Urbanistica senza urbanistica: il Piano Attuativo di Fontanelle: Riflessioni a “penna libera” di Luigi Manzione.
Un viaggio nel contesto della pianificazione locale, richiamando l’evoluzione della normativa di riferimento; le scelte, confermate, negate o modificate, nel corso del tempo; le connessioni con il tessuto economico, politico e sociale locale; le prospettive di governo del territorio.
EBOLI – Si pubblica come già in precedenza annunciato alcune riflessioni di Luigi Manzione sulla nuova suddivisione del PUA Fontanelle recentemente adottato dalla Giunta Municipale ed oggetto di feroci scontri politici, per il momento sopiti. Luigi Manzione con il suo contributo come in altre circostanze ho definito a “penna libera“, cerca di far luce su questo , come su altri aspetti della gestione urbanistica della nostra Città, in modo da offrire spunti utili ad alimentare un dibattito e a mostrare, semmai, che esistono anche buone pratiche di governo del territorio. Buona lettura.
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Urbanistica senza urbanistica: il piano attuativo di Fontanelle
di Luigi Manzione
Architetto
Il piano urbanistico attuativo (PUA) di Fontanelle, di cui si è approvata la proposta di suddivisione dell’ambito nello scorso mese di luglio, è stato ed è al centro di uno scontro politico senza precedenti. Nessuna altra suddivisione di PUA approvata a Eboli aveva suscitato tante reazioni e polemiche che mettono in luce un preciso insieme di posizioni e di interessi in gioco (politici ed economici). Se ne è occupata la stampa locale e, con maggiore approfondimento, Massimo Del Mese su queste colonne. Cercherò pertanto di offrire un contributo di riflessione sul PUA soprattutto dal punto di vista disciplinare, collocandolo nel contesto della pianificazione locale e richiamando l’evoluzione della normativa di riferimento; le scelte – confermate, negate o modificate – nel corso del tempo; le connessioni con il tessuto economico, politico e sociale locale; le prospettive di governo del territorio.
Politica e governo del territorio
Non esiste naturalmente alcuna scissione tra gli elementi di riflessione sopra indicati: la storia dell’urbanistica e delle trasformazioni urbane mostra infatti che operare sulla città e sul territorio implica la necessità di confrontarsi con gli interessi in gioco, con gli intenti speculativi (nel senso più neutrale del termine), con la contrattazione dei/sui valori fondiari (e la conseguente creazione di rendite di posizione e di fortune economiche). Si tratta di processi in una certa misura “fisiologici” in un regime dei suoli urbani puramente liberista, il quale ammette comunque eccezioni, come l’ordinamento inglese in “leasehold”, basato sul godimento temporaneo di un suolo urbano, dietro pagamento di un canone e con il rispetto di certi obblighi. Si tratta di processi con i quali l’urbanistica si deve misurare con intelligenza ed equità. Perciò ritengo illusoria, e banalizzatrice, la separazione dell’urbanistica dalla politica, così come l’idea che l’urbanistica possa essere una tecnica della politica o, peggio, di assistenza al politico.
Quando non si riduce ad ordinaria amministrazione o a strumento per il perseguimento di fini personali, più o meno affaristici, la politica, insieme all’urbanistica, non dovrebbe gettare né acqua, né benzina sul fuoco degli interessi, ma piuttosto comporne il gioco all’interno di regole trasparenti e paritetiche, proprie di un contesto civile. La gestione urbana dovrebbe quindi porsi come obiettivo (e come principio) la massimizzazione dell’interesse pubblico, senza ostacolare le legittime pratiche imprenditoriali, rivolte al legittimo profitto. Cose ovvie, ma che forse non è inutile ricordare. La buona politica e la buona urbanistica non sono dunque incompatibili, direi anzi che si coniugano quasi sempre (come, del resto, i rispettivi opposti). Quando si tratta di disegnare un progetto per la città, il problema che affligge spesso l’amministratore di turno è la miopia, l’incapacità di vedere oltre una soglia molto prossima, nello spazio e nel tempo. Una visione miope – che è l’esatto contrario di una visione lungimirante – è disarmata di fronte al degrado urbano, civile ed economico di una città. Senza inclinare alla vena catastrofista di Leonardo Benevolo, che nel suo recentissimo bilancio (Laterza, 2012) dell’urbanistica italiana parla di “tracollo”, anche ai miei occhi la perdita di considerazione politica e sociale dell’urbanistica si colloca all’origine dei tanti errori che hanno accelerato il degrado dei nostri tessuti urbani, rendendolo proliferante a Eboli come altrove.
