Sabato 21 aprile 2012, ore 18,30, Chiesa dell’Annunziata, Antonio Petruccelli presenta: Roberto d’Oderisio, Ricostruzione storico-artistica del Magistro formatosi alla Scuola di Giotto alla Corte Angioina di Napoli (XIVsec).
Gli antichi affreschi di Minturno sono di Roberto D’Oderisio. La “Crocifissione di Eboli” resta comunque l’unica opera firmata dal pittore, mentre l‘ambone della Chiesa di Minturno riproduce solo l’araldica degli Orsini e l’effige della Contessa di Fondi, che fu la committente del pittore per gli affreschi.
MINTURNO – Le Chiese di Minturno potrebbero custodire preziose testimonianze pittoriche della seconda metà del Trecento attribuibili alla Bottega di Roberto d’Oderisio, allievo napoletano di Giotto. Se l’ipotesi sarà confermata, il Sud pontino si arricchirà di un’importante testimonianza artistica. Ad annunciare quella che si presenta come una clamorosa scoperta è lo studioso Antonio Petruccelli di Minturno che presenterà il 21 aprile prossimo alle ore 18,30 nella Chiesa dell’Annunziata della città il suo contributo critico dal titolo: Roberto d’Oderisio, Ricostruzione storico-artistica del Magistro formatosi alla Scuola di Giotto alla Corte Angioina di Napoli nel XIV secolo, edito dalla casa editrice ILGRANDEBLU. Il volume sarà introdotto e commentato dal professore di storia dell’arte Maurizio Vitalone.
L’ipotesi di attribuire al D’Oderisio alcuni affreschi delle Chiese di San Pietro Apostolo, San Francesco e dell’Annunziata, è sostenuta, scrive Petruccelli, da un documento del Codex Diplomaticus Cajetanus fin qui sfuggito all’attenzione degli storici dell’arte, che conferma nel nostro territorio, corrispondente all’antica Contea di Fondi, la presenza dell’artista napoletano durante la seconda metà del XIV secolo.
Di Roberto D’Oderisio, infatti, si conosce una sola tavola certa, la Crocifissione di Eboli, Pala d’altare raffigurante la Crocefissione di Cristo (sec. XIV), pala che rimase nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Eboli fino all’immediato dopo guerra, oggi è esposta al Museo Diocesano di Salerno, l’unica tra l’altro firmata dal pittore e poche altre opere che i maggiori critici del Novecento, come B. Berenson, A. O. Quintavalle, O. Morisani, G. B. Bologna e P. L. De Castris hanno potuto attribuirgli, ma limitatamente alla prima metà del XIV secolo.
Restava fuori dal catalogo un lungo periodo, di circa un trentennio, della seconda metà del secolo, in cui si erano perse completamente le sue tracce, anni terribili in cui la peste e la carestia devastarono l’Italia. Lo studioso minturnese, sulla scorta dei pochissimi documenti disponibili, di accurate osservazioni e puntuali riscontri iconografici ‘sul campo’, ha ricostruito gli stilemi tipici del Magistro napoletano, ritrovandoli in opere fin qui mai a lui attribuite, come la Virgo Lactans di Gaeta, già indicata come opera di un anonimo napoletano del XIV secolo.
Didascalie foto: 1-La Crocifissione di Eboli; 2-Lastra dell’ambone della Cattedrale di San Pietro Apostolo con il blasone degli Orsini e la probabile effige della Contessa di Fondi Giacoma Orsini (sec.XIV).
La Crocifissione di Eboli:
Pala d’altare raffigurante la Crocefissione di Roberto d’Oderisio (sec. XIV). La pala rimase nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Eboli fino all’immediato dopo guerra, oggi è esposta al Museo Diocesano di Salerno.
Minturno, 20 aprile 2012
Credo che sarebbe molto interessante riportare, almeno per un periodo, l’affresco nella Chiesa di San Francesco D’assisi a Eboli.
OTTIMA IDEA assessore Lavorgna. Poi però della “pala d’altare” (non l’affresco) il comune dovrebbe acquisirne una copia identica a grandezza naturale (come quella che possiede del Martirio di S. Orsola di Caravaggio ritrovato a Eboli,per intenderci) e lasciarla in S. Francesco con una targa che, a CARATTERI CUBITALI, ne descriva l’opera,la storia e il motivo per cui l’originale momentaneamente si trova esposto al museo diocesano di Salerno. Nell’attesa del ritorno e’ il modo migliore(l’unico secondo me ) per ricordare a tutti e prima di tutti agli Ebolitani, che quel capolavoro è nostro e ci appartiene ancora e per sempre. Stiamo parlando di un’opera famosa ormai, quasi quanto le opere di Giotto, a cui sarebbe riservato un posto d’onore in qualsiasi museo del mondo. Il merito di renderne in tal modo consapevoli gli Ebolitani per l’eternità, a cominciare dai bambini e dei tanti che l’ignorano, basterebbe da solo a dare un senso importante al suo mandato. Rispettosi saluti.
