Con il Bando per il reclutamento di giovani professionisti di supporto al PUC si vorrebbe avere la “Botte piena e la moglie ubriaca”.
Il volontariato urbanistico è una “proposta indecente”. Come si è giunti a credere di poter mortificare le professionalità implicate in un’operazione di questo genere, già così provate e marginalizzate dalla crisi economica e dal clientelismo dominante nel sud?
BATTIPAGLIA – Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento dell’Architetto Luigi Manzione che, sollecitato dalle vicende relative al bando di reclutamento di giovani professionisti da parte del Comune di Battipaglia, di supporto alla struttura progettuale incaricata a redigere il PUC, e dall’articolo pubblicato su POLITICAdeMENTE dal titolo: “Giovani ingegneri e Architetti per il PUC senza compensi: Montano le proteste” ha sentito la necessità, da studioso e profondo conoscitore della materia urbanistica, di fare alcune considerazioni, per offrirle ai lettori, come ha fatto in altre occasioni, solo allo scopo di contribuire ed alimentare un dibattito, nella speranza di contribuire a migliorare indirizzi e scelte.
La situazione per l’Architetto Manzione è tipica di chi vorrebbe avere “la botte piena e la moglie ubriaca“, nel senso che mentre da una parte ci sono lauti compensi, dall’altra con il pretesto della mancanza di fondi, si vuole un “volontariato urbanistico“, naturalmente a spese di giovani professionisti, in barba agli interessi e alle grandi manovre economiche che quegli interessi muovono. E se quel Bando non rappresenta quella che si può identificare in una “Proposta indecente“, allora si può etichettarla come una “proposta sfacciata“.
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Volontariato urbanistico
di Luigi Manzione
Architetto
Le recenti vicende del bando di reclutamento di figure professionali per la struttura organizzativa del piano urbanistico comunale di Battipaglia costituiscono l’occasione per riflettere sullo stato dell’arte del “governo del territorio”, con particolare riferimento alla realtà locale. Il contenuto del bando è evidentemente atipico, tanto che la diffida dell’ordine degli Architetti della provincia di Salerno non ha difficoltà a smontare l’impalcatura sulla quale cerca di arrampicarsi. Trovo però che tale bando non sia sorprendente, almeno agli occhi di chi vive o anche soltanto segue la pianificazione in Italia e, nello specifico, nel Mezzogiorno.
L’idea che l’urbanistica possa essere considerata una sorta di Croce rossa – una provvidenziale organizzazione di volontariato – è senza dubbio originale e inedita, ma non è senza ragioni ed agganci con la realtà. Scandalizzarsi di questo non serve né a trovare spiegazioni, né a contribuire, per quanto è possibile, alla introduzione di “buone pratiche” nella elaborazione e nel confezionamento degli strumenti urbanistici. Come si può ritenere legittima l’assunzione di figure professionali operanti a titolo gratuito, ossia in maniera volontaria, in un contesto quale la formazione di un PUC, notoriamente attraversata da connessioni dense con la realtà socioeconomica (e con gli interessi imprenditoriali nel senso più ampio possibile)? Come si è giunti a credere di poter mortificare le professionalità implicate in un’operazione di questo genere, già così provate e marginalizzate dalla crisi economica e dal clientelismo dominante nel sud?
La risposta è tanto più ardua se si pensa che l’elaborazione degli strumenti urbanistici comunali diventa sempre di più un aspetto fondante delle strategie, spesso limitate (in quantità e qualità), delle amministrazioni locali, una scommessa politica e di potere. Si pensi ai tanti casi, come a Eboli, in cui un’amministrazione appena insediata si imbatte nell’impresa di riscrivere le regole di governo del territorio, affidando a tali regole una valenza imprescindibile nell’azione amministrativa. Difficile tuttavia rimanere, in questo campo, all’altezza dei compiti e delle aspettative. Si verifica infatti non di rado uno scollamento notevole tra intenzioni e realtà che, in concreto, si traduce in inefficienza, assenza di coordinamento, ritardi inaccettabili (con conseguenti effetti negativi sull’assetto del territorio e sulla stessa economia locale che programmaticamente si vuole invece promuovere e rivitalizzare).
Particolarmente contraddittoria, a mio avviso, è la pretesa di far convivere regolari (e regolarmente retribuiti) affidamenti di incarico per la redazione di strumenti urbanistici con la composizione di una struttura organizzativa – quella che fa il lavoro “sporco” per intenderci – basata su figure non altrimenti definite (neolaureati con o senza iscrizione all’albo professionale?). Figure che dovrebbero prestare la propria collaborazione a titolo gratuito. È l’accoppiata contraddittoria che non convince: occorre invece capire che la soluzione c’è e si chiama “ufficio di piano”. Se i Comuni non possiedono risorse economiche per assumere professionalità esterne capaci di garantire l’espletamento dell’intero processo di piano – dalla formazione all’approvazione –, hanno tuttavia risorse umane al loro interno da poter impiegare in una struttura tecnica, previ formazione e aggiornamento. Il ruolo dell’urbanista professionista esterno dovrebbe essere per l’essenziale quello di supporto “scientifico” e di coordinamento di una struttura propria del Comune. Diversamente, se tale struttura, per diverse ragioni, non può essere formata con personale esistente, non è pensabile ricorrere a personale esterno senza adeguato compenso (fosse anche una borsa di studio per neolaureati, non iscritti all’ordine).
