EBOLI – Pubblico con piacere il contributo di Luigi Manzione, che ho richiesto per PoliticadeMente, per offrire una riflessione sul ritardo del PUC, sul Piano strategico e sull’Housing sociale a Fontanelle, perché i cittadini e quanti siano interessati alla Pianificazione urbanistica della Città, possano partecipare alla discussione con cognizioni di causa, su una traccia competente e disinteressata.
di Luigi Manzione
Architetto
A distanza di più di sei mesi da un mio precedente intervento sull’urbanistica a Eboli, ho accolto con molto piacere l’invito di Massimo Del Mese a ritornare sul tema. Credevo che avremmo potuto ragionare oggi sul Piano Urbanistico Comunale (PUC), ma nessuna proposta è stata ancora depositata. Dovrò quindi continuare a fare riferimento al Piano Strategico Comunale (PSC), non senza sottolineare di nuovo il ritardo, al di là di ogni ragionevolezza, nell’iter di approvazione dello strumento. A questo punto, immagino che se sono stati necessari quasi due anni per materializzare il PSC, ce ne vorranno in proporzione di più per partorire il PUC (cosicché si arriverà al paradosso di dotare la città di un piano non solo ineffettuale, ma già obsoleto e quasi alla soglia della sua necessaria revisione).
In attesa del piano comunale…
Continuare a riflettere sul PSC è utile per orientarci nella situazione attuale. Questo strumento si compone essenzialmente di tre parti:
- la prima intitolata “La piana del Sele nella pianificazione sovraordinata”;
- la seconda “Il sistema urbanistico-territoriale di Eboli”;
- la terza “Verso il nuovo piano urbanistico comunale”.
Un lavoro cospicuo che induce ad esplorarne i contenuti, anche per verificare se la promessa quantitativa viene confermata da esiti qualitativi. Anticipo brutalmente che le ipotesi costituenti l’apporto originale del PSC per la città di Eboli sono contenute solo nel capitolo 3.2 “La nuova organizzazione territoriale”, dove si tratta delle “tre città” e del territorio agricolo (di cui ho discusso nel precedente articolo su Politicademente). In termini quantitativi: una quindicina di pagine su circa settecento.
Un’analisi, ancorché sommaria, del testo oltre il capitolo prima citato non rivela la presenza di riferimenti specifici agli indirizzi futuri di politica urbanistica, ragion d’essere del PSC, ma piuttosto la delineazione del quadro entro cui si colloca la pianificazione della nostra città, con un esame dettagliato delle normative nazionali, regionali e provinciali, della storia della pianificazione urbanistica e territoriale in Campania, delle “tre generazioni” di piano sperimentate a Eboli, degli strumenti di settore e dei piani esecutivi (ora piani urbanistici attuativi-PUA). Sono informazioni certamente necessarie, a partire dalle quali ripensare le politiche urbanistiche e il futuro della città, ma si tratta pur sempre di informazioni in una certa misura intercambiabili con piani strategici di eventuali altri comuni entro un ambito territoriale sufficientemente prossimo. Da questo lavoro di inquadramento di Eboli e della piana del Sele nell’insieme più o meno disperso di testi, norme, piani (dal 1957) dovrebbe derivare un catalogo di intenzioni coerenti, così da penetrare – anche grazie alla partecipazione di soggetti ed attori locali – ciò che Bernardo Secchi ha suggestivamente denominato lo “spessore opaco” che avvolge le pratiche urbanistiche.
Ciò è quanto sta accadendo a Eboli? Le intenzioni (gli indirizzi) si accordano con la realtà (i processi e le pratiche in corso)? Il divario nel PSC tra l’imponente apparato informativo e la scarna prefigurazione degli scenari futuri non costituisce proprio il segno della difficoltà a costruire un progetto per la città? Le risposte saranno contenute nel PUC, ancora di là da venire. Addentrandoci intanto nel PSC, notiamo che la parte seconda contiene la descrizione dei diversi ambiti, aree, zone del sistema urbanistico-territoriale locale, con l’analisi delle indicazioni e delle prescrizioni contenute negli strumenti di pianificazione, in particolare nel vigente PRG. A ciò vengono integrati o implementati i progetti (in corso di elaborazione o approvazione) di attrezzature e infrastrutture che si configurano/configureranno come una serie di varianti al PRG, che il PUC dovrebbe inquadrare in una cornice coerente. L’analisi del testo evidenzia peraltro che la disamina degli strumenti di pianificazione viene comunicata nel PSC mediante disinvolte operazioni di “copia e incolla” dai documenti considerati, riportati alla lettera ma senza virgolette, come avviene quando si descrive, ad esempio, lo strumento di intervento per l’apparato distributivo (SIAD), che conosco piuttosto bene per esserne stato l’autore. Non avendo motivo di credere che si sia trattato qui di una eccezione, non posso fare a meno di rilevare che tale procedimento è quanto meno inconsueto in una produzione che si vuole scientifica, anche se con intenti chiaramente operativi quale l’elaborazione di un piano urbanistico. Mi limito pertanto ad osservare che, a giudicare da quanto sopra, affidare l’elaborazione di un piano comunale ad un dipartimento universitario non può essere ritenuto, di per sé, una garanzia di qualità del risultato. Tanto più se si pensa che per il PUC di Eboli è stata coinvolta cinque anni fa, senza una procedura di evidenza pubblica e mediante una consulenza i cui contenuti restano peraltro ancora da chiarire, l’università di Salerno proprio per l’apporto di “scientificità” (utilizzo le virgolette dal momento che la scientificità è nozione tutt’altro che pacifica in urbanistica).
Quali indirizzi di pianificazione?
Al di là delle perplessità di fronte a queste modalità procedurali e metodologiche di confezionamento del piano, quali sono le scelte di pianificazione, ossia quale sarà il contributo proprio del PUC alla definizione di una politica e di una visione urbanistica della città? L’impressione che si ricava leggendo la relazione del PSC è che lo sforzo prevalente sia rivolto a ratificare lo stato presente delle trasformazioni sul territorio comunale, con una commistione di orientamenti teorici rigorosi (quando si parla, ad esempio, di zona agricola e di consumo di suolo) e di legittimazione pragmatica di quanto si è progettato in variante al PRG vigente (in conseguenza di proposte, decisioni e intese tra comuni, enti pubblici, soggetti privati successivamente alla approvazione del PRG). Non si indicano tuttavia le direzioni di un assetto futuro, se si eccettuano le opzioni tratteggiate nel breve capitolo “La nuova organizzazione territoriale”. Ora, il fatto che – come affermato dall’autore del PSC – non ci saranno sorprese nel PUC rispetto al PSC, da un lato rassicura e dall’altro preoccupa: sul versante generale delle scelte per la città, che pure si auspicavano forti, univocamente determinate e “partecipate”, nonché, come vedremo, sul versante specifico della edilizia residenziale (più o meno sociale).
Riguardo al tema della residenza, il PSC situa giustamente la condizione abitativa in un contesto socio-economico “di generale difficoltà”, condizione peraltro aggravata dopo il 2009. Ciò richiede in primo luogo la riqualificazione del centro storico, così da invertire la “tendenza all’abbandono definitivo della casa nel centro storico, rinunciando (…) alla costruzione della nuova casa in periferia o, peggio ancora, in campagna.” (p. 191) All’opposto, le dinamiche in atto a Eboli vanno però proprio nella direzione stigmatizzata dal PSC. Di qui una notevole confusione di orientamenti e competenze, dimostrata anche dalle recenti vicende legate a progetti urbani e a società più o meno partecipate.
