Spaccato di storia Ebolitana, “la stampa dell’immediato dopoguerra” con “Rinascita Democratica”.
Con Mariano Pastore, riviviamo pagine semplici della nostra storia cittadina. Storia che si intreccia con quella nazionale e osservando le pagine del giornale ebolitano “Rinascita Democrartica”, e con eventi storici come l’ultima Guerra Mondiale, la ricostruzione civile, sociale e politica della nostra Città e dell’Italia.
EBOLI – Ancora grazie a Mariano Pastore, riviviamo pagine semplici della nostra storia cittadina. Storia però che come al solito, si intreccia con quella nazionale e come nel caso inispecie, osservando le pagine del giornale ebolitano “Rinascita Democrartica”, con eventi storici di grande rilievo come l’ultima Guerra Mondiale, i primi anni della ricostruzione, civile, sociale e politica della nostra Città e dell’Italia.
Momenti difficili e delicati che hanno poi prodotto quella democrazia e qualla Carta Costituzionale, nella quale oggi più che mai ci riconosciamo, e alcuni vorrebbero smantellare per minare quelle difese democratiche che i nostri padri costituenti hanno faticosamente innalzato dopo il “ventennio” e dopo il conflitto mondiale.
I temi quindi che gli uomini politici di allora affrontavano erano carichi di valori, ma anche di respiro nazionale e quindi evidenziavano anche come la nostra Città fosse importante, e tra le righe si comprende come l’Italia stesse rinascendo e come si avvertiva il peso di quei momenti così difficili. Siamo agli albori della nostra giovane Repubblica e negli articoli di Antonio Romano, Franco Romano Cesareo ed altri che contribuivano con il loro impegno politico e civile alla nuova Alba della democrazia.
Mariano Pastore ci fa comprendere anche come quei tempi non fossero dissimili a quelli che viviamo ora, e se allora si doveva ricostruire fisicamente il Paese, oggi che quella fisicità non è in discussione si deve ricostruire i valori fondanti che i nostri Padri Costituenti ci hanno lasciato. La nuova sfida è quella di fortificare, l’onore, la morale, l’onestà, la legalità, la giustizia, la solidarietà, l’amore, che l’uomo ha perso.
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di Mariano Pastore
Mettendo mano alle tante cianfrusaglie da me raccolte negli anni passati, mi è pervenuto tra le mani un giornale indipendente ebolitano nato nel 1944, Rinascita Democratica, sono in possesso di tre numeri, questo che pongo alla vostra attenzione (per me il più interessante) è il nr. 4 Anno secondo datato Eboli, 25 marzo 1945. Usciva con cadenza settimanale al costo di lire 3, l’Abbonamento era solo per i sostenitori e il suo costo ammontava a lire 200, il formato era 31 x 43 ed era composto da un solo foglio, la direzione era ubicata in Piazza F. Spirito 4, con la direzione di Franco Romano, veniva stampato a Salerno nella tipografia DI GIACOMO.
Questo numero composto come già detto in due facciate conteneva le seguenti notizie, in prima pagina : l’editoriale, Paese reale e paese legale, Quei quattro signori di Eboli, Posso dire la verità?, Figure ebolitane dell’epoca fascista e pre-fascista Matteo Adinolfi, I vari nomi della nostra città e de’ loro significati di ANTONIO ROMANO.
Seconda pagina divisa quasi a metà, con il seguito di articoli dalla prima pagina, con altre notizie di vario argomento, mentre l’altra parte composta dalla CRONACA e da noticine varie comprese le sportive.