Bossi si è dimesso! Finalmente una buona notizia!
Buona Pasqua! Auguri a tutti gli italiani!
Caro consigliere Lavorgna, parli con il suo Sindaco e cerchi di farlo ritornare ad Eboli. Quella pala é di proprietà degli ebolitani. Così almeno pure per finta si occuperà di qualcosa di diverso, e dimostra un poco di attaccamento per Eboli.
Speriamo.
C’é un vecchio detto che dice: a lavà a capa o ciuccio, s perd acqua e sapone.
Buona Pasqua a tutti
egr. Az2 O
Vedrò di fare tutto il possibile….. se poi si firma senza un nick si potrebbe confrontare insieme il modo migliore per fare quanto detto. Ad ogni modo la richiesta al museo della Diocesi di Salerno è già pronta per essere inviata..
cordiali saluti e augurando Buona Pasqua
Adolfo Lavorgna
Ho avuto il piacere di vedere questo quadro esposto al Palazzo Strozzi a Firenze due anni orsono in una mostra di Giotto ed i pittori della scuola giottesca. Era ben presentato con una bella descrizione del suo luogo naturale di collocazione San Francesco nel Centro Storico di Eboli e del luogo di deposito attuale nel Museo Diocesano di Salerno ove è stato trasferito ufficialmente per salvarlo dai danni bellici.
Aggiungo per gli appassionati una dotta nota di Mariano pastore del 2011:
.Roberto de Odorisio (sec. XIV), pittore allievo del romano Cavallini che esercitò nella bottega fiorentina di Giotto, dipinse una “Crocifissione”, per il complesso monastico di San Francesco in Eboli nel 1340 ca., l’opera su tavola in campo d’oro misura cm. 122 x 183, e finisce in alto a cono tronco, rappresenta come già detto la Crocifissione di N. S.. Si nota a sinistra di chi guarda il dipinto un epigrafe scritta a caratteri semigotici angioini recita: HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO DE NEAPOLIS. Sulla tavola vi sono diverse figure dipinte, le tre Marie delle quali due sorreggono la Madonna svenuta, e l’altra è genuflessa ai piedi della croce sulla quale pende Gesù; San Giovanni apostolo, e altri personaggi in mezzo a giudei e soldati a destra e a sinistra con lance e bandiera romana con le iniziali S.P.Q.R., uno dei quali vicino a San Giovanni tiene con la mano destra un paniere, e con la sinistra una canna alla cui punta vi è una spugna: sei angeli, ricurvi, fanno corona alla maniera di pipistrelli, tutti hanno una aureola in testa, ai lati di Gesù Nazareno, tre angeli raccolgono con altrettante coppe il sangue che scorre dalle ferite delle mani e del costato destro: sotto la croce vi è un frate con le mani giunte, in ginocchio (figura aggiunta posteriormente perché più piccola rispetto alle altre, lo studioso Augeluzzi ritenne che il cappuccino personaggio autorevole e parente di una famiglia facoltosa di Eboli fu il committente del quadro) che risulta impossibile darle un nome per mancanza di documenti che possono orientarci sul responsabile monastico che commissionò a Odorisio l’opera. Al di sopra della croce vi è un albero, su di esso si nota un pellicano con il petto squarciato dove fa succhiare il sangue a quattro volateli della sua specie più piccoli, attorcigliato a un tronco d’albero appena sopra la scritta INRI si nota un serpente. L’artista con il rettile ha voluto rappresentare il peccato originale e con il sangue del pellicano ha voluto raffigurare il riscatto e la redenzione degli uomini.
Questo dipinto è ritenuto la maggiore espressione artistica dell’età Angioina ed è l’unica opera che reca la firma dell’artista. Il prof. Ferdinando Bologna nella sua opera I pittori alla corte angioina 1266-1444 a pag. 264 dice: L’opera rappresenta un vero e proprio punto di convergenza della maggiore e più specifica cultura giottesca napoletana del decennio 1330-1340 In un documento della cancelleria Angioina di Roberto I d’Angiò della prima metà del sec. XIV Odorisio è citato: Familiaris et magister pictor noster, il che dimostra il grado sociale raggiunto alla corte di re Roberto. Nella sua opera “Eboli tra Cronaca e storia”il Longobardi dice che tutto il complesso dopo la soppressione napoleonica venne acquistato dal comune con la somma di seimila ducati compresa la Chiesa. La politica, gli amministratori gli ebolitani hanno il dovere di chiederne la restituzione a chi possiede indebitamente quest’opera, (il Museo Diocesano di Salerno) insieme all’Incoronazione del maestro di Eboli (Olio su tavola cm. 261 X 144, a. 1480).