Cerchiamo di capirne le ragioni, partendo dalla edilizia residenziale sociale (ERS). Con 58.140 stanze per una popolazione di 37.530 abitanti (al 2001), a Eboli esiste uno stock abitativo oggettivamente esuberante. Per questa ragione il PSC auspica un opportuno incrocio tra la domanda e l’offerta residenziale, il che pare alquanto lontano dalle preoccupazioni dell’attuale amministrazione e dai provvedimenti successivi alla elaborazione dello stesso PSC. Come ulteriore incentivo a restare dentro la logica dei piani attuativi, il PSC afferma che “il PUC di Eboli, dovendo individuare ambiti del territorio comunale per rispondere principalmente alla domanda di abitazioni da parte delle nuove famiglie che si formeranno nei prossimi anni, potrà utilizzare una quota delle superfici, che il PRG vigente quantifica in 50 mq/abitante, che i proprietari dei PUA dovranno cedere per standard urbanistici” (p. 193). Il problema è che, invece di agganciare ai PUA le previsioni e le proposte in materia di ERS, si preferisce rincorrere – come vedremo – soluzioni dettate dall’urgenza di accedere a finanziamenti pubblici o interventi su aree strategiche in project financing, secondo una logica di dubbia condivisione e trasparenza, la quale privilegia l’improvvisazione anziché la ponderazione (e la qualità del risultato). In queste condizioni, il treno si può anche prendere, ma con notevole affanno…
Social housing
Una parentesi sull’edilizia sociale prima di ritornare a Eboli, in particolare a Fontanelle. Mentre nel recente passato il “piano casa” e altri provvedimenti correlati si sono preoccupati di fornire gli strumenti per aumentare superfici e volumi delle abitazioni private – con una evidente distorsione terminologica, tipica dell’era berlusconiana, di un precedente e ben più sostanziale “piano casa” (quello del 1949) –, le esperienze più avanzate di social housing e di abitare collettivo in Europa hanno cercato, e cercano, di mettere a punto politiche e strategie in un’epoca segnata dalla parola “crisi”. Se si guardano i dati statistici, non si può non rimanere colpiti dal ritardo in materia: al primo posto i Paesi bassi, con 147 alloggi sociali per 1.000 abitanti; al sesto la Francia con 69,2. Con soli 18 alloggi sociali per 1.000 abitanti, l’Italia è il penultimo Paese europeo, seguito dalla Spagna. Nel Mezzogiorno la situazione appare ancora più critica. Se l’attenzione si sposta poi a Eboli, si ha la netta conferma del ritardo nazionale: assumendo, in rapporto alla popolazione residente, una forbice compresa tra 5000 (la media olandese) e 700 (la media italiana) di alloggi sociali, il numero di quelli presenti a Eboli appare piuttosto modesto. Qui la confusione regna sovrana (ma verrebbe di aggiungere che la situazione non è eccellente)…
Come è noto, gli investimenti immobiliari in senso sociale hanno subito una notevole contrazione a partire dalla metà degli anni ’80, in regime di urbanistica liberista, a cui si è aggiunta di recente la bolla speculativa del mercato immobiliare a creare condizioni di forte disagio abitativo. Dal 2008 l’attenzione si concentra anche in Italia sull’housing sociale. In tempi di crisi appare infatti necessario trovare gli strumenti per soddisfare una domanda di alloggio posizionata tra il libero mercato e l’edilizia residenziale pubblica, offrendo unità abitative a quelle categorie di persone escluse da entrambi i segmenti. Oggi come negli anni ’70, il paradosso è che, a fronte di una domanda sostenuta di edilizia sociale, sussiste un notevole stock di alloggi sfitti e invenduti, dalla cui valutazione non si può prescindere quando si discute di housing sociale. Ma il problema è anche di ordine culturale. In un articolo pubblicato su un numero tematico del 2010 dedicato all’”abitare collettivo” della rivista archphoto http://www.archphoto.it/2010/11/24/luigi-manzione_abitare-collettivo-in-francia-2000-2010/ , riportavo alcune recenti esperienze francesi, notando che laddove non esiste una cultura disciplinare e un quadro normativo specifico, insieme vincolante e stimolante, difficilmente può svilupparsi una sperimentazione progettuale adeguata. Non è tuttavia necessario andare in Francia, in Olanda o in Inghilterra per trovare modelli di “buone pratiche”: anche in Italia ci sono esempi interessanti di housing sociale da assumere come eventuali riferimenti per il progetto. Ciò che in Italia manca da anni è la ricerca, la consapevolezza diffusa (presso i tecnici, gli amministratori, i cittadini), la capacità di riconoscere e di vivere la qualità dell’abitare, dell’architettura, degli spazi pubblici e degli spazi privati. È del tutto evidente che un Paese che ha ormai affidato la produzione edilizia alla egemonia del mercato, e ai suoi banali egoismi, non ha più alcuna carta da giocare sul tavolo dell’architettura pubblica e, ancor più, della residenza collettiva.
In tempi recenti si sta cercando di recuperare il ritardo di cui si è detto con il varo di programmi di housing sociale sul territorio nazionale. In Campania, come altrove, il piano di housing sociale è partito all’insegna della velocità, come se il tema fosse solo di natura emergenziale e non richiedesse tempi e modi adeguati. Al momento della sottoscrizione dell’accordo di programma con il ministero delle infrastrutture, la regione concedeva dieci giorni ai comuni per completare le istruttorie urbanistiche e quarantacinque giorni ai proponenti per i progetti definitivi. Con gli immaginabili risultati in termini di qualità e pertinenza delle proposte… Un primo bilancio (fonte Il Sole-24 Ore del 28/11/2011) segnalava un totale di 67 progetti, di cui 11 di iniziativa pubblica (comuni e Iacp) e 56 di iniziativa privata, i cui proponenti sono stati selezionati a seguito di avviso pubblico (agosto 2010). Si prevede in Campania la realizzazione di 7.059 alloggi, di cui 4.221 di edilizia convenzionata (in vendita o con riscatto in 10 anni), 1.824 di edilizia libera, 791 in affitto (25 anni), 223 in locazione permanente, con l’attivazione di risorse per 1.548 miliardi (più della metà del valore di 2,7 miliardi dell’intero programma nazionale). Com’era prevedibile, l’opportunità di riqualificare immobili dismessi o con destinazione non residenziale è stata poco o per niente colta, dimostrando – anche a Eboli – una certa propensione al “gioco facile” sulle aree libere, alla richiesta di varianti agli strumenti urbanistici e, in generale, al consumo di suolo invece del recupero e della ricucitura.
Una variante al PRG per l’housing sociale
Come accennavo prima, anche qui si è cercato di non perdere questa occasione, proponendo un progetto di housing sociale nell’area di Fontanelle, la cui approvazione in consiglio comunale è avvenuta in modo alquanto precipitoso nel maggio scorso. Di che cosa si tratta? Questo intervento, ricadente nel “piano nazionale di edilizia abitativa” (D.P.C.M. del 16/07/2009) e nel programma regionale di edilizia residenziale sociale di cui sopra, prevede residenza sociale (80 alloggi), edilizia convenzionata (160 alloggi + 36 villette), negozi di vicinato, un centro civico polivalente, un mini centro direzionale (uffici, commercio, piazza, etc.) e un parco urbano. Un intervento così cospicuo necessita, naturalmente, di un numero adeguato di parcheggi (pertinenziali e non), di cui però non mi pare si trovi traccia negli elaborati.
L’operazione ricade in zona agricola del vigente PRG (sottozone Ea-collinare e montana ed Ec-boschi e praterie), nonché nella fascia di rispetto paesistico, e confina inoltre con la zona G-cave e discariche. Una localizzazione abbastanza “sfortunata” se si pensa che in tale area non sono ammesse nuove edificazioni (né dal PRG, né presumibilmente dal PUC a venire). Ciò richiederà quindi una variante del PRG, qualora il progetto venga approvato dalla regione (che ha peraltro già bocciato con decreto n. 511 del 11/11/2010 una precedente proposta denominata “Parco Fontanelle”, presentata dalla stessa ragione sociale). Il procedimento in variante è ammesso dalla normativa regionale. Tuttavia nel caso in esame si pone una questione di opportunità, tenuto conto che la parte centrale dell’area ricade nella fascia di rispetto paesistico dove, le norme tecniche di attuazione del vigente PRG (parte I, art. 43) vietano “quand’anche ammissibile ai sensi delle disposizioni attinenti la sottozona interessata, la nuova costruzione di edifici.” In poche parole, se esiste una parte del territorio da non destinare a consumo di suolo è questa. Una variante sarebbe dunque legittima, ma – a mio modo di vedere – del tutto inopportuna.
Una variante per costruire che cosa? Per capire, leggiamo il progetto presentato rapportandolo alle Linee guida relative agli interventi di housing sociale proposti al finanziamento, pubblicate dalla regione con deliberazione n. 572 del 22 ottobre 2010. Le Linee guida pongono in primo piano la qualità urbana estesa agli aspetti ambientale, insediativo, funzionale e di fruizione. In particolare, si privilegiano i “processi di riqualificazione urbana diffusa, in grado di ‘ricucire’ una nuova maglia urbana, anche a fare da contrappunto a quella esistente”, operando sul tessuto e riannodandolo eventualmente con la città consolidata, o anche solo più densa. Le Linee guida contengono inoltre l’indicazione esplicita di “evitare la trasformazione urbanizzativa delle aree ancora vergini del territorio” allo scopo di minimizzare il consumo di suolo, come già affermato peraltro dalla legge urbanistica regionale del 2004. Le medesime suggeriscono infine di localizzare i progetti di ERS negli “interventi edilizi previsti dai piani vigenti, come quota parte del totale”.