1 Editoriale del direttore – Paese Reale e paese legale, di Franco Romano.
Gli ultimi casi, dalla fuga del generale criminale alla conseguente reazione popolare, sono altri chiari segni della profonda frattura esistente tra governo e popolo, anzi tra la classe che ancor oggi pretende di dirigere la vita e la rinascita italiana e il popolo; tra paese legale e paese reale. Questa frattura, dopo la crisi del primo gabinetto Bonomi, è diventata più vasta e profonda poiché tutta l’azione di questo governo, tendente sin dal suo formarsi alla salvaguardia di quel mito che è la cosiddetta “continuità giuridica”, ha prodotto come conseguenza immediata il rafforzamento di quelle forze reazionarie, alta casta militare e burocratica e grossi esponenti della finanza e dei grandi agrari, che sopravvissuti al crollo dell’infame regime del passato, tentano di organizzarsi all’ombra del trono per sopravvivere e conservarsi. D’altro canto si verifica l’indebolimento nel gioco delle forze in contrasto, delle posizioni della nuova democrazia che tenta le vie del suo logico rinnovamento in Italia e che attraverso il Comitato di Liberazione ed altri movimenti nuovi, testimonia della esigenza di quel profondo rinnovamento strutturale dell’organismo politico italiano che gli uomini intelligenti e tutti antifascisti sentono in maniera acuta e direi quasi violenta. Quando il generale criminale fugge, è inutile che il governo prometta il milione. Tutto il popolo sa che ciò non servirà a niente e che le altissime responsabilità di cui parlano i giornali sono quelle di coloro che avendo lasciato andare il paese in rovina pretendono di avere ancora il diritto di governarlo e rappresentarlo. In Italia non c’è un Roatta, ci sono mille generali Roatta, tra i quali c’è il generale Badoglio ed il generale Savoia. Non ci sarà epurazione e punizione di delitti fascisti, e queste parole finiranno per suonare come una oltraggiosa beffa, fino a quando rimarranno lì in piedi quelle due colonne attorno alle quali si raccoglie il genera lume dell’ 8 settembre.
Per questo si rinsalda in noi la convinzione che il problema centrale politico è quello della monarchia; e ad una serena e meditata riflessione sembra impossibile che importanti movimenti politici, che si dicono moderni ed innovatori, abbiamo potuto considerare secondario questo problema e rimettere la soluzione ad un tempo futuro. Con la monarchia presente che tende le sue forze per sottrarsi all’inevitabile investimento che di essa ad un certo punto l’opera di epurazione dovrà pur fare, tutti gli sforzi per un rapido accantonamento dei residui fastistici e per la ricostruzione democratica del Paese sono e rimarranno sforzi vani. Ma al disotto ribolle d’ira e d’indignazione l’animo delle immense categorie di italiani che hanno sete di giustizia e intendono vedere che il governo affronti democraticamente i più urgenti problemi della nuova Italia e agisca con rapidità e forza al di fuori del cerchio del neofascismo dinastico.
Nell’attuale momento, anche se la situazione non può essere sbloccata con la cacciata del Savoia, il problema e di avere un governo che informi tutta la sua azione a quelle che sono le necessità e le esigenze più sentite e profonde del nuovo spirito italiano e difenda, contro tutti, gli sforzi per la costruzione di una nuova democrazia. Se l’azione governativa sarà fiacca e la frattura fra la rinforzata classe reazionaria che ha ancora tanta parte nella direzione dello Stato e il paese dovesse aggravarsi, lo scontro violento sarà inevitabile e, dopo tante rovine e così vasta tragedia nazionale, gli italiani saranno costretti a battersi tra loro per rifarsi finalmente una patria migliore.
2 Q u e i q u a t t r o s i g n o r i d i E b o l i.
di Franco Romano Cesareo
Si sono riuniti zitti zitti, una sera, e in nome dei partiti che essi dicevano di rappresentare ma che come s’è più tardi visto non rappresentavano affatto, hanno emesso il loro bravo voto di sfiducia. Riconosco senz’altro al Comitato di Liberazione il diritto di dirmi: “lei ha mancato ai suoi doveri e ha tradito la fiducia con la quale il Comitato aveva proceduto alla sua designazione: dunque se ne vada”.
