Il divieto del mandato imperativo formulato dai costituenti della Rivoluzione francese, è presente in tutte le Costituzioni ottocentesche, compreso quelle del Novecento. Grillo-e-Guru non sanno nulla.
I parlamentari non devono essere emissari, portavoce dei loro padroni e signori. Esattamente come pretendono oggi Grillo e il suo guru. Fingono di praticare una nuova democrazia diretta (telematica) e violano magroscopicamenete la costituzione.
La libertà degli eletti
ROMA – Nel mio ultimo pezzo di febbraio il cui titolo doveva essere Le bugie elettorali dalle gambe lunghe scrivevo in esordio: «Che brutte elezioni». Era facile indovinarlo, ma non ho indovinato abbastanza. L’elezione è stata più che brutta, bruttissima; e il bello è che tra i suoi tre quasi-vincitori è stata quasi vinta da una organizzazione incostituzionale. Io non ho titolo per sottoporre la questione all’esame della Corte costituzionale. Ma l’Italia, mi raccontavano da bambino a scuola, è «la patria del diritto». Del diritto romano certo; ma del diritto costituzionale delle democrazie rappresentative (moderne) si direbbe proprio di no. E ancor meno ne sa, temo, la appena eletta presidente della Camera che ha esordito con questa puerile sparata retorica: «Noi abbiamo la più bella Costituzione del mondo».
Temo di no. Ho sostenuto più volte che quel testo andava emendato sui poteri del governo, che sono insufficienti; che i nostri costituenti avevano dimenticato di richiedere ai partiti dei veri e propri statuti, e che non avevano previsto lo «stato di emergenza» o di necessità: un istituto che sarebbe davvero servito, per esempio, a legittimare e rafforzare il governo Monti senza dover ricorrere alla fragile finzione del «governo del presidente». Ma salvo ritocchi come questi, ho sempre avversato l’idea di scrivere una nuova Costituzione ricorrendo ad una Assemblea costituente di politici.
Le buone Costituzioni sono sempre state stilate da giurisperiti, mentre le Costituzioni che sono un parto assembleare (vedi America Latina) sono state quasi tutte pessime (come non potevano non essere). Comunque, il primo punto da fermare è che il XX secolo ha anche prodotto Costituzioni intelligenti e innovative quali la attuale Costituzione della Germania federale, e la Costituzione semi-presidenziale (da non chiamare presidenziale, come è invalso nello sciatto giornalismo dei nostri giornali) della V Repubblica francese, la Costituzione stesa da Debré (e poi in parte modificata, ma senza danno, anzi).
Ma veniamo al punto che davvero importa. Questo: che il divieto del mandato imperativo è stato formulato dai costituenti della Rivoluzione francese, e che da allora si ritrova in tutte le Costituzioni ottocentesche e in buona parte anche in quelle del Novecento. Perché? Semplicemente perché istituisce la rappresentanza politica (di diritto pubblico) dei moderni. Senza questo divieto si ricadrebbe nella rappresentanza medioevale, nella quale, appunto, i cosiddetti rappresentanti erano ambasciatori, emissari, portavoce che «portavano la parola» dei loro padroni e signori. Il loro mandato era imperativo perché dovevano solo riferire senza potere di trattare. Esattamente come pretendono oggi Grillo e il suo guru.
Mi sembra chiaro che della ragion d’essere costituzionale (ineliminabile) del divieto del mandato imperativo (la cui formula è: «I rappresentanti rappresentano la nazione») Grillo-e-Guru non sanno nulla. Ma questo non li giustifica né li legittima. Fanno finta di praticare una nuova democrazia diretta (telematica). Ma la verità è che nel loro macchinario ha voce, e parla, solo la loro voce. Confesso che non riesco a capire come la nostra Corte costituzionale non abbia sinora veduto una così macroscopica violazione costituzionale.
Roma, 17 aprile 2013
Che Giovanni Sartori sia ferocemente e strumentalmente contro il MoVimento Cinque Stelle, nella sua identità di comuni cittadini che scendono in politica interessandosi direttamente della cosa pubblica, non è una novità, definizioni feroci contro questo Movimento politico si leggono un pò dappertutto già dall’epoca della sua nascita, nel 2010. Se non altro, non ha cambiato opinione, non si capisce se lo faccia per garantirsi una sua visibilità personale (che mestiere è quello del politologo?) o se ne sia convinto veramente.