A tutto ciò il progetto di Fontanelle risponde individuando, al contrario, una localizzazione periferica e isolata dove non esiste alcun presupposto per creare “riqualificazione diffusa”. Sembra che l’area sia stata scelta solo in ragione della sua disponibilità, o facilità a rendersi disponibile, in relazione agli assetti proprietari. Laddove le Linee guida stabiliscono poi che gli “ambiti urbani, nuovi o recuperati, la cui qualità, anche formale, divenga uno dei fattori determinanti di innovazione, dovranno formare un insieme complesso di opportunità ed occasioni che sostengano e giustifichino gli stessi processi di riqualificazione diffusa”, la proposta delinea invece un progetto senza qualità che ripropone acriticamente lo stereotipo della periferia atopica, qual è diventata buona parte delle nostre città costruite a partire dagli anni ’50 del Novecento. Un insieme complesso non può ridursi a mio parere – come accade nel progetto di Fontanelle, peraltro ben rappresentato nei rendering – ad un semplice piano di lottizzazione pensato lungo un’arteria stradale, sui cui due lati si trovano le costruzioni a schiera, a blocco e a torre e, come terminale della strada, il centro civico. Insomma, invece di pensare l’intervento secondo la figura del mix, si è preferito pensarlo secondo quella del frammento e del compartimento. Eppure le Linee guida esprimono in modo univoco la preferenza verso un “approccio integrato urbanistico e progettuale di tipo complesso”, volto a “promuovere nuove visioni di territorio”, rispetto ad un modello, come quello proposto a Fontanelle, di “intervento lineare attento al semplice accostamento di interventi puntuali”.
Questioni di dettaglio (ma non solo)
Dove sarebbe allora la qualità urbana e architettonica?
Qualità che non rappresenta un capriccio di specialisti o di visionari, ma qualcosa avente a che fare con la vita di tutti, se finanche la legge urbanistica regionale del 2004 si preoccupa di stabilire, all’art. 23, che il PUC “promuove l’architettura contemporanea e la qualità dell’edilizia pubblica e privata, prevalentemente attraverso il ricorso a concorsi di progettazione”. Nella proposta di Fontanelle, gli edifici residenziali sembrano galleggiare sull’asfalto invece di essere interconnessi e integrati nel verde, replicando così l’edilizia comune, anonima e deprimente, delle nostre periferie. Né basta a riscattare il progetto l’inserimento sulle facciate di elementi decorativi (griglie, ringhiere, etc.): in certi casi, anzi, la presenza di un grigliato va addirittura contro il buon senso, quando viene fissato ad esempio davanti alle finestre dei corpi scala (lì non si può certo far crescere l’edera, né è auspicabile l’effetto “cella carceraria”…). In questo contesto, mi sembra davvero difficile dar vita a nuove centralità e a spazi di relazione, che pure il progetto si propone di creare. Infatti non si tratta soltanto di permettere l’accesso all’alloggio a categorie sociali meno favorite, ma di formare – come le Linee guida indicano espressamente – un “contesto sociale dignitoso, all’interno del quale sia possibile accedere (…) a relazioni umane ricche e significative”.
Ora, si potrebbe anche sorvolare su certi aspetti, allorché fossero rispettati rigorosamente parametri come la sostenibilità ambientale (come principio), la ecocompatibilità (come obiettivo), la bioarchitettura (come strumento). Tale rispetto nasce, com’è noto, da regole di base che riguardano la collocazione al suolo e l’orientamento degli edifici. Nella relazione del progetto di Fontanelle si legge che si è scelto l’“orientamento degli edifici per usufruire del massimo soleggiamento”. Ma le tipologie residenziali proposte – i classici edifici con scala centrale a servizio di quattro appartamenti per piano – sono del tutto indifferenti al soleggiamento, presentando ambienti di abitazione orientati su tutti e quattro i punti cardinali. Sarebbe stata sufficiente un’occhiata agli schemi basati sull’asse eliotermico per giungere ad una soluzione efficace da questo punto di vista, anche senza allontanarsi dalle Linee guida che prescrivono di “disporre i blocchi residenziali secondo l’asse nord-sud per usufruire del massimo irraggiamento solare”.
Per un insieme di ragioni, l’operazione Fontanelle è stata definita come “mera speculazione edilizia”. Non credo ci siano, allo stato, elementi oggettivi per poterlo sostenere; tuttavia i caratteri del progetto urbano e architettonico riproducono gli stilemi dell’edilizia di speculazione, senza una vera attenzione verso l’identità locale, il paesaggio, i caratteri antropici e ambientali, le qualità spaziali e formali.
- Gli interrogativi sottesi a questo intervento sono però anche altri, di natura più strettamente politica. In primo luogo, 80 alloggi sociali versus 160 alloggi convenzionati + 36 villette costituisce un rapporto vantaggioso per la pubblica amministrazione?
- Intendiamoci, la proporzione regolamentare è rispettata (minimo del 30%), ma la risposta politica – che non sia solo “ragioneria urbanistica”, ma anche una visione di comunità – dovrebbe andare oltre il rispetto formale di una percentuale… Inoltre: quali criteri hanno determinato la localizzazione nell’area di Fontanelle, visto che siamo in zona agricola, con scarsi insediamenti esistenti, in prossimità di una zona destinata a cave o discariche?
Non è certo sufficiente che si tratti di un’area resasi disponibile alla edificazione in seguito a presumibile riorganizzazione degli assetti proprietari.
Perché non scegliere, come appare intuitivo, un’area inclusa nei PUA che prevedono già edilizia residenziale? Tanto più che la normativa vigente considera l’alloggio sociale, come “servizio di interesse economico generale”, alla stregua di “standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali” (D.M. infrastrutture 22/04/2008, art. 1, c. 5). Perché non il quartiere Pescara (dove tra l’altro sono stati approvati Hispalis 1 e Hispalis 2)? Perché non S. Andrea, dove si verifica il maggior deficit in rapporto agli standard urbanistici? Ci si può chiedere ancora dove risiede il mix equilibrato con le politiche abitative sul territorio comunale, ammesso che queste siano state pensate nel PUC in gestazione. Questi interrogativi ripropongono, in sostanza, la questione decisiva degli orientamenti di pianificazione urbana e territoriale per Eboli, i quali non possono essere tratteggiati né anticipati, ancora una volta, da progetti elaborati in una logica di urgenza e di astrazione dalla complessità del quadro generale, se non di pura rincorsa al finanziamento. In un’ottica di sostenibilità, sarebbe opportuno tener conto degli effetti, non solo immediati e non solo positivi, che questa maniera poco lungimirante di costruire la città produce sulla comunità.
Eboli, 1 agosto 2012
Voglio esprimere il mio apprezzamento per il contributo offerto dall’arch. Manzione sul tema dell’Housing sociale di Fontanelle che, come sempre interviene con acume, competenza e con spirito critico, che ne fanno uno dei pochi punti di riferimento nel panorama professionale della nostra città. Al di là della puntuale ed approfondita analisi fatta ne condivido soprattutto la domanda finale, perchè lì e non invece al rione Pescara dove c’erano i prefabbricati e dove effettivamente potrebbe dare un contributo a riequilibrare la vivibilità di un quartiere emarginato?
complimenti
caro Luigi mi piacerebbe che tu scrivessi ciò che pensi anche sull’attuale svincolo autostradale, del suo ammodernamento, del progetto di delocalizzazione rapportando il tutto agli squallidi personaggi che ci sguazzano intorno. con stima. l’avvelenata
Concordo con avvelenata, anche perchè pare sia l’origine del mal di pancia di una parte del pd, non completamente passato dopo uno switch di terreni all’Acquarita che ne ha fatto notevolmente aumentare il valore, insieme alla situazione di un coniuge di un altro consigliere che deve trovare il lavoro dopo la scadenza del contratto e…….. varie ed eventuali.
Egregio Luigi, sei figlio di Peppino Manzione?
Se così fosse sarebbe il caso di dire che BUON SANGUE NON MENTE. E ciò dimostrerebbe,ancora una volta,che essere figli d’arte può diventare facile ma anche molto difficile.