Ma questa proposizione nei miei riguardi deve scaturire dal sereno dibattito dei veri rappresentanti dei gruppi politici costituiti, nel quale addebito e colpe siano precisate, ed in seguito al quale il Comitato possa dire una parola definitiva, che non sia sottoposta a revisione da parte dei vari partiti come è avvenuto. Poiché attraverso le varie sconfessioni dei partecipanti a quel voto, il Comitato ha dimostrato di non essere ancora a Eboli un organo serio, sensibile strumento di questa democrazia che tanto faticosamente tenta di rinascere su terra italiana; ma niente più che un’accozzaglia di volgari pagliacci. E questo è un gran male, non per me, ma per il Comitato. Quando si sa che il Francesco Desiderio va a dare il suo voto di sfiducia mentre il partito che egli dice di rappresentare procede alla nomina del suo assessore nella Giunta Comunale, si ha il diritto di pronunziare nei suoi confronti delle gravi parole che io personalmente, vinto dal sentimento di pietosa indifferenza che ho sempre nutrito verso quest’uomo, mi rifiuto di pronunziare. Quando Antonio Schiavone (che il Comitato provinciale del partito liberale cui spetta la convalida di quella nomina, non ha mai nominato quale rappresentante del partito in seno al Comitato Comunale) si presenta a dare il suo voto, contro la dichiarata volontà di gran parte del suo stesso partito che ha protestato risolutamente contro il suo comportamento, si ha il diritto di esprimere un severo giudizio nei confronti del comitato e dar ragione all’affermazione di coloro che rivelano i veri scopi che fanno muovere lo Schiavone: che sono poi scopi di soddisfare le sue piccole emozioni personali che, a Eboli, non saranno mai soddisfatte.
In quanto al rappresentante della democrazia del lavoro egli sì che è coerente con se stesso: egli che dal secondo giorno in cui io ho assunto la mia carica, ripete con ammirevole costanza che me ne devo andare; lo ripete cioè da un momento in cui né lui né il suo partito avevano elementi per esprimere un qualsiasi giudizio.
E ciò chiarisce la vera posizione di questo gruppo, fermo da otto mesi su una situazione di sterile ed infruttuosa opposizione, che rinnova tristemente la condannevole pratica, propria della politica meridionale, delle miserabili beghe di persone quando il paese è a terra e chi fa qualcosa dovrebbe essere sostenuto dalla concorde collaborazione degli amici o corretto dalla seria costruttiva critica degli avversari.
Più da vicino mi riguarda e più lungo discorso meriterebbe l’adesione data a quel voto del rappresentante del partito d’Azione, la cui sezione ho io costituito a Eboli e nel quale da anni mi pace di militare. L’organo direttivo responsabile ha espresso la sua disapprovazione e la parte migliore del partito mi ha dimostrato la sua solidarietà: ed io ometto di muovere qui le mie rampogne, per fare un’unica ed ultima osservazione.
Se qualcuno del mio partito si schierato contro di me, ciò per tutti gli altri significa che, nella esplicazione dei miei compiti, non mi muove spirito fazioso e tutti egualmente agevolo quanto è possibile o avverso quanto lo crede necessario; che cerco, cioè, di amministrare il Comune onestamente nell’interesse di tutto il paese; e nessun vincolo di partito può indurmi ad azioni contrarie a quanto la mia coscienza mi detta.
F. R. C. Franco Romano Cesareo
3 I vari nomi della nostra città e de’ loro significati
di A T O N I O R O M A N O
Come contributo alla conoscenza della storia ebolitana, e quale inizio di una serie di studi e scritti su gli uomini e sulle cose dell’antica Eboli, pubblichiamo un capitolo della inedita Istoria di Eburi oggi Eboli scritta da Antonio Romano – 1836.
