbolico, rappresentativo, evocativo e attraverso il quale, il progettista o i progettisti, vogliono trasmettere le loro emozioni e conseguentemente attribuire all’opera stessa un valore artistico, appunto ispirato dall’emozione, accompagnato magari anche da una sana aspirazione di poter incidere professionalmente e artisticamente nella storia, piccola o grande che sia.
Il dibattito quindi prende un’altra piega, aggiunge valore, ma questo non impedisce ai più, nella fattispecie ai destinatari del predetto monumento, di dare alla fine inevitabilmente il loro giudizio, tra l’altro posticipato e per il momento per niente positivo, attribuendo alla continua risoluzione di quel monumento, la circostanza che indica di per se quanto non sia mai stato accettato fino ad ora, nonostante le sue già diverse tre collocazioni nell’arco temporale di un 25ennio.
Naturalmente, escludendo il valore progettuale in se e l’impegno del progettista o dei progettisti, escludendo altresì la circostanza della valutazione oggettiva rispetto all’essere bello o brutto, ed escludendo anche il mezzo “compensativo” che ne sta permettendo la realizzazione, ed escludendo ancora anche la sua effettiva e reale utilità a fronte di altre possibili realizzazioni che potevano avere, più che un carattere simbolico ed evocativo, un carattere utilitaristico e sociale, è da riconoscere in capo all’Amministrazione comunale l’iniziativa, che tra l’altro, raccoglieva le numerose e reiterate lamentele che per anni si sono rivolte alla rappresentazione di quel monumento.
Si ricorderà la prima collocazione del bassorilievo bronzeo allocato sui muri dell’Edificio Scolastico “Giudice”; in seguito nell’ambito del ridisegno dell’intera Villa comunale, una vera e propria operazione “igienico-ambientale” più che urbanistica, nella mente del progettista si volle in uno rappresentare: sia l’elemento acqua che ne derivava dalla vecchia vasca che di interessante aveva solo il suo elemento bronzeo; sia la raffigurazione evocativa della medaglia d’Oro Giudice, apponendo ai piedi della nuova vasca-lavatoio una lastra in marmo con a fianco il bassorilievo in bronzo. Successivamente vi fu una ulteriore interpetrazione e un ulteriore intervento che faceva riemergere dall’acqua il ricordo lapideo delle gesta di Giudice ed affiancava alla lapide una colonna con un mezzo busto.
Ebbene questo monumento-fontana o fontana-monumento come dice il giovane architetto Massimiliano Cuccarano che ha sentito il bisogno di dare un suo contributo alla questione inviandoci una sua riflessione nell’articolo che quì appresso si pubblica integralmente, poco per volta è diventata una rappresentazione scenico-monumentale, cioé una scena con una raffigurazione multipla, quasi a significare come ogni elemeto da solo non riuscisse a rappresentare il tutto e necessariamente bisognava aggiungervi qualcosa, restando fermo l’elemento acqua e l’elemento evocativo, e così al bassorilievo si aggiunge la lapide, al bassorilievo e la lapide si aggiunge il busto, al bassorilievo alla lapide e al busto si aggiunge di volta in volta l’acqua sia essa rappresentata dalla “vasca-abbeveratorio” che dall’arco scrosciante di oggi, confermando come non sia stato centrato il fine principe: quello di semplificare più che moltiplicare la sua evoluzione scenica.
E così alle considerazioni che prima faceva l’Architetto Francesco Guida introducendo Kant, l’estetica e la funzione dell’estetica che nemmeno da sola risolve il problema, si aggiungono le considerazioni dell’Architetto Massimiliano Cuccarano che a sua volta inserisce elementi generali rispetto al valore progettuale e rispetto all’emozione che si deve necessariamente trasmettere all’opera nel momento in cui si progetta, per elevarla fino a rappresentarla come un’opera d’arte.
Ebbene Cuccarano per centrare l’argomento si è dovuto spingere indietro nel tempo fino ad arrivare al David, a Michelangelo e a Cosimo dei Medici, che tradotto in termini locali sarebbero il monumento a Vincenzo Giudice, i progettisti, il Sindaco di Eboli Martino Melchionda, ma soprattutto ricordandoci come si è rappresentato nei secoli il valore della progettualità e come man mano, riportandoci ai nostri tempi quel valore si è progressivamente perso, sicchè si rafforza quell’idea di come l’arte monumentale nei secoli, ci ha lasciato i segni del tempo e nella loro staticità e la loro bellezza ci hanno trasmesso quelle emozioni che i vari progettisti facevano seguire alla committenza progettuale, e di come al contrario oggi non solo quell’arte non è praticata, ma addirittura non riesce a rappresentare l’attualità, lasciando nel vago e nell’omologazione ogni singola rappresentazione sia essa affidata ad un monumento che ad una qualsiasi opera pubblica o privata che sia.