Comunque,tutto ciò premesso,a prescindere dalle tue origini,non posso che congratularmi per la tua analisi lucida,approfondita,scientifica e nello stesso tempo semplice ed armoniosa,contenuta nelle tue RIFLESSIONI su Housing Sociale,PUC e PIANO STRATEGICO.
Se fossi stato sindaco di questa città ti avrei nominato subito assessore all’urbanistica,rifiutando tutte le nomine che rispondono solo a logiche di spartizione del potere.
Noi ebolitani questo ci auguriamo. WE HAVE A DREAM: presto vorremmo avere un sindaco giovane e lungimirante con una giunta composta da tecnici e professionisti al tuo livello. Solo così,le sorti di questo amato paese si potranno invertire. Solo così,EBOLI potrà ritornare ad essere quel punto di riferimento forte per tutte le comunità del basso ed alto Sele.
Vorrei ringraziare anzitutto Massimo Del Mese per avermi indotto a ritornare su questi temi, con la speranza che questo contributo sia utile ad aprire una discussione. Ringrazio anche chi ha commentato, delle cui parole di stima sono onorato, in particolare Giovanni Tarantino e Vincenzo Cicalese che ricordo nella gloriosa sezione del PCI di tanti anni fa…
Sarebbe interessante tentare su questo spazio un esperimento di “intelligenza collettiva” sulle prospettive urbanistiche di Eboli, dove i cittadini possano partecipare offrendo un contributo di riflessione e di progetto; far sentire la propria voce senza divieti o preclusioni, anche a partire da questioni “minime” (minime per chi?).
Anche nello specifico del tema dello svincolo autostradale potremmo confrontarci, ma perché non parlarne in termini più espliciti e articolati?
X il sig. Manzione: io + esplicito di così rischio una querela. 🙂
@Luigi Manzione- in coda all’articolo CHIUSO ho lanciato un’idea del genere sulla OPEN ELECTION.
Ma la stessa cosa sarebbe possibile per una OPEN TOWN dedicata alla nostra Eboli.
Caro Luigi,se sei veramente interessato potremmo iniziare l’operazione che ha fondamenti scientifici rigorosi e che già viene ampiamente utilizzata nei paesi anglosassoni. Anche in Italia,da due anni a questa parte se ne stanno raccogliendo i frutti sopratutto in campo pubblicitario,relativamente al lancio di nuovi prodotti sul mercato,in base ai gusti correnti dei consumatori.
L’OPEN TOWN è proprio un’applicazione di quella “intelligenza collettiva” che tu hai citato.
Bisogna innanzitutto stabilire regole precise e condivise…direi di iniziare proprio da te.
Se,cortesemente hai la pazienza di leggere la mia proposta in coda all’articolo citato,ti puoi fare un’idea più precisa dell’argomento.Ma credo che non ce ne sia bisogno perchè vedo che sei già abbastanza addentro alle nuove tecnologìe informatiche.
PS Non mi sbagliavo,sei proprio il figlio del preside Peppino Manzione e della professoressa…
Caro Vincenzo, sono io la persona in questione… Mi interessa molto l’idea di una Open Town, così come l’idea di co-inventare il futuro della città. Parlavo di “intelligenza collettiva” riferendomi a Pierre Lévy, ma credo che un esperimento potrebbe essere tentato da noi solo partendo da un adattamento alle condizioni locali di principi e dispositivi. E sappiamo bene quali sono le condizioni locali per ripeterle qui. Questa mi sembra l’impresa più difficile per avere un minimo di incidenza. E non è impresa da poco, se si pensa di dover riportare Eboli da “paese gigante” (prendo in prestito l’espressione da Franco Arminio), qual è diventato, a comunità (del XXI secolo). Resto scettico però di fronte al ruolo sostitutivo delle associazioni rispetto alle aggregazioni politiche (partiti e soprattutto movimenti). Probabilmente mi sbaglio, e in ogni caso non mi riferisco alla iniziativa in embrione, ma nelle associazioni, più o meno culturali, mi sembra di vedere un doppio pericolo: grandi ambizioni (reali o di facciata), ma effetti irrilevanti; all’opposto, tentata riproduzione sotto altre spoglie di una visione personalistica della politica che appartiene ormai ad un’epoca definitivamente tramontata, sebbene la maggioranza della classe politica faccia fatica a riconoscerlo (almeno finché non si trova al cospetto del disastro definitivo).
Una proposta come quella che avete lanciato nel post “Chiuso” mi sembra interessante a condizione di orientarla, dal principio, in una prospettiva politica (non necessariamente elettorale), mobilitando idee e persone, individuando processi e obiettivi concreti e quanto più possibile condivisi. Sui modi e sui tempi, non saprei dire: un mese, tre mesi, o il tempo necessario per instaurare un confronto e far maturare una prospettiva partecipata.
In un senso più limitato, pensavo ad un esperimento, anche del genere “Open Town”, orientato sul futuro urbano della città. Come vorremmo la città di domani: un catalizzatore di riflessioni, domande, proposte, anche minime e parziali, che possa portare ad elaborare una visione della città che oggi a Eboli è del tutto assente (a mio modo di vedere). Che è poi quanto mi sarei aspettato di vedere nel PUC di Eboli che si è voluto definire impegnativamente un “progetto di urbanistica partecipata”.
Non solo però “cosa” vorremmo per la città futura, ma anche “come” ottenerlo in termini pragmatici: con quali percorsi, strategie, risorse, mediazioni (anche), ossia tutti strumenti di natura concretamente politica, oltre che tecnica.
L’ho presa per le lunghe e mi fermo qui, sperando che altre riflessioni verranno dopo…
PS: per lukas, non intendevo essere esplicito su aspetti legati ai retroscena dell’operazione (sui quali l’informazione dovrebbe portare elementi di conoscenza, non tanto i nostri commenti), ma nel merito del progetto di delocalizzazione, che è uno dei temi di cui discutiamo.
Il merito lo devono valutare i tecnici , il problema è sempre lo stesso si antepongono interessi personali alla efficacia e alla validità dei progetti. Non si fa mai la cosa + giusta ma qulle che conviene di + ad alcuni e questo è gravissimo.
@ Luigi Manzione
Caro Luigi,neanche io credo al ruolo sostitutivo delle associazioni rispetto alle aggregazioni politiche. Penso solo che il format attuale dei partiti è già quasi morto. E, in particolare il PD,pur avendo “mantenuto” alle ultime elezioni, non potrà diventare mai il punto di aggregazione del centro-sinistra italiano. A meno di un miracolo che ancora non si intravede all’orizzonte.
Oggi come oggi,forse, solo i movimenti possono rappresentare un punto di aggregazione degli orfani dei partiti. Certo che bisogna volare più alto rispetto al “grillismo”. Questo movimento,tra l’altro, attecchisce di meno nel Mezzogiorno d’Italia per le persistenti ragioni di dipendenza dell’elettorato dal clientelismo partitico,ancora più marcato da noi.
Per intanto credo che faremo una buona iniziativa lanciando questa OPEN TOWN. Non sarà facile,certo.
Ma ,con il tuo saggio hai già dettato una traccia di discussione intorno a cui arriveranno,proposte e idee relative anche alle “piccole cose” dei quartieri.
Caro Luigi, come più volte abbiamo avuto modo di discutere, anche se in realtà, non è mai abbastanza,occorre ripartire dalla conoscenza delle cose e subito dopo dalla loro pratica applicazione.Entrambi abbiamo fatto delle scelte non di comodo ma è giusto così vosti che quotidianamente tentiamo di guardare il mondo con occhi diversi ma soprattutto di guardare alle persone con un sentimento ed un approccio sociale diverso.