Eboli riproduce peraltro una condizione propria alla regione Campania, tra le più arretrate in materia di governo del territorio, dove il numero di Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali è molto alto, anche in rapporto alle altre regioni meridionali. Questa arretratezza si evince inoltre dalla circostanza che, pure dopo l’approvazione della legge urbanistica regionale del 2004, si è continuato in certi casi ad approvare i vecchi PRG o, come a Eboli, si sono instaurate situazioni paradossali di confusione tra PRG vigente e PUC in gestazione. I cronoprogrammi delle normative regionali in materia di governo del territorio sono presumibilmente destinati a saltare, dal momento che, di questo passo, l’approvazione dei PUC dei Comuni della Campania richiederà decenni, con il conseguente tracollo – questo sì – dell’urbanistica regionale, il quale acuirà il già triste primato della Campania come Regione con il maggior numero di abusi edilizi e di infrazioni gravi.
Ora, occorre solo un po’ di coraggio (e molta delusione) per dire che Eboli è una brutta cittadina; lo è diventata soprattutto negli ultimi anni. Un “paese gigante”, per usare un’espressione di Franco Arminio; un paese “senza qualità”, che pure possedeva, e da diversi punti di vista, nel passato. Aristotele affermava che la città è lo specchio dei suoi abitanti, che quando una città è bella (nel senso dell’ideale della “kalokagathìa” di bello insieme estetico ed etico), anche i suoi abitanti sono belli. Senza assumerlo alla lettera, è innegabile che una città riflette, anche nelle sue apparenze visibili, le attitudini e i comportamenti di chi la abita e la amministra, rivelandone l’eccellenza o la mediocrità. Le buone pratiche di gestione della città sono quelle che possiedono, a mio modo di vedere, la capacità – ossia la cultura politica e tecnica – e gli strumenti per creare relazioni virtuose e innovative, mettere in rete e valorizzare gli attori e le azioni delle trasformazioni urbane. E ciò, in linea di principio, indipendentemente dalla colorazione politica di chi ne assume il governo, dalla scala e dalla dimensione degli interventi e delle agglomerazioni.
Da questa angolazione, a Eboli il banco di prova dell’attuale amministrazione è costituito sostanzialmente dai PUA, visto che il piano urbanistico comunale (PUC) non è stato ancora reso pubblico, né il quadro delle intenzioni del piano strategico comunale (PSC) è, a mio parere, molto chiaro e significativo. Addirittura sento parlare di un preliminare di PUC che dovrebbe essere presentato a breve. E qui lo sgomento predomina, soprattutto quando penso ad esempio che una città complessa e dalla delicatissima configurazione come Venezia è stata in grado, in soli quattro anni (1997-2000) durante la seconda amministrazione di Massimo Cacciari, di elaborare e approvare il piano urbanistico suddiviso in nove stralci, dandone anche una contestuale prima esecuzione. Un preliminare di PUC dovrebbe contenere gli elementi conoscitivi del territorio e un documento strategico che, secondo il Manuale operativo del Regolamento 4 agosto 2011 n. 5 di attuazione della L.R. 16/2004 in materia di Governo del territorio della regione Campania, “prevede linee d’azione interattive, dedicate al rafforzamento del tessuto urbano e territoriale tramite interventi migliorativi per l’aspetto fisico, funzionale e ambientale della città.” A Eboli è stato già elaborato uno piano strategico comunale, di cui ho discusso nei precedenti interventi su Politicademente: quali elementi di novità conterrà, allora, un preliminare di PUC rispetto al PSC? Qual è, nella fase attuale di grave ritardo, la necessità di redigere un preliminare di piano che specifichi le modalità di perseguimento delle finalità e degli obiettivi di cui alla legge urbanistica regionale, quando tutto ciò è stato già fatto nel PSC – nelle forme e con gli esiti di cui peraltro ho già detto –, ivi compreso l’accertamento di conformità ai piani sovraordinati e di settore, il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati, la pubblicità e la partecipazione alle scelte di piano?