L’ipotesi di coinvolgere gli sponsor e, in generale, gli stakeholder nel reperimento delle risorse economiche per far fronte al compenso di figure impegnate in una struttura organizzativa mi sembra davvero insostenibile. Gli interessi degli stakeholder sono legittimi fin tanto che il loro gioco si esercita nella individuazione di soluzioni e prospettive, anche nella contrattazione sulle scelte che impongono un dialogo e una sinergia reale tra pubblico e privato. Pensare di coinvolgere gli stakeholder nella remunerazione di figure che dovranno elaborare, in concreto, il piano urbanistico mi sa tanto, invece, di conflitto d’interesse. Come può mantenersi neutrale e libero chi è pagato per svolgere il proprio lavoro da un insieme di operatori che possono legittimamente far valere i propri interessi nella costruzione di un orizzonte di governo del territorio mediante procedure partecipate, ma non di certo esercitare pressioni oltre tale ambito?
Nello stesso ordine d’idee, ma con strumenti diversi, si era mosso nel 2011 il comune di Baronissi indicendo, mentre era in itinere la redazione del PUC (ovviamente secondo le regolari procedure vigenti nel mercato degli affidamenti di incarico), un concorso intitolato “Il territorio al centro dell’attenzione” per reperire idee sullo sviluppo della città e del territorio. Anche qui mi sembra che la contraddizione regni sovrana: se si sta (si stava) lavorando alla redazione di un piano comunale, qual è la logica di ricercare ipotesi al di fuori di quanto si sta costruendo, spesso con fatica ed incertezza, anche grazie alla partecipazione dei cittadini? Si ritiene, forse, insoddisfacente o limitato il lavoro di chi è stato chiamato a redigere il PUC? Se invece l’intento è di promuovere una partecipazione alle scelte dal basso, esistono procedure di condivisione e di acquisizione del parere dei cittadini (non solo dei tecnici, come nelle Consultations in Francia) che possono prevedere perfino una sorta di voto per decidere le ipotesi di assetto da adottare.
Le vicende recenti inducono a riflettere, infine, in termini più generali su alcuni aspetti dell’urbanistica di piano e sulla sua deriva presente. Da un lato, infatti, si assiste ad una progressiva perdita di effettualità dell’urbanistica e alla erosione della sua considerazione presso i cittadini (che la vivono come un insieme di apparati vincolistici e non certo di opportunità) e presso le amministrazioni locali (che vi ripongono speranze spesso vane, quasi sempre infondate, facendone pertanto un uso variamente strumentale). Dall’altro, se ne appesantisce di giorno in giorno l’edificio regolamentare, complessificando le norme e le procedure, e rendendo sempre più difficile l’esercizio dei diritti e dei doveri connessi al governo del territorio.
Tutto ciò mentre si diversificano fino al parossismo le legislazioni regionali e si rimanda a tempo indeterminato l’approvazione di una legge urbanistica nazionale che, finalmente, si sostituisca a quella in vigore sostanzialmente dal 1942 (pur con alcune rilevanti modifiche intervenute nel tempo). Del resto, nonostante tutti i tentativi (più o meno maldestri) di deregulation in materia da parte dei governi nazionali dell’ultimo decennio, chi conosce l’iter per la semplice acquisizione di un’autorizzazione edilizia non può non lamentare la miopia e l’aberrazione di certi procedimenti burocratici. Tanto da concludere che, sul terreno dell’urbanistica, il decentramento ha forse portato, almeno finora, più problemi che soluzioni (per i cittadini, per i tecnici, per i funzionari, etc.).
La crisi economica contribuisce ad accentuare la condizione critica a cui si accennava: la limitatezza, se non l’assenza, di risorse finanziarie induce a prefigurare pratiche di pianificazione in certi casi non solo incerte dal punto di vista disciplinare, ma ai confini della legittimità (se non della legalità). Pur nelle necessarie dinamiche economiche ed imprenditoriali, la sovrapposizione (spesso in forme viscose) di interessi, che si acuisce nell’attuale situazione di crisi, non è soltanto il segno di una difficoltà ad esercitare in maniera condivisa e autorevole il governo del territorio, ma una minaccia sempre più pesante per la sopravvivenza e le prospettive di un bene pubblico per eccellenza quale il territorio. Intanto le città sprofondano in una matassa inestricabile di problemi e di contraddizioni e i cittadini si allontanano sempre di più dall’orizzonte del civismo, della partecipazione e della politica.
Battipaglia, 18 gennaio 2013