Che dire, questa società divenuta man mano un non luogo in cui lo spaesamento è quasi totale (tu me lo insegni)ha bisogno di persone come te, come Vincenzo e tante altre. Persone lucide con un disegno e un sogno, con un’onestà di fondo che non può tradire. Io desidero che qualcosa cambi seriamente in questa nostra città ma come tu stesso hai detto, basta volerlo? L’esperienza mi insegna che sognare si può ma che alla base occorre sempre un’organizzazione, non necesariamente partitica ma sen’altra strutturata in modo tale da dare le giuste risposte, i necessari progetti e soprattutto le belle idee, idee che abbiano un quid di umano e non una mera logica di interesse.E poi una forte mobilitazione perchè lì dove non ci sono grandi mezzi si muovono le idee che realizzano i sogni anche più impensati. Come mi piace dire, Buona vita a tutti.
maria sueva… inizia scrivendo ….caro cugino luigi …. che è giusto ciosì
Grazie a Vincenzo e a Maria Sueva per essere ritornati sul tema. Con calma lo farò anche io. Vorrei ricordare soltanto la morte prematura di Renato Nicolini, riportando alcune sue parole che non mi sembrano qui fuori contesto: “Non si può governare rendendo contenti i poteri forti così come i cittadini, in particolare quelli che più soffrono. Rispetto al centrosinistra del passato cambierei subito due cose; prima di tutto bisogna garantire l’autonomia della cultura e dei suoi grandi istituti, facendo scelte di alto profilo per competenze e capacità, e non in base alla lottizzazione politica; in secondo luogo bisogna avere il coraggio di dire chiaro e tondo: consumo di suolo zero!” (Renato Nicolini, 1942-2012).
Intanto un omaggio a RENATO NICOLINI,inventore delle NOTTI ROMANE copiate in tutte le città del mondo…
Lascia un vuoto incolmabile nel panorama della cultura progressista italiana e mondiale.
Xlavvelenata.non ho alcun problema a scrivere caro cugino luigi,semplicemente non ne vedo la necessita’ visto che oltre la parentela ci lega un pensare comune. A te invece chiedo cosa cambia ai fini della discussione?
Ritornando sulla discussione Open Town, penso che sia importante cominciare a discutere di scenari futuri per la città, e contemporaneamente anche a come attuarli. Altrimenti il confronto resta confinato in una dimensione teorica, che pure mi interessa molto, ma che non ha incidenza sulla realtà. Da osservatore, mi sembra che la situazione politica ebolitana sia al grado estremo della confusione, ma anche propizia a ragionare sulle prospettive, visto che è del tutto evidente che il governo della città degli ultimi anni non ha prodotto alcun risultato di rilievo, se non l’ordinaria amministrazione (o l’amministrazione delle cose necessarie per sopravvivere). La domanda ora è: di fronte alla gravità delle condizioni attuali (in tutti i sensi), fino a quando le persone potranno accettare questa anomalia della rappresentanza politica?
Sono d’accordo con Vincenzo Cicalese quando dice che la forma-partito tradizionale è definitivamente tramontata. Non credo che il PD sia stato capace di interpretare i processi e il cambiamento, che pure è stato ed è radicale in una società degli individui. Non lo è stato a livello nazionale; mentre a livello locale, ammesso che sia mai realmente esistito, ha avuto com’è noto altre preoccupazioni…
Detto questo, penso che occorra come dice Maria Sueva “strutturare” una proposta per la città, dare dall’inizio alle idee un carattere programmatico e inserirle in uno schema di organizzazione. Mi ripeto, ma mi sembra opportuno essere chiari su questo punto.
Dar vita ad un movimento, partendo da aspettative e bisogni reali, è più difficile di incanalare la prostesta e la rabbia. L’esperienza del “movimento 5 stelle” (e, per certi aspetti, la deriva dell’IDV) è un indicatore utile per vedere come si evolve un movimento nato dalla spettacolarizzazione della politica e dall’uso strumentale dell’antipolitica, e creato come – a mio avviso – ultima declinazione della visione personalistica della politica (in regime berlusconiano). Il gioco facile è stato fatto; adesso viene quello difficile: amministrare le città dove hanno vinto, ed è lì che dovranno dimostrare di avere capacità al di là di un buon fiuto politico.
Quando parlo di unaproposta struttuata intendo,restando sulla materia di Luigi, riuscire a vedere con la mente per poi realizzarlo un plastico della citta’che vogliamo.REsto dell opinione che le cose debbano avere un volto sostenibile non tralasciando di creare,attraverso azioni positive una vera partecipazione eduna coscienza civica per il rispetto delle idee e del bene pubblico.Nulla cambiera’ se non cambia lo sguardo con cui osserviamo e diamo valore alle cose. La priorita,’ assuluta restano i giovani e il futuro che vogliamo per loro.Rottamare il vecchio significa far si che il nuovo avanzi e faccia la sua parte. Incontriamoci,magari quel plastico e’ gia ‘ nella nostra mente
Ho già avuto modo di complimentarmi con Luigi Manzione per la sua competenza professionale, per la sua lucida capacitò di analisi e l’indipendenza di pensiero. Non è un indiretto omaggio ad ascendenze paterne, ma un oggettivo riconoscimento della sua autonomia intellettuale. Eboli non brilla più da troppo tempo ormai, perché la diffusa presenza di figure professionali, intellettuali e politiche dotati di autonomia di pensiero e capaci di rapportarsi alle grandi correnti di pensiero nazionali e internazionali, che un tempo la fece diventare punto riferimento per l’intera provincia, sono ridotte a poche e inascoltate testimonianze. Le nuove leve della politica e delle professioni, salvo rare eccezioni, brillano per la loro mediocrità e per la stupida cortigianeria dei “reggenti” del momento. La gran parte dei tecnici, senza offesa per nessuno, tacciono o acconsentono, magari pressati da esigenze contingenti, per non alienarsi le simpatie del/i “manovratore/i” che potrebbe/ro negar loro qualche improbabile committenza. Finalmente, però qualcosa si muove. Di là delle analisi, dei contenuti e delle indicazioni fornite da Luigi, che naturalmente condivido, è interessante anche l’approccio metodologico che mira a rendere realmente partecipate e condivise le scelte in materia urbanistica e sulle questioni dello sviluppo economico e dell’uso delle risorse territoriali. Open town (Constituents want to partecipate in civil online forum)? Cioè la partecipazione dei cittadini attraverso un forum on line per definire e decidere le scelte per la città?. Ben venga, ma bisogna definire modalità di gestione e forme di partecipazione, per evitare che diventi un inutile sfogatoio o, peggio, uno strumento utilizzato per veicolare pacchetti confezionati ”ad usum delfini”. Ad Antonio Lioi e Vincenzo Cicalese, che come me sono soci fondatori di un’associazione che si prefigge di promuovere la “partecipazione attiva” dei cittadini, mi sento di dire che potrebbe essere un ottimo motivo di riflessione interna, per dare corpo a un’iniziativa che potrebbe davvero rivoluzionare i rapporti dei cittadini con la cosa pubblica.
X Vito Pindozzi:
E’ chiaro Vito che , qualunque idea venga sviluppata in merito alla città di Eboli, non sarà messa a disposizione di tutti. L’Open Town a cui si fa cenno deve essere chiaramente una compartecipazzione spontanea di intenti poi però si passa ai fatti concreti che sono quelli di realizzare un vero e proprio programma utile e necessario a risollevare le sorti della città.
E’ bene dunque che esperti, tecnici, professionisti con idee valide e progetti nel cassetto vengano allo scoperto al momento opportuno e come dicevi tu, magari nel corso di un’iniziativa che abbia già alla base una sua struttura di contrapposizione al politichese attuale.
Ringrazio Vito Pindozzi, sia per l’espressione di stima nei miei confronti, che mi onora, sia per aver attirato recentemente la mia attenzione su alcuni aspetti discussi in questo contributo. Il quadro che ha tracciato fotografa, purtroppo, perfettamente la realtà ebolitana. Gli effetti della crisi economica si aggiungono a un’attitudine al compromesso ad aggravare la situazione. Non è ovviamente una condizione che riguarda solo il mondo delle professioni e il ceto politico, ma coinvolge, per necessità vera o presunta, la maggioranza delle persone. Su questa debolezza continua a reggersi, a mio parere, un sistema di potere tipicamente meridionale basato sullo scambio politico a tutti i livelli.
Mi sbaglierò, ma ho l’impressione che occorra cominciare dal basso per contribuire a cambiare le cose. La partecipazione alle scelte, in particolare sul terreno della costruzione della città, è una parola vuota se non si ha la capacità di individuare le modalità democratiche e trasparenti per creare un dialogo tra i cittadini e le istituzioni. E qui è ancora tutto da inventare perché non basta organizzare degli incontri con i diversi soggetti e attori per poter parlare di urbanistica partecipata, se poi le scelte che si operano fanno astrazione dalle indicazioni e dalle osservazioni.