Difficile cogliere la razionalità locale del governo del territorio, se non riflettendo sul fatto che l’urbanistica delle amministrazioni ebolitane delle due ultime tornate, dal 2005 ad oggi, si basa su un paradosso, che ho già richiamato in un mio articolo precedente: il suo operato può essere valutato esclusivamente sul terreno dell’applicazione del piano regolatore generale (PRG) approvato nel 2003. Il paradosso risiede essenzialmente in questo: un’amministrazione che ha fatto del nuovo piano comunale il proprio cavallo di battaglia, senza riuscire ancora a mandarlo in porto a cinque anni di distanza dall’affidamento dell’incarico di redazione, si ritrova a dover essere valutata per la sua capacità di dare attuazione ad un piano regolatore generale, non più rispondente alla normativa regionale; ad un piano da essa stessa aspramente criticato e avversato, parzialmente modificato laddove è stato possibile nella forma, più consistentemente bypassato nella sostanza (mediante procedimenti in variante e in deroga, con interpretazioni più o meno soggettive, se non impressionistiche).
Urbanistica senza urbanistica a Fontanelle
Stante l’attuale situazione di incertezza, vorrei solo accennare a quale potrà essere lo scenario futuro, con i relativi limiti di efficacia del governo del territorio. Il Regolamento di attuazione per il governo del territorio approvato dalla regione Campania ad agosto 2011 stabilisce, al c. 3 dell’art. 1, che “i piani regolatori generali ed i programmi di fabbricazione vigenti perdono efficacia dopo 18 mesi dall’entrata in vigore dei Piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) di cui all’art. 18 della legge regionale n. 16/2004. Alla scadenza dei 18 mesi nei Comuni privi di PUC si applica la disciplina dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). Sono fatti salvi gli effetti dei piani urbanistici attuativi (PUA) vigenti.” Occorre soffermarsi e riflettere con attenzione su questa disposizione. Il PTCP della provincia di Salerno è stato approvato il 30 marzo 2012, il che significa che il comune di Eboli a partire da ottobre 2013 ricadrà nella suddetta condizione, ossia in regime di esclusiva vigenza dell’art. 9 del DPR 380/2001. Il quale articolo limita gli interventi possibili alla manutenzione ordinaria, alla eliminazione di barriere architettoniche e alle opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo; mentre, “fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione [saranno consentiti] nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà.” Nelle aree nelle quali non siano stati approvati i PUA, saranno possibili in aggiunta a quanto sopra solo interventi di ristrutturazione edilizia su singole unità immobiliari o parti di esse. Insomma, saremmo al tracollo definitivo dell’urbanistica ebolitana, dei sogni di crescita imprenditoriale e occupazionale (nella misura in cui tali sogni sono realizzabili sul terreno della costruzione e modificazione della città grazie all’edilizia), nonché alla fine decretata ex lege di qualsiasi rilevante meccanismo di scambio politico sul/mediante il territorio…
Ora, è tanto più opportuno riflettere su tutto ciò, quanto più si manifesta con evidenza il fatto che a Eboli il governo del territorio è stato affidato negli ultimi sette anni alle modifiche e alle varianti agli strumenti vigenti, senza tracciare alcuna ipotesi originale e alternativa per il futuro. Il paradosso è che, di fatto, la pianificazione urbanistica si sta realizzando mediante un apparato puramente normativo, debole o forte che sia, ma in assenza di qualsiasi progetto. Non è casuale che le modifiche apportate con la variante del 2008 alle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PRG non si limitano a recepire le disposizioni sopravvenute con la legge urbanistica regionale del 2004, ma incidono in misura cospicua anche sulla formazione dei piani attuativi. Non è un caso, in particolare, che l’art. 7 della parte I delle NTA sia stato modificato così da permettere per un PUA, oltre la possibilità già prevista di formare “un unico strumento di attuazione relativo a due o più ambiti”, anche “la suddivisione di un ambito già individuato dal PRG in più sub-ambiti”.
La variante del 2009 al Regolamento edilizio comunale (REC) appare altrettanto significativa, suscitando una serie di interrogativi a partire dalla sua costituzione materiale, in cui non risultano più visibili le parti modificate, cosicché alla fine non si capisce più dove risieda la variante e dove invece il completo rifacimento normativo. Al di là della forma, un regolamento edilizio dovrebbe disciplinare, come la denominazione stessa evidenzia chiaramente, la dimensione esecutiva della pianificazione urbana e dell’attività edilizia. La legge urbanistica vigente della regione Campania stabilisce infatti, all’art. 30, che il regolamento urbanistico edilizio comunale (RUEC) disciplina le “modalità esecutive delle trasformazioni, nonché l’attività concreta di costruzione, modificazione e conservazione delle strutture edilizie”, definendo inoltre, in conformità alle previsioni del PUC (qualora vigente) “i parametri edilizi e urbanistici e i criteri per la quantificazione degli stessi, disciplina gli oneri concessori e i sistemi di calcolo della quantificazione monetaria delle dotazioni territoriali.”