Del che, nel mentre ringraziamo prima l’Arch. Guida e poi l’Architetto Cuccarano per il loro contributo, va da se ricordare aquest’ultimo che Melchionda non è Cosimo dei Medici e quelle scene monumentali a Vincenzo Giudice non sono il David di Michelangelo, così come i progettisti, ai quali va tutto il rispetto per il loro impegno e la loro risoluzione progettuale non sono Michelangelo Buonnaroti, sebbene auguriamo loro di ispirarsi a lui e a tanti altri magnifici e straordinari maestri e auguriamo loro di lavorare e diventare famosi.
Buona lettura.
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Restiling al Monumento Giudice: “L’essere eterno Presepe”
di Massimiliano Cuccarano
Devo ammettere in tutta onestà di essere stato combattuto nel decidere di contribuire con un commento al tema, visto la piega che sembra aver preso la discussione. Tuttavia scrivo non perché le mie perplessità sono di colpo svanite ma perché come, libero professionista e per onestà intellettuale, sento di doverlo fare, rifiutando la tentazione di infilarmi in dinamiche da tifoserie pro o contro. Il principio che l’articolo dell’Architetto Francesco Guida cerca di affermare lo ritengo stimolante e rispetto ad esso sento di dover fare alcune considerazioni di carattere generale, lasciando per ultime le riflessioni su aspetti di natura locale.
Sono d’accordo con quanto evidenziato nell’articolo, in modo particolare non vanno sottostimate le argomentazioni che rappresentano le domande che sono la base di chi opera nel modificare il territorio e il paesaggio. Approccio che svela la struttura del pensare dell’uomo che deve avere la presunzione di gestire le trasformazioni. Chiaro è che intendo il paesaggio come sintesi delle cose che ci circondano e che sono parte della memoria, esso va curato e per farlo bisogna scrutarlo non contemplarlo. Bisognerebbe attivare lo spirito gattopardesco secondo il quale “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Invito a osservare con attenzione il David di Michelangelo, il quale differisce dai tanti prodotti nel tempo per un particolare che segna una svolta nella concezione di se stesso da parte dell’uomo. Il personaggio è immortalato nell’attimo immediatamente prima di agire nell’azione di scagliare la pietra. Il pensiero che precede l’azione non è un frame isolato ma uno stato tensionale, il risultato della consapevolezza raggiunta che al centro dell’universo ci fosse l’uomo, (anno 1501). L’arte, la produzione artistica non è appannaggio di pochi, è il produrre umano di cui si nutre la società che progredisce e che quindi coinvolge tutti, attori e pubblico.
Naturalmente il concetto del produrre andrebbe indagato meglio, esso può avere una diretta influenza sulla nostra vita – campo della produzione scientifica – o soddisfare le nostre esigenze non tangibili, emozioni, sensazioni, espressione – campo della produzione artistica. Non escludo che esistano al mondo persone che pensino di poter fare a meno di uno dei due ambiti, tuttavia lanciare una campagna a favore di un campo o dell’altro è attività che non ritengo interessante. Semplice e troppo riduttivo è scegliere tra ciò che “sembra” bello o brutto. In quel “sembra” c’è un universo che ci appartiene e del quale siamo sostanza, è auspicabile che ognuno possa poter esprimere un giudizio ma prima ancora è necessaria una analisi. Mi si consenta però, di porre l’accento sulla necessità di dotarsi di criteri nell’operare, ma allo stesso modo è fondamentale sviluppare una tensione costruttiva, verso ciò che a un primo sguardo non rientra nelle nostre conoscenze e/o competenze. La sfida di ogni individuo deve essere non l’arrendersi alla soggettività del bello ma il costante sforzo di rendere oggettiva la ricerca e natura del bello. Ovviamente non è da escludere la possibilità dell’aspro giudizio o condanna.