Con le dovute proporzioni, una procedura interessante è quella francese delle “consultations”: quando si intraprendono progetti di trasformazione di aree urbane, i cittadini hanno la possibilità di esprimere le loro istanze, secondo procedure formalizzare i cui risultati devono essere obbligatoriamente presi in conto nella definizione finale dei progetti e nella realizzazione di questi. Riporto solo un caso che ho seguito, dal 1997 a Parigi, del quartiere intorno alla nuova biblioteca nazionale dove i residenti, le associazioni, i movimenti hanno avuto un confronto anche aspro con la municipalità e sono riusciti ad ottenere modifiche importanti per il loro ambiente di vita.
In questa ottica, faccio due esempi locali: il parcheggio interrato al Borgo e la sua ripresentazione a via Rosselli. Una visione semplificatrice del rapporto tra tecnica e politica porta a concepire gli interventi sulla città come opere di ingegneria, mentre si tratta anzitutto di operazioni che incidono profondamente sulla vita degli abitanti. Al Borgo, l’ennesimo project financing si è dovuto scontrare con la protesta dei residenti che alla fine ha provocato l’abbandono, in quel luogo, del progetto. In questo caso, una consultazione preliminare avrebbe favorito un dialogo in cui le parti potevano far valere le proprie ragioni, trovando forse soluzioni alternative mediate e condivise, con benefici per la collettività (per me un beneficio per la collettività significa, ancora, un beneficio per tutti, nessuno escluso).
Da questo punto di vista, la riproposizione del parcheggio a Via Rosselli è stata poi un’altra scelta insensata, con il sacrificio dell’unico parco giochi per i bambini esistente a Eboli. Le vicende della realizzazione del parcheggio sono note, e anche su queste si potrebbe discutere a lungo. Se si potessero correttamente risolvere le delicate problematiche finanziarie, occupazionali e forse giudiziarie che l’operazione ha innescato, si potrebbe lanciare la proposta (provocatoria?) di creare invece del parcheggio un piccolo parco verde (vero), con alberi e un minimo di arredo urbano, dove i bambini potrebbero ritornare a giocare, e ripartire da lì per invertire concretamente la logica della trasformazione urbana in direzione del coinvolgimento civico. Anche di questi temi credo che sarebbe opportuno discutere nel forum Open Town…
Sì, un bel parco giochi di ampio respiro in cui i bambini possano coltivare la fantasia e l’ingegno. Un altro grande problema che affligge non solo Eboli è sì il fare ma anche il manutenere che è fondamentale. Anche qui andrebbe rivisto tutto, a cominciare dalla famosa Multiservice S.p.A.
Sono stata di recente a Valencia non so cosa ne pensi tu Luigi ma vi ho trovato una serena convivenza tra vecchio e nuovo, dove urbanistica significa anche sviluppo economico e dove vivibilità significa innanzitutto decoro urbano ed umano.
Il parco giochi è un progetto che stiamo portando avanti praticamente dal momento della fondazione dell’associazione ( inizio 2012) stante anche la chiusura del piccolo parco di via Adinolfi. Abbiamo numerose volte interloquito con l’amministrazione ma con scarso riscontro. Avevamo dapprima richiesto uno spazio di 40mq circa in Piazza della Repubblica ma non c’è stato seguito e poi avevamo individuato la piazzetta Carlo Levi ma per ora nemmeno lì si è riusciti ad installarlo. Si sottolinea che l’intervento verrebbe effettuato interamente con fondi dell’associazione ( di tasca degli associati in sostanza)con sistemi che richiedono manutenzione zero ma , purtroppo , non siamo stati ancora messi in condizione di farlo.
Se qualche privato o altre associazioni desiderano aiutarci in questo progetto lascio la mail per i contatti assorachelemassajoli@libero.it .
Grazie
Mi trovo perfettamente in sintonìa con l’ottimo L.Manzione.
Egli è riuscito,anche con esmpi pratici,a spiegare molto meglio di me il signifitato di OPEN TOWN.
Non si tratta di organizzare i soliti convegni per addetti ai lavori insieme ai soliti politicanti da strapazzo accompagnati da qualche “esperto” di turno interessato solo alla progettazione.
TUTTO IL CONTRARIO. Bisogna partire dal basso,cioè chiedere prioritariamente ai residenti rionali come vorrebbero migliorare il proprio quartiere. Stimolare proposte da parte di associazioni,come sta già facendo la Rachele Massajoli per un parco giochi finanziato privatamente!
I tecnici migliori, dovranno solo progettare su indicazioni della Giunta e/o del Consiglio Comunale che,nel frattempo avranno portato a sintesi le esigenze della popolazione.
Il tutto dovrà avvenire nella massima trasparenza e nel rispetto totale della vigente normativa in materia.
Solo seguendo la giusta direzione di questa bussola potremo realizzare qualcosa di straordinariamente nuovo per EBOLI.
Pensare alla città vivibile non è virtuale,assomiglia solo all’UTOPIA di Tommaso Moro o alla CITTA’ DEL SOLE di Campanella.
E’ qualcosa di reale e concreto già realizzato in Francia,nel Nord Europa,in Spagna,negli Stati Uniti,in Australia e perfino in Africa.
Ma anche l’Italia vanta tanti esempi di CITTA’ DAL VOLTO UMANO!
Una visione del programma come qualcosa che si confeziona dall’esterno, avvalendosi di esperti e tecnici e assumendo in anticipo un (ipotetico) mandato di rappresentanza, mi sembra da superare.
La partecipazione dovrebbe essere già l’inizio di un programma, che non può essere il risultato di un conclave o la giustapposizione di proposte eterogenee.
Penso che, come una Open Town, si potrebbero tentare tanti Open per i diversi aspetti di un programma. Il punto è produrre idee per un “nuovo rinascimento” come si sta cercando di fare, per esempio, a Milano. Riguardo a urbanistica, ambiente, architettura, verde, etc., non credo si debbano elaborare progetti definiti e dettagliati, ma ipotesi e idee; suscitare interrogativi e produrre conoscenza. Cercare di ascoltare le persone e le loro attese, anche se occorre far fronte ad un rifiuto della politica sempre più generalizzato; percorrere la città per osservare e riflettere su come intervenire per migliorarla; confrontarsi su quelle che possono essere le scelte più opportune e utili per la comunità (che sono quasi sempre le più evidenti)…
Lo sforzo principale è definire un programma che convinca e aggreghi il maggior numero di persone. In questo senso, per essere condiviso dovrebbe essere esplicito, trasparente, e naturalmente contenere idee sensate e strutturate che disegnino le linee essenziali di un futuro della città. Partendo da una nozione di base di ciò che sarà il forum, si potranno definire le modalità di accesso, partecipazione e moderazione, aperte ma regolate.
Non c’è da temere una eventuale utilizzazione di questi contenuti da parte di terzi, più o meno “delfini”, proprio perché non ci saranno progetti nel cassetto da mostrare. Come ha già osservato giustamente Vincenzo Cicalese, i progetti riguardano il governo della città e saranno quindi elaborati e realizzati al momento opportuno, al termine di un processo di condivisione, mediante procedure formalizzate e normate, cercando di scegliere quelle procedure che producono massimi vantaggi/minimi costi sulla collettività e facendo particolare attenzione alla qualità e alla sostenibilità degli spazi, delle attrezature, dell’architettura.
A questo proposito, ma il discorso porterebbe lontano, è importante ciò che ricorda Maria Sueva a proposito dalla coesistenza tra vecchio e nuovo e delle scelte urbanistiche come pre-condizioni per lo sviluppo. In particolare, credo che occorra avere coraggio nel realizzare interventi decisamente contemporanei di qualità, senza tentare patetici mimetismi come accade nella maggior parte delle nostre città (con la diffusione del falso-storico e del pittoresco di seconda mano).
PS: non conosco bene la vicenda dell’associazione Rachele Massajoli, ma stento a capire le ragioni che impediscono ad un’amministrazione di affidare ad un’associazione parte di uno spazio pubblico per impiantare, gratuitamente e senza necessità di manutenzione, un parco giochi, soprattutto tenendo conto che l’unico che esisteva è stato cancellato dal parcheggio di via Adinolfi (non Rosselli come ho più volte detto prima).
Neanche io conosco bene la vicenda della Rachele Massajoli. E’ venuta fuori sul blog. Sono felice che già in embrione si è avviata una sorta di piccola OPEN TOWN…
Pregherei gli addetti ai lavori di intervenire sul caso per cercare di dare concretamente una mano all’associazione che ha già indicato la propria mail.