Il regolamento edilizio modificato nel 2009 non si limita però a questo, ma intende di fatto sostituirsi per quanto è possibile agli strumenti urbanistici, vigenti e in preparazione, a cui dovrebbe semplicemente accompagnarsi. L’art. 19 del REC di Eboli disciplina infatti la suddivisione dei sub-ambiti, integrandovi la previsione dei meccanismi perequativi introdotti dalla legge urbanistica regionale successiva alla approvazione del PRG. Il criterio che regola la formazione di sub-ambiti è, in effetti, un criterio perequativo, consistente in “valutazioni compensative finalizzate ad assicurare l’equilibrio fra benefici e gravami assegnati al sub-ambito e la realizzazione unitaria delle opere pubbliche.” (art. 19, c. 3). Opportuna precisazione, certo, ma incerta applicazione nella suddivisione in sub-ambiti del PUA di Fontanelle, come avremo modo di vedere più avanti.
Riguardo alla formazione dei piani attuativi, il titolo III del REC, “Procedure relative all’elaborazione dei piani urbanistici attuativi”, e in particolare la sua parte IV relativa ai “sub-ambiti”, si configurano come una eccellente esposizione di “realismo” urbanistico e, al contempo, come il tentativo non proprio riuscito di anticipare in sedicesimo quello che sarà il PUC. Si direbbe che il pianificatore, consapevole della difficoltà di seguirne a Eboli in tempi ragionevoli l’iter di approvazione, abbia preferito anticipare l’apparato normativo del piano comunale nella forma eterodossa della modifica di un regolamento edilizio del vecchio PRG, non potendo peraltro ancora utilizzare la nuova denominazione inclusiva dell’aggettivo “urbanistico” a fianco ad “edilizio”. Sarà opportuno ritornare in una riflessione futura su questo aspetto decisivo, su cui non mi sembra si sia esercitata la dovuta attenzione. Mi limito qui ad osservare che le conseguenze, le contraddizioni e le distorsioni da ciò derivanti, sono ben immaginabili, e le verificheremo – le stiamo già verificando – nelle more dell’approvazione del PUC, o comunque prima della scadenza fatidica di ottobre 2013.
Un contenitore senza contenuto
Se questo è il contesto e queste le prospettive e le condizioni al contorno di una possibile valutazione, devo dire preliminarmente che il PUA Fontanelle non costituisce un esito particolarmente brillante, né nella logica dominante (ed entro la quale è stato partorito), né dalle diverse angolazioni evocate in apertura, e che cercherò di illustrare nel seguito. Discendendo da un piano urbanistico comunale (il vecchio “piano regolatore generale”), uno strumento attuativo è determinato da un contenitore, se vogliamo da una impalcatura (nel nostro caso, le indicazioni e prescrizioni contenute nelle schede della parte III delle NTA del vigente PRG). Questo contenitore deve essere riempito di contenuti. Contenuti molteplici, generati e sostenuti dalle scelte di pianificazione: non solo interventi (manufatti, infrastrutture, attrezzature, spazi verdi, spazi pubblici, strade, parcheggi,etc.), ma anche, da un lato, la materializzazione di un progetto d’insieme, dall’altro la composizione intelligente e trasparente di interessi, azioni, soggetti, così da trarne il massimo profitto sia per la comunità, sia per i privati.
Il progetto d’insieme, lo abbiamo visto, è ancora del tutto assente. Quali sono allora, nel caso di Fontanelle, questi contenuti? Qual è la loro qualità e pertinenza rispetto a ciò che si è appena detto? Quali i criteri che hanno indotto a suddividere per la seconda volta, a distanza di meno di due anni, questo PUA in sub-ambiti? Questi interrogativi si affiancano a quelli già formulati nell’articolo di Massimo Del Mese riguardo ai soggetti proprietari di aree suscettibili di trasformazione, agli assetti proprietari di tali aree, ai passaggi eventuali di proprietà sopravvenuti nel tempo, etc. Stante la coerenza degli elementi prescrittivi e delle indicazioni di assetto rispetto alla scheda n. 1 delle NTA, parte III del vigente PRG – verificata cioè la sussistenza di quanto rende “legittima” la suddivisione approvata nel luglio scorso –, è sufficiente un’analisi comparativa tra la scheda originaria (2003) e quella modificata (2012) per ricostruire il quadro preciso di cosa è realmente cambiato, al di là del rispetto formale di indici e parametri; per capire, incrociando i trasferimenti di proprietà sopravvenuti nel tempo, quali sono i soggetti “beneficiari” della nuova suddivisione; in sostanza, quali intenzioni promuove e quali interessi sostiene il PUA in gestazione.