In ogni caso, indipendentemente da quello che dice Sartori, io credo che chi viene eletto a rappresentare i cittadini, sotto il simbolo di un partito o di un qualsiasi movimento politico, sia stato scelto da coloro che l’hanno votato in quanto questi ha condiviso una ipotesi di programma sul quale deve rendere conto ai cittadini. Coerenza vorrebbe che, ove tale impegno subisse un cambio di opinione non soggetto alla condivisione da parte dell’elettorato che lo ha votato, questo (non più) rappresentante del volere dei cittadini dovrebbe avere l’obbligo morale di dimettersi dalla carica che gli è stata assegnata. Ma, poichè in Italia le parole coerenza e “obbligo morale” sono in gran parte sconosciute ai più, visto che chi viene eletto il giorno dopo si concede il lusso di fare il cavolo che gli pare in barba sia al Partito che lo ha messo nelle proprie liste sia in barba al volere dei propri elettori, io credo che questa assenza di vincolo di mandato sia una cosa altamente deleteria. Forse potremmo accontentare Giovanni Sartori conservando l’autonomia dell’eletto che lo rende libero dal vincolo di mandato, ma sopprimendo completamente ogni partito che, grazie al suo nome ed al suo simbolo, ne ha garantito l’elezione. In questo modo forse il mestiere di questo politologo assumerebbe un significato di senso compiuto.
Appare evidente come il curatore del blog abbia in grande considerazione la riflessione di Sartori. Legittimo, ovviamente. Tuttavia occorre osservare, spassionatamente, quanto sia pericoloso presentare i mantra di così tanti politologi come il verbo assoluto, la verità universale. Ricordiamo, nel passato, G. Baget Bozzo? Oggi ci sono Sartori (beh, è un bel pezzo che canta i suoi mantra, almeno 40 anni), Della Loggia, Edward Luttwak, etc. Io provo a ragionare sempre con la mia testa, invece, accettando il confronto, l’interazione, lo scambio di idee. Ma rigetto i mantra, le litanie suonate per apparire o comparire sul palcoscenico della comunicazione. Nel merito quali sono le riflessioni argute di Sartori? A me appaiono piuttosto come demagogiche rappresentazioni basate su preconcetti. Dov’è che il M5S appare in contraddizione con il dettame costituzionale? Dov’è la mortificazione antidemocratica levata nei confronti degli eletti? Lo dce egli stesso, il Sartori, che la Carta Costituzionale considera gli eletti rappresentanti del popolo, con un mandato rappresentativo, appunto. Ebbenne, in virtà di quale patto politico-elettorale hanno ottenuto la fiducia e il mandato costoro? Con il porcellumo, ancor di più, mi appare incomprensibile tutto ciò, caro Sartori. Del resto, non mi sembra che un cittadino possa candidarsi da solo e da solo proporsi agli elettori ed ottenerne la fiducia elettorale. Anche la presenza parlamentare, la stessa Carta Costituzionale, caro Sartori, la individua e la programma all’interno dei gruppi parlamentari. Ecco, il patto è tra gli elettori, l’eletto e il programma politico che l’eletto ha rappresentanto sotto un simbolo, un paritito, delle firme raccolte per la presentazione della lista, delle idee vendute in cammpagna elettorale che, queste si, dovrebbero essere un vincolo di mandato, caro Sartori. Credo, in tutta onestà, che Sartori, gran bella mente negli anni ’70, oggi segni il passo di una riottosità verso i mutamenti. Peccato, poichè da sociologo della politica, i mutamenti dovrebbero essere una sua ambizione sicentifica. Si soffermi piuttosto, Sartori, sull’analizzare lo status di profondo malessere della nostra società, i cancri che l’affliggono e, di contrasto, valorizzi o guardi con maggiore attenzione la ribellione civica di cittadini inermi, semplic, liberi, puliti che, mettendosi in gico, con tutte le lacunosità prevedibili e fisiologiche, gridano ad una democrazia attiva, nel nome del proprio futuro.