Ho parlato di “chi opera”, non sfugge la trappola che questa definizione può celare, potrei affermare che si tratti dell’Artista o dell’Architetto (che non fa l’artista), eppure nella concretezza non è così. Non vorrei scomodare di nuovo Michelangelo, però non posso non pensare che non sarebbe stato tale, o almeno grande come lo conosciamo, se un soggetto in cui coesistevano risorse, intelligenza, e amore per il sapere non fosse esistito. Per la cronaca si tratta di Cosimo De Medici detto il Vecchio. La “committenza” quindi, è colei che determina la qualità di ciò che ci circonda, che pone l’obiettivo, finalità e limiti del nostro operare.
Nel contesto socio-economico in cui viviamo la committenza, specie quella pubblica ma non solo, ha la responsabilità di essere guida di uno sviluppo, ha il dovere cioè di proporre una visione non volta alla sola sopravvivenza ma che produca e tenga in vita un fermento costruttivo. Il fenomeno della new deal diede vita a una delle società occidentali a cui siamo costretti a guardare ogni giorno in tutti i campi, se non è totalmente così possiamo solo esserne felici. Tuttavia è facile costatare che la ricchezza storico-artistica italiana di cui ci vantiamo è eredità del passato, una rendita incommensurabile e non quella che contribuiamo a realizzare giorno per giorno.
Le opere di Architettura oggi.
Il collega Francesco Guida pone un problema di metodo gigantesco, e trovo corretto il ragionamento con il quale indaga un prodotto architettonico. Ciò che intendo affermare, in modo del tutto svincolato all’opera ebolitana di cui si sta parlando e per la quale i colleghi progettisti avranno profuso sicuramente il massimo impegno, è che i riferimenti sui quali poggia l’analisi proposta dovrebbero precedere un evento o appartenere a una platea ampia. Non m’illudo sul fatto che possa essere la totalità della platea, e il necessario coinvolgimento non può essere l’ostacolo contro cui andare miseramente a frantumarsi. Tra i tanti obiettivi che una società piccola o grande dovrebbe avere, esiste quello di realizzare Architettura che tenda alla comprensione della gente e viceversa, ciò presuppone metodi nuovi e dirompenti, compito verso il quale siamo tutti chiamati e tutti responsabili. I soggetti, città e attori protagonisti di un’opera, devono essere in grado di snocciolare la profondità dei loro intenti, di andare oltre la geometria quale regola di protezione formale che non basta, andare oltre l’abituale.
Non mi nascondo, noi architetti italiani siamo una categoria abbastanza “particolare”. Intanto rappresentiamo il 30% della totalità europea, nel deserto sconfinato dell’Architettura contemporanea nazionale siamo capaci di costruire i tratti di una personale gloria, visibile solo ai nostri occhi tanto per consentirci di auto-classificarci tecnici, pseudo-tecnici o dispensatori di segni ispirati/ispiratori, ciò tende ad allenire la consapevolezza dell’essere ingranaggio.
Dibattere sul tema della qualità del fare architettura è cosa complicatissima, concordo con un maestro della disciplina il quale afferma che ciò che si vuole oggi è realizzare icone architettoniche informate di indifferenza formale, declassificando il luogo in non luogo. La verità è che il luogo prima di essere uno spazio fisico e appartenere a chi opera deve appartenere a chi lo vive, in tal caso anche uno normodotato pseduo-architetto-artista nipponico avrebbe più successo. La velocità con la quale la società cambia è, di fatto, richiesta all’Architettura di oggetti, i quali in nome della flessibilità funzionale fungano da contenitore da esibire. Questo è un argomento affascinante e alto che non può prescindere dalla consapevolezza che il tempo muta i modi del nostro vivere. Un dibattito aperto a chiunque abbia amore per il sapere che andrebbe affrontato in tempi non sospetti, lontano dalle dinamiche di fine impero.
Ciò mi introduce a riflettere sul nostro giardino.
In questi mesi ho potuto capire quanto l’immagine della storica Piazza della Repubblica fosse così forte almeno per quanto concerne la vecchia fontana. Al netto del moto nostalgico del mezzo social “I like” che sembra amplificare non tanto la capacita di controllo e possesso dello strumento ma solo la possibilità di gestirlo, andrebbe fatta una riflessione sull’attuale impianto della intera area. Il tutto è pensato secondo lo schema del tridente in cui via Carlo Rosselli interpreterebbe un accesso centrale a Piazza della Repubblica e nel quale, per un effetto di concausa, alcuni elementi simbolici sembrano intoccabili. Sappiamo che non è così, è del tutto evidente che se anche non ci fosse quel famoso “buco” alle spalle della piazza, saremmo tutti in grado di esprimere una valutazione riguardo alla qualità dell’edificato, ai caratteri dimensionali e a quei fenomeni di vita sociale e commerciale che distinguono il Viale Amendola e Via Carlo Rosselli. Il tridente nella realtà attuale, ma anche in quella futura ipotizzabile, ha e offrirà una gerarchia differente delle strade da quella che aveva in mente Gaetano Genovese. Mi rendo conto che tale osservazione possa apparire dissacrante, ma ritengo che la geometria non sia tutto sia in fase di progettazione (pre-visione) sia in quella di verifica (controllo).