Qual è l’originalità del PUA di Fontanelle approvato a luglio scorso rispetto a quello delineato nel PRG del 2003, così come modificato nel 2008? Essa è riconducibile essenzialmente alla suddivisione in sub-ambiti. Una prima suddivisione era già stata disposta nel 2010 (delib. G.C. n. 321), sulla base dell’art. 19 del Regolamento edilizio modificato nel 2009, il quale articolo introduce, o anticipa come si è accennato, anche un meccanismo di compensazione nella individuazione degli stessi sub-ambiti. La ragione per la quale si è provveduto ad approvare una nuova suddivisione risiederebbe nel fatto che da settembre 2010 non è pervenuta al comune di Eboli alcuna proposta di PUA, ma solo una richiesta da parte di un soggetto privato di suddivisione di area suscettibile di trasformazione.
Nella attuale condizione locale di governo del territorio, dove si cerca faticosamente un punto di equilibrio tra le diverse modifiche agli strumenti approvati e l’anticipazione di quelli futuri, tutto appare possibile. Eppure la legge urbanistica regionale stabilisce, relativamente ad un PUA di attuazione da parte di privati, che qualora questi non abbiano presentato le relative proposte, è il Comune stesso a provvedere alla sua redazione, rivalendosi eventualmente per le spese nei confronti dei proprietari inadempienti. In una condizione “normale” di pianificazione, laddove esiste cioè un PUC corredato delle sue NTA, si avrebbe certezza e non confusione come oggi. Il Regolamento urbanistico edilizio comunale potrebbe infatti prescrivere ai sensi della normativa regionale che, a fronte dell’inerzia o del rifiuto all’attuazione di un comparto da parte dei proprietari (di una quantità superiore al 49% delle quote edificatorie complessive), il comune stabilisce un termine per l’attuazione, superato il quale il Comune stesso procede all’attuazione diretta o mediante costituzione di società mista, acquisendo le quote edificatorie e gli immobili a queste facenti capo.
In luogo di principi e regole chiare e, se possibile, autorevoli di governo del territorio, a Eboli sembra invece prevalere un criterio di pura “ragioneria urbanistica”: siccome i proprietari non si sono accordati per concretizzare il PUA, si procede a rimodulare, suddividere, ridisegnare i comparti di Fontanelle per venire incontro ai desiderata dei proprietari medesimi. Sperando nel buon esito dell’operazione, si sono perciò individuati ben cinque comparti. Non ci si è limitati infatti alla “individuazione di due sub-ambiti di cui uno che, ragionevolmente, si sarebbe attuato nel breve periodo (quello richiesto) e un altro, di dimensioni ragguardevoli, che per questa ragione, probabilmente sarebbe condannato all’immobilismo per chissà ancora quanto tempo.” (Relazione tecnica, p. 2). Condannato all’immobilismo, a mio avviso, soprattutto perché oggettivamente, per le ragioni prima esposte, non ci sono – non ci possono essere – gli strumenti adeguati (non solo tecnici) affinché il Comune svolga il ruolo autorevole e super partes che gli compete nel governo del territorio…
In queste condizioni, l’urbanistica coincide essenzialmente con lo sforzo per mettere in campo le condizioni propizie per le operazioni immobiliari, riducendosi a mero supporto dell’attività edilizia, in particolare alla costruzione di alloggi, l’effettiva necessità della cui collocazione sul mercato appare peraltro tutta da verificare. In assenza di ipotesi articolate di assetto futuro della città e dei suoi quartieri, gli esiti di tale maniera di fare urbanistica – di questa “urbanistica senza urbanistica” – sono noti o comunque prevedibili: ulteriore consumo di suolo; formazione di tristi periferie; dotazione di attrezzature non coordinate tra loro (spesso scelte al solo scopo di conseguire la legittimità di un piano attuativo), senza alcun miglioramento dell’ambiente di vita delle persone, senza alcuna qualità urbana.