Si tratta di una iniziativa a costo zero per l’amministrazione. Inoltre è stato già individuato lo spazio in piazzetta Carlo Levi che potrebbe essere, con ciò,rivalutata e salvata dal degrado in cui si trova!
Ecco un esempio pratico in Eboli.
Ma ha ragione L.Manzione che bene ha fatto,tra l’altro,a precisare via Adinolfi e non Rosselli: impariamo bene la toponomastica della nostra cittadina!
Bisognerebbe,adesso,definire “modalità di accesso,partecipazione e moderazione,aperte ma regolate” per avviare più ampi e strutturati processi di molteplici OPEN.
In ciò,credo che deve provvedere il gestore di questo BLOG. Massimo mi ha già promesso che sarà in grado,in tempi stretti, di fornire uno spazio dedicato.
Che ne dici Admin? sei pronto?
Lo sforzo a cui accenni tu Luigi è soprattutto quello di arrivare alle persone in modo capillare e serio. La gente è tanto sfiduciata che se da una parte ha voglia di credere ancora dall’altra è anche molto guardinga ed ha ragione.Io però sono serena da questo punto di vista perchè le cose importanti della mia vita le ho raggiunte sempre con l’impegno e il sacrificio basta crederci.Vi faccio una domanda, pensate davvero che il forum sia sufficiente? Credo che al forum bisogna affiancare necessariamente dei momenti di incontro partecipati. Il forum può essere un ottimo tramite e un modo per darsi appuntamento in qualche luogo in qualche tempo. Se si comincia oggi a costruire, si potrà esser pronti quando ci saranno le scadenze ma temo, e per questo credo, che si debba in un certo qual modo accelerare questo OPEN TOWN. il 2015 potrebbe arrivare prima del previsto.
Forse sono troppo pragmatica ma ho capito che la forza del sogno va accompagnata dalla forza del fare. Buona giornata.
P.S. sono certa che tra i lettori qualcuno comincia a preoccuparsi di questo dibattito aperto e questo è un bene perchè ci dice che andiamo nella direzione giusta, basta crederci
La costituzione dell’associazione è stata riportata dai principali giornali locali. Non abbiamo pensato di dare risalto più di tanto alla cosa perchè lo scopo principale che ci ispira è quello di dare risalto alla figura di Rachele Massajoli , nota benefattrice del Comune di Eboli e la cui figura non è mai stata adeguatamente messa in luce dalle aministrazioni che si sono susseguite dal 1993, anno in cui la stessa è deceduta, in poi. Non siamo alla ricerca di pubblicità, tanto è vero che non abbiamo nemmeno attivato admin per dare risalto alla costituzione. Un bene cospicuo donato al Comune è il palazzo Massajoli sito in via U.Nobile ai tempi della giunta Rosania e che è tutt’ora utilizzato al di fuori del vincolo per il quale lo stesso bene fu donato.
Grazie dell’attenzione.
@Maria Sueva Manzione-
Allora non ci siamo per niente compresi. Figuriamoci chi non è addetto ai lavori!
Ciò significa,cara M.S. che si parte già col piede sbagliato!
Ho già detto e ripetuto più volte,anche in altri spazi del blog che subito dopo la fase degli interventi in rete si deve passare necessariamente al contatto fisico con i cittadini ed ho anche specificato quali,secondo me, potevano essere i luoghi,le metodologie e le strategìe.
Pertanto,ti pregherei di non ripetere sempre le stesse cose e di incominciare a fornire proposte e contributi sulle tematiche tracciate da Luigi nel suo saggio del 1 agosto. Sono già trascorsi 7 giorni e,tranne l’associazione Rachele Massajoli e,in parte Vito Pindozzi,nessun altro contributo d’idee si è ancora visto.
Scusa se ti sembro un pò categorico ma,nelle cose da fare sono molto più pragmatico di te e più realista del re!!!
Il dibattito e’ interessante e come tutte le cose interessanti va affrontato con estrema serieta’, ma con la consapevolezza di non avere la panacea di cambiare il mondo, ma almeno concorrere con modestia, nelle piccole cose, a cambiarlo.
Purtroppo viviamo un periodo estremamente difficile e altrettanto difficile e’affrontare le tematiche politiche che sembrano essere soccombenti rispetto alla real politic o meglio alla real economy, nelsenso che oggi ha prevalso l’economia e le ragioni economiche alle politiche e le ragioni sociali, proprio per la vacanza o debolezza degli attori che interpetrano la politica e i Governi che si lasciano travolgere dai vari processi dei pupari della economia e della finanza internazionale.
Di qui la meraviglia rispetto ai temi che si sono posti in discussione, della scarsa attenzione dei lettori del blog, che non intervengono e non dicono la loro sebbene questo articolo sia stato letto da 1276 persone nei primi 3 giorni di pubblicazione e di altri 768 dei giorni successivi, riscontrando che solo 198 contatti sono quelli ripetitivi perche’ partecipanti al dibattito.
Ma la meraviglia lascia il posto alla giustificazione, ritenendo che i cittadini, non sono abituati piu’ alla discussione serena e costruttiva se non attratti dai gossip e dalle liti che li accompagnano. Tuttavia non si puo’ delegare al web, ne tantomeno al blog che pure offre i suoi spazi senza nessun limite, alla ricerca di soluzioni alternative o posizioni di contrasto alle varie organizzazioni, siano esse Associazioni o i Partiti o i governi, locali e sovralocali, piuttosto che di accompagnamento alle iniziative politiche che devono essere spinte nelle sedi opportune, altrimenti involontariamente si corre nell’ errore di dare l’ultima spallata a quei Partiti o a quelle Istituzioni, dopo i quali non troveremmo nulla se non macerie e deserto politico.
I partiti devono essere sollecitati e incalzati, ma devono essere anche aiutati a compiere quel passo piu’ decisivo che li porti fuori da una secca. Aiutati ad essere moderni, meno statici piu’ dinamici, fluidi, capaci di adattarsi ai cambiamenti, ormai tanto veloci fino al punto in cui diventa impossibile seguirli se non assecondarli cercando di guidarne i processi e i cambiamenti.
Allo stesso modo e’ interessante l’open town e cercare di favorire una discussione dal basso, ma anche questa laddove e’ stata applicata non ha dato i frutti sperati,perche’ negli incontri partecipati finivano per prendere il sopravvento i professionisti della pianificazione, mettendo a tacere le richieste semplici dei cittadini, ma causando un danno alla formula partecipativa, tanto che progressivamente ha fatto allontanare chicchessia, lasciando il campo libero ai saccentoni dell’urbanistica, che nei loro esercizi masturbatori, hanno finito per stravolgere le nostre aspettative, alterare i bisogni, programmare futuri inaccettabili se non inutili e controproducenti per il normale sviluppo delle Citta’, mortificando se non annullando gli slanci di vivacita’ economica sempre presenti in una Societa’, generando obrobbri e favorendo le speculazioni piu’ sfacciate, grazie anche al quadro legislativo che ne consente la programmazione e l’ attuazione.
Anche qui la politica sperando di poter governare gli eventi e controllarli e’ finita per essere prigioniera se non succube dei professionisti della pianificazione, assumendosene i carichi dei fallimenti, a loro volta ricadenti sulle comunita’.
Oggi e’ piu’ difficile affermare principi, ma non perche’ non risulterebbero capiti, ma e’ difficile perche’ la Politica non non svolge piu’ il suo ruolo di mediazione tra la societa’, con tutti i suoi bisogni e le istituzioni con tutte le sue risposte.
Sono cambiate le modalita’ e si sono aggiunte altre “Agenzie”, e quindi: la politica programmatica ha fatto spazio a quella tematica; le ideologie hanno fatto spazio al qualunquismo; le opinioni sono state sostituite dai sondaggi. E cosi’ mentre nel primo caso, la societa’ si divide su tutto, scompaginando i modi tradizionali di approccio alle questioni tematiche; nel secondo caso seguendo la real politic tutti ragionano e rincorrono soluzioni simili, facendo passare nell’opinione pubblica il principio negativo di associare in uno tutti i partiti e non operando nessuna differenza; nel terzo caso poi si e’ indirizzato gli interventi basandosi sugli umori viscerali del momento, non sempre rispondenti alle vere valutazioni ponderate e riflettute.
Il risultato? E’ sotto gli occhi di tutti: una rovina e un declino senza precedenti.
