Il governo ha vinto la guerra parlamentare del “processo breve”, ma i riflessi sull’opinione pubblica andranno misurati nel tempo e a freddo.
La strategia del conflitto permanente premia ancora una volta Silvio Berlusconi: un elemento sul quale riflettere.
ROMA – Compatto e pronto a una serie di forzature, il governo ha vinto la guerra parlamentare del «processo breve». E un’opposizione salda solo a parole l’ha persa malamente. Ma i riflessi sull’opinione pubblica di quanto è avvenuto andranno misurati nel tempo, e a freddo. Si fatica a ritenere che rappresentino gli umori profondi del Paese sia i deputati che hanno permesso a Silvio Berlusconi questa affermazione; sia quelli che l’hanno contrastata; sia chi protestava fuori dal Parlamento al grido di «mafiosi» e «vergogna». L’unico dato vistoso è che il presidente del Consiglio ha politicizzato il conflitto, ottenendo il risultato che voleva.
Attraverso la Camera intendeva impartire una lezione all’odiata Procura di Milano. E adesso forse riuscirà a uscire indenne da uno dei processi più insidiosi, quello Mills in cui è accusato di corruzione in atti giudiziari. Ma il provvedimento approvato ieri sera dovrà superare una serie di severe verifiche istituzionali. Proprio perché segnato da una logica quasi disperata, si lascia dietro un alone di perplessità e di veleni; e un altro cumulo di macerie nei rapporti fra centrodestra e magistratura. È indubbio, tuttavia, che gli avversari di un Berlusconi debole riemergono per l’ennesima volta più logorati di lui.
Lo scrutinio segreto chiesto nel pomeriggio dal centrosinistra nella speranza di fare affiorare una maggioranza sommersa favorevole alla crisi, è stato un boomerang imbarazzante. Ha rivelato l’esistenza di una «minoranza silenziosa» pronta a sostenere il governo nelle pieghe di un’ostilità in apparenza così aggressiva e irriducibile da ricorrere all’ostruzionismo. La vera sconfitta di chi non voleva il «processo breve» è questa: aver dovuto registrare che i cosiddetti franchi tiratori, quelli che colpiscono a tradimento, non si annidano nelle file di Pdl e Lega, ma nelle proprie.
I 316 «sì» sono stati due più di quelli ottenuti nella votazione finale; e sei più di quelli a disposizione del centrodestra. Dunque contano e, soprattutto, pesano. Dicono che l’onda lunga della sconfitta degli avversari del premier, il 14 dicembre scorso, continua a produrre effetti. Puntella ulteriormente un governo che pure è in affanno sul piano internazionale per l’emergenza dell’immigrazione; e un Berlusconi inseguito tuttora da rivelazioni imbarazzanti sulla sua vita privata. Attraverso canali oscuri ma inesorabili, si ingrossa un «partito del galleggiamento» destinato a frustrare quanti sognano velleitarie spallate.
È probabile che al Senato il percorso del provvedimento sia meno tormentato. Il governo ne sembra così convinto che dedicherà le prossime settimane a depotenziare i referendum di giugno su giustizia e nucleare. D’altronde, la strategia del conflitto permanente premia ancora una volta Berlusconi: un elemento sul quale riflettere. Ma le incognite che si allungano su alcuni processi a rischio di prescrizione non possono essere sottovalutate, né sacrificate sull’altare di una stabilità fine a se stessa. Non è stata una giornata memorabile: non, almeno, nel senso positivo del termine. Una pagina oscura, tra le tante.
Massimo Franco
Roma, 15 aprile 2011