“Questa non meno antica che nobile città dalla sua vetustissima origine sino a secoli presenti varii nomi a seconda delle sue varie circostanze da quei popoli ottenne, che per loro patria la riconobbero: I primi furono quelli di Eburi, ed Eburo; ed indi poi di Eboli, o Evoli, nomi che quantunque differenti fra loro, pur non di meno a gara fan tutti, onde con più particolari attributi fregiarla”. Quindi è, che noi in questo presente lavoro parlando dei suoi primitivi nomi, facciamo parimente conoscere quando, e per quali circostanze vennero quelli di Eboli, o Evoli sorrogati; nonché quello che con tali nomi dinotar voleano i suoi secondi fondatori. Questi dunque antichi popoli Tirreni, ossia Tusci, che il nostro tenimento abitavano, da Plinio vennero col nome antico di Eburini appellati: Lucanorum autem Atinates, Bantini, Eburini, Grumentini, Potentini, etc. (Plinio lib. 3, cap. 2). E così detti furono, dopoichè i Sanniti Tirreni ancor oggi di origine, dopo aver conquistato la Conia e l’Enotria, non più Sanniti colà, ma Lucani appellavansi a quella Regione Lucana venne detta dalla caldea voce Luc, cioè Albus Candidus, appunto perché abitavano tra monti bianchi l’inverno per essere coperti di nevi, e bianchi nell’està per essere di pietra calcarea. Che perciò come che questi Lucani la prima volta che in quella regione viddero l’Elefante, non sapendo il suo proprio nome, per la bianchezza dei suoi denti Bos Luco l’appellarono; onde è che i latini scrittori seguirono lo stesso, tra quali Virgilio (Eneide. VII) ed Orazio parimente: “sive elephas albus vulgi converteret ora ”. Così con eguale ragione dir potrebbesi ancora, che da Ebur, l’avorio cui formasi da bianchi denti di quello venisse Eburum e quindi Eburini detti erano quei Tusci, che nelle nostre campagne abitavano alle vicinanze del Porto, ove stabilirono la loro prima dimora nel luogo che dicesi la Spineta, e del monte Alburnus, cioè Albus candidus, appunto per la pietra calcarea di cui vedesi naturalmente conformato, alla bianchezza dell’avorio somigliante. Ed ecco perché gli antichi latini geografi Eburini li appellarono, quando da Greci questa città Eburon invece di Eburi novamasi, ed i suoi cittadini Eburani giusta quello che ci favorisce dire Ottavio Beltrano nella sua descrizione del Regno di Napoli, non che Marco Fileto Filiceri della città di Campagna in una lettera a Girolamo Giuliani di Eboli indirizzata. Ma dopo tanti e tanti secoli di esistenza da Alarico re dei Goti venne Eburi distrutta come innanzi detto abbiamo. E questo principe nello stesso mentre che meditava allora far una scorreria pelle Calabrie, si propose ancora, si propose ancora distruggere quante città di conto incontrato avrebbe sul cammino militare, acciò di ritorno,, in caso di qualche disfatta colà non li sarebbero state di ostacolo. Eburi dunque essendo per sua sfortuna sulla via militare situata, come città forte e di conto fu per anche in quel tempo con molte altre città distrutta. Gli abitanti di questa città fuggendo si salvarono presso gli antichi suoi casali, che da parte nella piana, e a parte nelle coline situati erano, ove per più stagioni dimorarono. Ma alla fine sceveri dal timore di quei barbari nel di loro animo incusso, di bel nuovo si riunirono, e formarono il corpo della città su di una collina poco men che piana in quel medesimo luogo, che oggi appunto si vede. Questa novella città non fu poi chiamata Eburi, giacchè avean uso quei antichi popoli di non porre il medesimo nome ad una seconda città, essendo stata già distrutta. Così gli Eburini, che essendo stati Eburi da quei barbari distrutta, per la fertilità delle di loro campagne imposero il nome a quella novellamente edificata di Eboli o Evoli prendendo la denominazione del greco dialetto Eu – Bolos ed Eu – O ” Lon , dinotante il primo feconda zolla, ossia buona gleba, ed il secondo fecondo in tutto; onde è che Eboli per tal ragione sin d’allora ha usato far per stemmi i quattro elementi compresi, cioè acqua, aria, terra e foco, in maniera di non aver bisogno di nulla e di nulla mancarvi. E ciò è quello appunto che corrisponde perfettamente alle sue ultime denominazioni.
4 Figure Ebolitane dell’epoca fascista e pre-fascista.
Matteo Adinolfi
Iniziamo una serie di saggi biografici relativi alle figure di Eboli più notevoli del ventennio e dell’attuale momento. Cominciamo dal primo fascista di Eboli,il più fascista di tutti, Matteo Adinolfi. E’ a lui che si deve la maggior creazione della parte dei fasci nella provincia di Salerno. Egli ne costituì o autorizzò la costituzione di 56 come al più capace e fedele in quest’opera, Aurelio Padovani gli scriveva nel luglio 1921.