Vitale è rischiare di avere una visione realistica di ciò che accade intorno a noi e non rifugiarsi in semplici alternative, infatti sia il concetto di centralità di Piazza della Repubblica sia la dinamica della Città hanno subito delle modifiche inevitabili. Inoltre con la stessa caparbietà con la quale si insiste sul ritorno al passato si dovrebbe intanto concretamente agire e non solo fare allusioni su destinazioni varie o presunte delle vecchie fontane. Perché una cosa è assolutamente sicura, o si rimette l’originale vasca o si scade nella ridicola riproduzione in stile. La cosa più importante è riflettere sulla presenza del monumento di Vincenzo Giudice lì dove si trova e perché stia oggi in quel punto. Il non interrogarsi da parte di tutti su questo aspetto, ha prodotto una cosa strana un concetto opinabile ovvero il monumento-fontana o se preferite la fontana-monumento. La domanda dei non rassegnati sarebbe d’obbligo e cioè il monumento celebra l’elemento acqua? Testimonianza è che dovunque se ne parli ognuno usa la parola “monumento” riferendosi alla fontana o viceversa. Non voglio banalizzare l’uso dell’acqua, naturale e simbolico elemento nell’architettura e non trovo scandaloso che ci sia anche nella futura opera, piuttosto mi chiedo se è la realtà ebolitana che tritura in modo inconsapevole (cosa che ritengo peggiore) il significato di ciò su cui chiama a operare. Riempiamo una nuova fontana svuotiamo di significato l’opera.
Semplificazioni di questo tipo accadono quando bisogna amministrare due idee, due sentimenti ormai consolidati e non guidati, ma qui ritorniamo al discorso della committenza già trattato. Sono stato personalmente sempre del parere che l’abbeveratoio, volgarmente definito, fin dalla sua apparizione potesse essere recuperato nella esteticità facendo prevalere meno la massa a vantaggio di una leggerezza. Paradossalmente il precedente impianto giacché inventore del concetto “monumento-fontana”, era l’unico che potesse conciliare le due esigenze. Non è un caso che la vasca e gli elementi principali del monumento vivessero una distanza fisica, ma presenti all’interno di uno stesso sistema spaziale che permetteva una relazione tra chi lo “percorreva” e le opportunità che esso offriva. Nel campo dell’Architettura si fa riferimento spesso al “tempo” come quarta dimensione che attraversa lo spazio, non lo contempla ma lo vive, offre scorci alla vista e occasioni alla riflessione. Questo dovrebbe farci riflettere su cosa debbano essere i monumenti, si pensi a ciò che comprende oggi il termine e cosa all’inizio del secolo scorso. Quello che possiamo fare in futuro, senza interrogarci, è creare delle repliche, ri-manipolazioni funzionali alle esigenze gestionali dell’opera o prendere al volo un’altra occasione. Naturalmente quando parlo di individuare una nuova posizione del Monumento a Vicenzo Giudice non intendo declassificarlo a una marginalità, al contrario ritengo che debba essere difeso da allestimenti che nulla hanno a che fare con le attività e funzioni poste in essere affinché le gesta siano tramandate. Chiaramente il committente pone le linee guida, le norme e procedure attraverso cui ciò che ritiene serva venga prodotto.
Mi trovo in netto dissenso con il collega Francesco Guida rispetto al proliferare di organizzazioni, movimenti etc. se non altro perché leggo argomentazioni pro e contro, critiche ed endorsement che ritengo rasentano il chiacchiericcio estivo, che per certi versi sembrano mosse da residenti all’estero. Considerazioni dal sapore antico o stantio anche da miei coetanei, alcune tesi sembrano poggiare su concetti di territorialità degli attori, sulla preservazione di una frontiera delle idee o, la più ricorrente, la sindrome del meno peggio al peggioSicuroEventuale che incombe. Mi chiedo, dove sia la lungimiranza della nostra generazione protagonista della globalità, che non ha limiti nella libera informazione/formazione, se le valutazioni si riducono ad ambiti locali. Chiaramente a questi livelli è più utile concentrarci esclusivamente sul rattoppo del marciapiede sotto la nostra suola. Giovani e adulti che dibattono e si dilungano tra il discutibile-certo e il forse-migliore è l’esatta fotografia di una società ferma, di cui chi è chiamata a rappresentarla ne è espressione logica perché di essa è il prodotto.