La suddivisione di Fontanelle in cinque ambiti non è quindi un’operazione neutra come si cerca di fare apparire, ma comporta alcune (possibili) conseguenze sulle quali vale la pena fare qualche osservazione e sollevare qualche interrogativo, a partire dagli spazi pubblici e dalle aree a verde. Occorrerebbe capire, in primo luogo, se il disegno di questi spazi e aree nella nuova suddivisione si ispira a qualche principio o regola ovvero non è che è il risultato fortuito del semplice stralcio delle aree libere dall’edificato esistente. Si è consapevoli del fatto che anche il progetto degli spazi verdi e di quelli pubblici risponde a certe logiche e, se possibile, a criteri morfologici o estetici (ciò che nel passato si è convenuto di denominare “estetica urbana”)? La mia impressione è che tali aree a “verde sport e giochi” siano state localizzate e disegnate (nella loro perimetrazione) in maniera casuale, secondo una logica residuale che riproduce la frammentazione dei sub-comparti. Mi sembra infatti piuttosto insensato prevedere la realizzazione di quattro aree “verde sport e giochi” di dimensioni modeste e tutte in prossimità, quando si sarebbe potuto creare un vero parco urbano, di cui Eboli ha certamente bisogno. Ma ciò avrebbe significato rispondere ad altre logiche e ad altre sollecitazioni; avrebbe significato realizzare in concreto, e non solo a parole, un’urbanistica sostenibile, civile, pensata per tutti senza distinzioni. Non è detto che l’occasione sia definitivamente perduta, anche se ho non pochi indizi per crederlo.
Altro elemento discutibile è, a mio avviso, la dotazione di parcheggi. Una premessa terminologica: per “parcheggio di relazione” si intende, come è noto, quello destinato alla sosta dei veicoli in uso ai visitatori e ai fruitori dei servizi, mentre la sosta dei veicoli in uso ai residenti o agli addetti (con o senza vincolo di pertinenzialità rispetto ad unità immobiliari) rientra nei parcheggi di tipo “stanziale”. Tra le intenzioni manifestate nel PUA di Fontanelle ritroviamo quella di riammagliare il nuovo quartiere con quelli del Paterno e di Grataglie, oltre che con l’edificato di via Generale Gonzaga. Da questo punto di vista, la scelta del PUA originario (2003) di localizzare il parcheggio di relazione e pertinenziale per 600/700 posti auto in prossimità di via S. Gregorio VII e di via Generale Gonzaga ha una chiara ragion d’essere. Ora, è altrettanto chara la ragione del nuovo “parcheggio di progetto” previsto nella suddivisione del PUA, approvata a luglio scorso? Di un parcheggio situato in prossimità della rotatoria della strada Statale (S. Giovanni), di cui si ritrova peraltro indicazione nell’allegato grafico alla scheda n. 1 del PUA, ma nessun cenno nelle “Indicazioni di assetto”? Se lo scopo di questo parcheggio è di servire le nuove residenze previste nei cinque sub-ambiti – se si tratta cioè di parcheggio stanziale –, la localizzazione scelta mi sembra ancora tutta da motivare. Qui si ripropone in sostanza la questione dell’opportunità di suddividere il PUA: realizzare un unico parcheggio di questo tipo e, al contempo, smembrare il PUA in sub-ambiti non sono scelte contraddittorie (in relazione alla “equità” e distribuzione delle dotazioni, ai soggetti che dovrebbero realizzarle)?
“Ragioneria urbanistica” o progetto di città?
La suddivisione in cinque ambiti è insomma una decisione ponderata o si tratta di un semplice escamotage? La motivazione proposta dall’ufficio competente, ossia l’idea che l’attuazione del PUA Fontanelle in un unico comparto sia difficile e che richieda pertanto l’intervento di un grande operatore immobiliare, resta tutta da dimostrare. Il punto non è l’unicità o meno della figura che realizza il PUA, ma il raggiungimento dell’accordo tra i “proprietari degli immobili rappresentanti il cinquantuno per cento del complessivo valore imponibile dell’area interessata dagli interventi, accertato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili” (L.R. Norme sul governo del territorio, art. 28). Laddove i processi di costruzione della città e le scelte di governo del territorio sono trasparenti – vale a dire nel modello “normale” a cui fa riferimento la normativa regionale – non c’è motivo di anteporre la questione della dimensione e composizione dei comparti, del ridisegno “su misura” degli ambiti di intervento per assecondare e rendere possibile l’attuazione del piano. La logica è semplice, e si fonda sull’accordo trasparente tra i proprietari.