“Carissimo avvocato, avendo desiderio di svolgere un’attiva opera di propaganda nella provincia di Salerno, allo scopo di fondare dei fasci di combattimento, vi prego di volermi segnalare al più presto possibile elementi adatti per le località più importanti, tenendo presenti le seguenti dualità: moralità, ex combattente possibilmente benemeriti, inesistenza di legami a partiti politici o aggruppamenti locali, convinzione prettamente fascista e mussoliniana.
Cordiali saluti, A. Padovani”.
Matteo Adinolfi si mise al lavoro e dovunque si scelse i suoi elementi di convinzione prettamente fascista e mussoliniana. In quest’opera ebbe solerti collaboratori altri ebolitani: Luigi Conforti e Luigi Imperato. Al congresso provinciale dei fasci del salernitano, nel dicembre ’28, come premio alle sue fatiche, fu eletto per acclamazione secondo il costume fascista, segretario politico provinciale. Nello stesso anno, (luglio) aveva lumeggiato, come rappresentante della provincia di Salerno, la situazione del fascismo locale nei rapporti dell’on. Giovanni Amendola, ed aveva rassicurato il gran consiglio nazionale del fascismo riunito a palazzo Venezia, che presso di noi la fusione coi nazionalisti era avvenuta e nessuna influenza aveva nella nostra provincia la crisi del fascismo campano.
Nel ’24 già entrato alla Camera come deputato fascista, riaffermava al congresso dei direttori provinciali fascisti della Campania, la incrollabile fede, e devozione al duce, della nostra provincia. Alla vita della quale, per quanto trasferitosi a Roma per partecipare più direttamente al gran baccanale dei grossi gerarchi, ha successivamente partecipato, tornando a far parte nel 1928, del direttorio federale della provincia.
Poi incarichi più grossi fu come si ricorderà, vice segretario generale del partito fascista e presidente di una federazione lo allontanarono definitivamente dal Salernitano: e qui tralasciamo di fermarci su quella che fu la sua opera ed il suo comportamento, nella vita pubblica e privata, da gran gerarca quale era diventato promotore nel Salernitano del movimento fascista, a lui risale direttamente la responsabilità della scelta della maggior parte degli uomini che diressero i fasci ed indirettamente la responsabilità delle malefatte che nei primi tempi un po’ dovunque il fascismo commise. Poi quegli uomini ebbero la prevalenza, e sulle posizioni raggiunte smesso l’abito del violento sopraffattore, si soffermarono per fruttare comodamente ed impinguare i portafogli. Le ruberie, i furti, lo sbandamento delle amministrazioni pubbliche ad opera di disonesti o asserviti alle cricche locali non hanno ma i provocato un moto di ribellione in Matteo Adinolfi, anche quando si trattava del mio paese. Era insomma un vero fascista.
5 Posso dire la verità?
E’ questo il titolo del libro che con una lettera di Benedetto Croce il Generale Umberto Nobile ha pubblicato in questi giorni presso l’editore Mondadori in Roma. Dopo sedici anni, nel nuovo clima di libertà egli può dire la verità agli italiani. Diciamo agli italiani perché all’estero pochi avevano dato credito alle critiche malvagie che una politica infame aveva inflitte alla sua opera e alla sua persona per soddisfare all’invidia insaziabile d’improvvisati competitori.
Appare chiaro come Egli sia libero da ogni colpa e che solo inevitabili circostanze potettero troncare la sua grande impresa che doveva dar gloria alla Patria e alla civiltà. Citazioni circostanziate di fatti e di testimonianze attendibili di partecipanti e di esperti stranieri provano che l’impresa fu tanto bene ideata quanto organizzata.
Così le accuse le conclusioni della commissione d’inchiesta trovano unica ragione nell’ostilità di ambienti bene individuati che aveva preceduta e seguita l’eroica spedizione. Come Ebolitani ancora una volta possiamo sentirci orgogliosi dell’alta e luminosa figura di Umberto Nobile che nel campo scientifico rifulge per dirittura morale e civico coraggio.
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Eboli, 12 dicembre 2012
Buonasera,ho apprezzato il suo articolo ed in particolare avere condiviso le pagine di Rinascita Democratica, giornale che veniva stampato nello stabilimento di mio zio,il Comm. Alfonso Di Giacomo e dove mio padre ha lavorato fino al 1974.Grazie