Ritengo che il dibattito ci debba essere sempre e debba essere maturo, non prestarlo a strumentalizzazioni. Personalmente sono convinto che ogni occasione di riflessione non debba mai puntare al blocco o all’immobilismo perché sarebbe un fine che non apparterrebbe al cittadino, nessuno, ogni volta che un’opera è bloccata, mutilata o rimandata, in logica, può gioire.
Eboli, 16 agosto 2014
FINALMENTE
CUCCARANO,VOLA BASSO SIAMO AD EBOLI,UN PIASTRELLISTA E’ GIA’ UN ARTISTA,NON SCOMODIAMO I GIGANTIDEL PASSATO CERCHIAMO DI ESSERE REALISTI,E CONSIDERIAMO UNA FORTUNA CHE CI SIA LA SOSTITUZIONE(visti i tempi di magra economica) DELL’OBBROBRIO,L’ABBEVERATOIO,SPACCIATO PER FONTANA,E ANCOR PIU’ x UNA OPERA D’ARTE!
I FAVOLEGGIAMENTI ALLA FUKSAS,NUVOLE E ALTRO, STIANO IN ALTRI LUOGHI E X ALTRE TASCHE.
Ottimo giudizo professionale. Grsnde professionalita di massimiliano. Questo e un interventp serio
Ringrazio il collega per aver sostenuto il mio articolo e per aver mantenuto vivace il dibattito, ma anche il direttore Del Mese per aver voluto allinearne il pensiero a tutto vantaggio di un confronto sul tema architettonico che, per quanto mi riguarda, è l’unico che ancora mi appassiona. Poi, come sempre, esprimo ancora il mio personale punto di vista e mi ricollego a quanto giá scritto ( vedasi articolo “…. A proposito del monumento a Vincenzo Giudice del 21/06/14) e ribadisco che sono i “modi” che fanno crescere il pensiero. Significati e simboli non bastano a custodire le finalitá dell’opera che si propone di costruire, che si vuole consegnare alla collettivitá. Aggiungo sottolineando che, qualche tempo fa, giornalisti di indiscusso spessore hanno sentito la necessitá di lanciare, attraverso un quotidiano nazionale, una petizione sulla approvazione di una riforma che facesse contare i cittadini. In poco tempo sono state raggiute ben oltre 230 mila firme. L’obiettivo mio allorquando sostengo l’azione dei singoli non è dunque quello di inneggiare alla rivolta bensi facilitare una democrazia più orizzontale e più partecipata, al pari di come fai tu, caro collega e come tenta di fare, ormai da tempo, il direttore Del Mese con il suo blog, anche a rischio di suscitare alcune inconsistenti reazioni ” avvelenate”.
@ guida
vuoi darmi un consiglio in che modo devo mettere le mattonelle in bagno, così cresce il mio pensiero xxxxxx xxxx?
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Che ca…… vuole dire il sig. Arch. io non ho capito ….avvelenata dato che tu sei molto più intelligente di me mi fai un riassunto breve a me e all’arch…cosi si capocentro
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@ pietro
non sono + intelligente , no assolutamente!
Cuccaro , ha voluto dire….eh…eehh…..eeehehehehe….mahh ….bohhh . Ah ecco: siccome c’è crisi di lavoro , e molti archietti, avvocati, bilogi, etc etc. fanno la fame , per racimolare qualche cliente, si mettono a dire cazzate su qualsiasi argomento. Purtroppo ci è capitato anche il povero Massimiliano, diverso è per l’estensore del primo articolo critico del monumento, il quale il lavoro c’è l’ha, però ha voluto dire la sua perchè ……
inutili sofismi,scatole cinesi..
orbene,cari signori,una saggia e corretta sospensione di giudizio,ad opera compiuta vedremo,se gli archi-star (alla mozzarella) avranno visto giusto,o se come penso,un modo per farsi un pizzico di pubblicità!