In questo senso, stento a capire dal punto di vista disciplinare la motivazione addotta nella Relazione tecnica, secondo la quale “ciascun sub-ambito (…) è stato individuato in modo da raccogliere il minor numero di proprietari in ciascuno di essi, al fine di semplificarne qualsiasi attività decisoria.” Mi sfugge, perché ritengo che l’intento di semplificare le decisioni in tale maniera può recare vantaggio ai privati, ma implica non pochi svantaggi per la collettività: il minor numero di proprietari produce minori possibilità di richiedere in cambio dotazione di infrastrutture e attrezzature pensate in maniera unitaria e capaci di dispiegare una funzione di ricucitura con il contesto della città; produce una maggiore banalizzazione nei progetti di assetto, in conseguenza della frammentazione stessa; produce maggiore incidenza complessiva del costruito rispetto agli spazi pubblici e verdi – in altri termini, maggiori colate di cemento –, non fosse altro perché risulta più difficile concepire unitariamente l’assetto del comparto; produce, insomma, maggiore “ragioneria urbanistica” rispetto alla materializzazione di quello che potrebbe essere lo stralcio di un progetto di città di più ampio respiro e ambizione. Intendiamoci, non mi stupisce assolutamente questo modo di procedere. Purtroppo, esso rientra nella prassi ordinaria in una realtà in cui l’urbanistica va progressivamente ritraendosi nell’alveo della “inutilità”; in cui le amministrazioni locali – succubi spesso di finanze disastrose, di equilibri di potere concepiti con il bilancino, di un orizzonte temporale di breve durata, per l’acquisizione di consenso prima ancora che per la costruzione di una visione di futuro – hanno dimenticato quale sia il ruolo sociale e politico dell’urbanistica, finendo con l’essere disarmate, quando non complici, di fronte all’egoismo di certa imprenditoria e all’indifferenza dei cittadini.
Concludo accennando in ordine sparso ad alcuni elementi di dettaglio che confermano, a mio avviso, la natura approssimativa delle indicazioni di assetto e delle proposte di questa suddivisione del PUA di Fontanelle. La pista ciclabile prevista è certamente un proposito encomiabile, ma ci si può chiedere a che cosa serva un percorso così breve in una cittadina, come Eboli, in cui non esiste – né si prevede o si immagina – una rete di percorsi ciclabili. Qual è inoltre il senso della cessione della chiesa, mai utilizzata, in prossimità della sorgente S. Giovanni in cambio di un’area per realizzare un “complesso religioso-multifunzionale”? Invece di promuovere ulteriore consumo di suolo per costruire un’opera che in quel luogo già c’è, non sarebbe più ragionevole ed economico recuperare la chiesa esistente, facendola eventualmente diventare il nucleo di un “complesso religioso-multifunzionale”? Per il sub-ambito n. 2, la relazione prevede poi una “rilevante dotazione di parcheggi pubblici”, che però non risultano indicati negli elaborati della proposta approvata a luglio scorso. Per i “percorsi pedonali di connessione” si indica infine un’area, e non invece dei segmenti di viabilità pedonale, per cui risulta impossibile capire quali e quanti siano e, soprattutto, che cosa vadano concretamente a connettere.
Nel PUA a venire occorrerà definire, in coerenza con la normativa vigente e, si spera, con una visione di maggiore spessore della gestione dei processi territoriali e delle trasformazioni urbane, le modalità di cessione delle aree e di attuazione dei meccanismi di compensazione; l’indicazione di cosa il pubblico riceverà realmente in cambio dal privato per la realizzazione degli interventi previsti nel piano. Tutto ciò non emerge dalle indicazioni finora espresse, e sarebbe interessante se venisse individuato anche avvalendosi di procedure partecipate, consultando i cittadini. Non è dato quindi capire come saranno definiti tali contenuti, visto che ordinariamente essi trovano posto nelle Norme tecniche di attuazione del PUC, dove dovrebbe anche essere delineata la disciplina della perequazione. Insomma, l’orizzonte di accadimento di tutto ciò sembra essere molto di là da venire, e il PUA si configura ancora come un contenitore vuoto… Eppure è solo su questo terreno che si può cogliere e valutare la qualità di uno strumento attuativo dal punto di vista della “regolazione” e della composizione degli interessi pubblici e privati, del contributo che potrà recare alla costruzione di una città migliore per tutti i suoi abitanti e, nello stesso tempo, al dispiegamento delle attività imprenditoriali sul territorio; in definitiva, dal punto di vista dell’urbanistica e non solo della ordinaria amministrazione dell’esistente.
Eboli, 29 agosto 2012
Senza ritegno. Incompetenti ed affaristi allo sbaraglio. Cambiano visione della città per sistemare affarucci personali in spregio del loro mandato di pubblico servizio.