Ma non tutto e’ perduto e bisogna lavorare in maniera intelligente per cercare di cambiare le cose senza ripartire necessariamente da zero, cercando di restituire quel ruolo nobile alla Politica, luogo di incontro e di coltivazione di idee capaci di realizzare magie che ci riportino a rimettere al centro l’uomo, i suoi bisogni, le sue speranze, i suoi sentimenti, i suoi valori, consapevoli di voler condividere con gli altri ansie, gioie e aspettative.
E’ possivile?
Mi scuso per la ripetitività con la quale ho usato l’espressione dare risalto ma ho scritto di getto.
E’ possibile caro Massimo.Qua nessuno intende ripartire da zero. La tua analisi è parzialmente condivisibile specialmente nel tuo anelito finale di speranza per il futuro.
Questi ultimi anni hanno talmente ingarbugliato le coscienze e imbrigliato i partiti, a cui tu ancora credi.Per forza di cose è necessario un passaggio veloce alla Terza Repubblica. Se questo non avviene,l’Italia perderà un altro treno della Storia.
Il “format partito” degli anni passati è già ben cotto e moribondo. Quell’idea di modernità a cui tu accennavi, non si potrà mai realizzare con questo personale politico che,pur è composto di elementi validi,onesti,capaci. Ma,quella stessa gente semplice a cui tu facevi riferimento è stanca di tutto e tutti.
E già ha fatto di tutta l’erba un fascio!
Ti ricordi cosa affermò Montanelli subito dopo la discesa in campo di Berlusconi?
GLI ITALIANI LO VOGLIONO PERCHE’ ORMAI SONO ACCECATI DAL PERSONAGGIO.E’ MEGLIO CHE VADA AL GOVERNO,SOLO COSI’ SI POTRANNO VACCINARE DA QUESTO NUOVO “UOMO DELLA PROVVIDENZA”.
Oggi ,più o meno siamo nella stessa situazione di vent’anni fa.
Auguriamoci solo che il nuovo “uomo della provvidenza” non sia BEPPE GRILLO che continua a salire nell’indice di gradimento degli italiani!!!
Allora,amico mio,diamoci da fare anche nel nostro piccolo.
Certo nessuno ha l’ambizione di voler cambiare il mondo e neanche possiamo assecondare troppo l’uomo semplice della strada che preferisce stare alla finestra a guardare come quelle 2000 persone che hanno solo letto questo articolo…
C’è bisogna di una scossa e di un atto rivoluzionario.
Tu puoi fare molto,perchè sei uno dei migliori ebolitani sulla piazza. Da te ci aspettiamo tanto.
Ma non lasciarti prendere dal pessimismo o dall’attendismo. Non sono questi i tempi di QUINTO FABIO MASSIMO IL TEMPOREGGIATORE. No! è l’ora di Scipione l’Africano . Annibale ha già devastato l’Italia intera.
@Vincenzo Cicalese
Guarda caro Vincenzo capisco bene che la tua indignazione ha raggiunto i massimi livellima credo anche cheper fare quello che dici tu e che nella sostanza non e ‘diverso da quello che dico io Luigi o Piuttosto Massimo credo che occorra un po ‘ di moderazione perche non credo di essere stata affatto ripetitiva e mi scuserai se nonho letto tutti i tuoi interventi, non ho avuto modo di farlo intanto ho espresso un mio pensiero e conoscendo gli attori in campo dico solo che bisogna essere organizzati. Ora non gli strumenti necessari per farlo e lo si capisce anche dagli errori ma,mi riservo di farlo a cominciare dal centro storico e dala fascia costiera.
Complice un inizio di vacanza, avevo deciso di attendere altri interventi prima di ritornare in argomento, ma la riflessione di Massimo Del Mese e poi la replica di Vincenzo Cicalese richiedono di rimandare il proposito… Parto dalla domanda finale. Direi che è molto difficile, ma possibile, perché se non lo fosse sarebbe non il disastro ma la fine.
Non mi stupisce che pochissime persone abbiano commentato, tenendo conto che i temi del mio intervento erano piuttosto da “addetti ai lavori” e che la prospettiva di una Open Town è appena all’inizio, ancora nebulosa per gli stessi promotori. A ciò si aggiunge la circostanza, nota, per cui oggi prendere posizione e dichiararla diventa quasi un’impresa, ma non è detto che questa debba essere la regola definitiva…
Il primo passo dovrebbe essere, come si è detto, l’organizzazione del forum. Il forum non è tuttavia il fine del confronto, ma uno strumento fondamentale per delineare posizioni, sollevare questioni, disegnare ipotesi. Anche il forum è politica, ma non si dovrebbe perderne di vista la dimensione concreta e localmente costituita, con la ricostruzione (che diventa per certi versi “reinvenzione”) di un centro-sinistra a Eboli fuori dalle logiche imperanti. Un’aggregazione che faccia i conti con la realtà; aperta e senza preclusioni (in questo senso, la lettera di Giovanni Tarantino pubblicata da Massimo mi sembra toccare aspetti importanti anche per la discussione che si sta avviando qui).
Forum, incontri e possibilità di rendere pubblico il dibattito su Politicademente mi sembrano tre momenti complementari, senza soluzioni di continuità o priorità temporali, visto che gli incontri servono per condurre a sintesi i contenuti, percorrere la città, ascoltare altre voci e posizioni (anche politiche, se queste verranno), mentre il blog potrebbe essere il luogo in cui si rendono pubblici i risultati condivisi del lavoro che si andrà a fare nel forum.
Sono d’accordo con Massimo Del Mese che non ci si può sostituire ai partiti. E sarebbe velleitario, in una “normale” democrazia non dominata dalla miscela esplosiva di eterodirezione del capitale finanziario globale e logiche di risposta di piccolo cabotaggio. Ma mi chiedo se esistono ancora i partiti, a livello locale e nazionale, e se quelli che si sforzano di sopravvivere non debbano necessariamente riflettere in maniera critica sulle loro prospettive e sulla loro stessa identità. “Aiutare” i partiti – questi partiti – mi appare perciò un’operazione improbabile, almeno finché essi non dimostrano un reale interesse verso i temi di cui discutiamo; finché non si rendono conto che tutto è in continua, vertiginosa mutazione e, di conseguenza, le logiche, gli obiettivi e le modalità di azione che si ostinano a perseguire sono largamente fuori fase con la realtà. E tuttavia l’alternativa non è, a mio avviso, né l’antipolitica, né il grillismo (con i suoi nuovi paladini come Di Pietro).
Sono d’accordo che occorre prestare attenzione al pericolo di una possibile strumentalizzazione dell’Open Town da parte di soggetti portatori di altri interessi e disegni. Si tratterà a questo proposito, e mi ripeto, di definire regole chiare e rigorose su come relazionarsi con quanti vorranno aderire (qualche idea l’avrei, e non mancherò di esprimerla).
In ogni caso, ci toccherà spiegare perché e in che cosa questo esperimento di “intelligenza collettiva” per la città non è la riproposizione di tentativi già effettuati e falliti. A mia conoscenza, a Eboli non sono stati mai realmente messi in campo esperimenti di questo tipo. Laddove i “professionisti della pianificazione” hanno preso il sopravvento – ma lo hanno mai veramente preso loro? – non si è trattato di un confronto orizzontale, ma sempre verticalmente orientato. Tant’è (e mi piacerebbe essere smentito) che si è verificato anche puntualmente il contrario, ossia che il personale politico ha utilizzato a proprio disegno i pianificatori, o semplicemente i tecnici, specie quando questi non si sono distinti per rigore e distanza critica, oltre che per capacità di sacrificio.
Ciò è potuto accadere perchè da entrambe le parti si è preferito, più comodamente, credere che la tecnica, nel nostro caso l’urbanistica, sia mero supporto alla politica, quando in realtà sono inscindibili.
Non ci si può illudere di “ripartire da zero”. E su questo siamo tutti d’accordo. Credo occorra confrontarsi, senza dogmatismi e preclusioni, con ciò che esiste anche sul terreno delle formazioni politiche, senza però transigere sui principi essenziali condivisi, la trasparenza e il rigore come metodo. In particolare su questo punto mi aspetto interventi…
Questo strano mondo corre troppo velocemente caro Luigi.
Avevamo iniziato un dibattito interessante,grazie alle tue riflessioni “a penna libera”. Ma già ci troviamo sommersi dalla cronaca che incombe e non ci lascia respirare.
Allora,forse è giusto goderci qualche giorno di vacanza. Poi,con calma,riprenderemo il filo del discorso.
In attesa,auguriamoci che altri intervengano sull’argomento.
Ciao Vincenzo