Complimenti avvelenata, ottima analisi!
L’operazione si iscrive semplicemente nella DEROSANIZZAZIONE che Melchionda sta portando avanti da anni eliminando tutto quello che di meglio è stato(oggettivamente) creato in questo paese iniziando dagli uffici comunali
il tempo è un galantuomo,restituisce la dignità!
oggi rimpiangiamo Rosania,ai suoi tempi + criticato che lodato!
fra un po rimpiangeremo Bassolino,visto che il signor Caldoro è riuscito nell’imppresa di far peggio!
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E che c….. x trovare come al solito visibilità l’arch e Massimiliano descrivono c……. si scomoda una filosofia x il lavoro che costringono umisero lettore del blog a chiedere spiegazioni alla sig a o sig avvelenata ah ah ah eh eh…..arch. x cortesia esiste in po soft….
L’intervento del Cuccarano, purtroppo, mi ricorda la lettura di quei noiosissimi testi di storia dell’arte che dicono tutto e niente. Che scomodano i Michelangelo e i Cosimo de’ Medici, i Leonardo da Vinci e i Botticelli, i Giotto e i Cimabue…fino ad arrivare ai nostri fantastici artisti moderni del nulla.
Ma più che di immensi artisti del passato, il noioso saggio cuccaranese mi ricorda quel famoso e attualissimo testo di Giacomo Leopardi DISCORSO SOPRA LO STATO PRESENTE DEI COSTUMI DEGLI ITALIANI.
In sintesi, il nostro grande poeta considera noi Italiani crudeli, cinici, incapaci di vera moralità ma solo di abitudini indifferenti a tutto tranne che a se stessi! Gli Italiani fanno tutto per gioco perché non hanno stima di nulla. Ma in questo essi si dimostrano più filosofi di Francesi ed Inglesi, in quanto il loro occhio, meno distratto dai lustrini della “società”, è più abituato al vuoto e “all’infinita vanità del tutto”. Ecco, questo mi ispira l’intervento del nostro critico dell’arte.
Ma, continuatore di tale pensiero leopardiano è stato anche Alexis de Tocqueville che considera i lumi(ovvero la Rivoluzione)come distruttori di un tessuto preesistente, etico-sociale, per mettere in moto un meccanismo che è tanto democratico nei principii(l’azzeramento dei privilegi) quanto totalitario nella dinamica.
Azzerato ogni privilegio ed eliminati coloro che per nascita si occupavano della Cosa Pubblica, la società si è ridotta ad un insieme di PRIVATI CITTADINI troppo occupati del proprio interesse personale per rivolgere la propria attenzione alla Politica.
Da qui nasce il trionfo della borghesia e di coloro che sono diventati ricchi o che vogliono diventare ricchi magari lavorando.
In conclusione, la società democratica moderna è mossa da interessi economici e non politici, i poteri dei cittadini tendono sempre più a concentrarsi per delega nelle mani di un numero ristretto di persone, se non di una sola.
Mi direte CHE C’ENTRA TUTTO CIO’ COL SAGGIO di Cuccarano in difesa del monumento-fontana all’eroe Vincenzo Giudice? C’entra, c’entra, eccome.
Perché “l’opera d’arte” in questione è proprio figlia di questi tempi bastardi che stiamo vivendo.
E, per concludere, sempre il grande Leopardi sostiene che il popolo liberato dai suoi principi non inizia una vita più alta, anzi, cade nella barbarie. Così la classe colta deve correre ai ripari, e, non potendo proporre alcun valore morale, allora propone se stessa: il proprio stile di vita, le proprie preferenze, i propri gusti, le proprie mode.
E cos’, nella fattispecie, questo osannato monumento al nulla diventa l’ultimo simbolo di un connubio pseudo-artistico-politico-sociale.
@ Cicalese. Dopo cuccarano non hai alleggerito la situazione. Traduco per i lettori del blog…”beata l’ignoranza si sta bene de core de mente e de panza”
@veleno_del_mese – lo so che non ho alleggerito apposta. Ma ai cuccarano si risponde in cuccaranese. Altrimenti pensano di avere il monopolio della cultura. E, poi, ogni tanto fa bene al corpo usare anche il cervello. Il tuo proverbio sull’ignoranza mi ricorda tanto FRANZA O SPAGNA PURCHE’ SE MAGNA. Ma non puoi continuare a insegnare ste cose al popolo. Si vede la fine che gli hanno fatto fare i cuccarano!!!