Non ci resta che attendere la lenta ed inesorabile giustizia. Arriverà.. statene certi e ne vedremo delle belle… ormai Eboli sarà fottuta.
In questo saggio l’architetto Manzione ha davvero messo a nudo sia le incompetenze tecnico-urbanistiche,sia le scelte politicamente miopi di una classe dirigente ebolitana mediocre ed affarista.
Credo che addirittuta siamo lontani anche dal PAESE GIGANTE o dallà CITTA’ SENZA QUALITA’ di Aristotele.
Luigi Manzione è stato anche troppo indulgente nella sua analisi,ma avuto il grande pregio di non auspicare la città di UTOPIA di Thomas Moore o LA CITTA’ DEL SOLE di Campanella bensì una città di EBOLI appena vivibile e possibilmente civile.
Cioè una città dal volto umano!
E con esempi calzanti ha dimostrato che il tutto era ed è realizzabile nel giro di pochi anni.
Egli ha parlato del caso Venezia. Una città complessa e unica al mondo. Ebbene il sindaco Massimo Cacciari riuscì a concretizzare il Piano Urbanistico nel quadriennio 1997-2000!
Eboli ,invece,vive sospesa tra continui paradossi.
Ultimamente con un PRG che appena approvato,già non corrisponde più alle nuove normative dettate dalla giunta regionale campana!
Per non parlare delle contraddizioni tra Variante del 2009,R E C,R U E C comunale e previsioni PUC!
Insomma una classe dirigente che vive tra incompetenze e “competenze tecniche orientate” ed approva un PUA Fontanelle come contenitore senza contenuto.
Un Comune che invece di avviare un’attuazione diretta,vista l’impossibilità di un accordo tra privati,procede in base a un criterio che il Manzione definisce di PURA RAGIONERIA USBANISTICA.
Cioè,siccome non ci sono accordi,quest’ultimi vengono ridisegnati in base ai “desiderata” di ognuno e in base alle “raccomandazioni” pervenute ai tecnici e ai politicanti!
Perciò,l’urbanistica ad Eboli,continuando ad essere un “mero supporto” dell’attività edilizia, farà del nostro paese una “città monstre” sempre più invivibile, con buona pace di chi aveva “pensato” di progettare un destino diverso per la nostra antica,medioevale e moderna cittadina.
Abbiamo l’obbligo di ringraziare l’architetto Luigi Manzione, per averci illustrato in maniera così chiara e semplice,concetti urbanistici che i “sapientoni prezzolati” rendono astrusi e incomprensibili sia per nascondere magagne agli sprovveduti,sia per riaffermare posizioni di CASTE TECNICHE PROFESSIONALI partecipi al “grande banchetto affaristico edilizio” a danno della popolazione inerme.
Ringrazio il preside Cicalese per essere intervenuto sul tema, sperando che si possa riprendere qui il confronto sulla città e sul territorio avviato all’inizio di agosto. Caro Vincenzo, il mio giudizio politico su questa amministrazione, e più in generale sull’attuale classe politica locale, è tutt’altro che indulgente.
Nello specifico del governo del territorio, parlano i fatti – quelli che risiedono al di là e prima delle interpretazioni – ossia che di qui ad ottobre 2013, se il Comune risulterà ancora privo del PUC, ci ritroveremo di fronte al tracollo definitivo dell’urbanistica ebolitana. Qualsiasi ragionamento sull’urbanistica (e non solo) a Eboli dovrebbe partire da qui.
Purtroppo la politica non di Eboli ma italiana è rimasta al palo ossia viaggia ad una velocità molto più bassa del resto dell’Europa. Eppure l’Italia come ci racconta la storia architettonica e urbanistica non avrebbe da apprendere da nessuno. Abbiamo solo una classe politica incompetente e spregiudicata e ne paghiamo quotidianamente le consequenze sotto tutti i punti di vista. L’urbanistica non è scienza fine a se stessa ma ha il compito di inserire le singole parti che compongono la città all’interno di relazioni che appartengono al contesto più ampio, a valutazioni di fattibilità, alla storia che ha determinato il territorio attuale, alla ricadute nei processi di coesione e riproduzione sociale, alle regole costitutive della forma della città.L’urbanistica è la chiave di volta per uscire fuori da una crisi non solo economica e finanziaria ma soprattutto di carattere sociale. Grazie Luigi per essere sempre così chiaro ed esaustivo nel tuo scrivere libero, se solo ci fosse oltre alla competenza anche un pò di umiltà in chi ci amministra… cmq possiamo farcela!