Re Artù, il cavaliere inesistente: uomo o Dio?
Secondo lo storico Thomas Green non è mai esistito.
LONDRA – Il mitico Re Artù, non è mai esistito, così come non è mai esistito il suo regno e non è mai esistito il suo castello. Queste sono le risultanze dello storico inglese Thomas Green, che insegna presso l’Exeter College di Oxford una delle più famose università inglesi. E allora, che ne facciamo di Lancillotto, di Ginevra, Malagant, Oswald, dei Cavalieri della tavola rotonda che ci hanno accompagnato in tutti questi secoli? E l’amore combattuto tra il dovere e il sentimento?
Green non ha dubbi e nel suo studio abbatte senza riguardo e senza pietà ogni riferimento al mitico Re Artù. Nella sua tesi scrive che non riescono a resistere nemmeno le ultime teorie a favore della sua esistenza le quali non possono reggere agli esami della scienza e all’approfondimento della storia.
Secondo lo storico, quello che emerge sistematicamente e in modo coerente dalla letteratura è sicuramente una figura mitica che appartiene più al folklore che alla storia, quindi non è un personaggio realmente esistito ma qualche cosa che somiglia al gaelico Fionn il quale, era in origine una divinità successivamente storicizzata e posta come protagonista di battaglie mitoligiche contro invasori, anch’essi mitici, della patria irlandese. Guerrieri terribili e anch’essi sovrannaturali, giganti, streghe divoratrici di esseri umani. Quei famosi mostri dell’immaginario collettivo celtico che Fionna prima e Re Artù poi hanno sempre combattuto.
Green sostiene ancora che non è sufficiente che un personaggio della letteratura sia un personaggio storico solo perché una fonte d’epoca medievale asserisce che lo sia. Quelle poche fonti utilizzabili nello studio di questa materia possono parlarci con facilità di una figura sicuramente leggendaria che successivamente è stata storicizzata, seguendo una distorsione della tradizione raccontata.
Quindi Re Artù non e’ mai esistito e non ha mai cavalcato le brughiere della Britannia. Non c’è mai stato il Regno di Logres, e nemmeno il Castello di Camelot. E’ solo un’invenzione, vagamente autoingannevole ma consolatoria, di quei Celti umiliati ripetutamente dai Sassoni e dai Normanni, che nel corso dei secoli hanno cercato, attraverso il personaggio di Re Artù, di elaborare il lutto della sconfitta, ma anche di riprendersi una rivincita sulla storia attraverso un personaggio mitico mai esistito.
Re Artù, il cavaliere inesistente tenuto in vita dalla forza di volontà e dall’ostinazione celtica, secolo dopo secolo, come simbolo di una virtù eroiche di Britannia, esaltandone le gesta dalle famose dodici battaglie contro i Sassoni e a quella finale e terribile, delle Piane di Salisbury. Tutto falso, tutto da riscrivere?
Se Green ha ragione, e lo paragona a Fionn il grande e mitico Artù esce “distrutto” dalla storia come personaggio e cavaliere realmente esistito, e rientra “rafforzato” nel mito come un Dio. In questo modo impara lo studioso d’oltre manica a distruggere i sogni e i personaggi che anche se non esistiti fanno parte di quel mondo che desidera gli eroi e vorrebbe ci fossero gli eroi per sentirsi più sicuri. Oggi più che mai abbiamo bisogno di eroi “positivi”, in giro ci sono ma rappresentano solo il negativo.
A renderlo vivo ci ha pensato il mondo della celluloide e nel nostro immaginario Re Artù è ormai impersonato da Sean Connery, Lancillotto da Richard Gere e Ginevra da Julia Ormond e la “storia” per noi si racchiude in quella pellicola, tra le più belle che sia mai stata prodotta su Artù.