Lenza: “La nuova Regione, Principato di Salerno, non mi ha mai entusiasmato, pur creandomi non poco imbarazzo, considerato il fronte da cui proviene la proposta”.
Sembra essere il pallino fisso del Presidente Cirielli, mentre la proposta separatista sottende, introduce e alimenta un brutto sentimento di diversità e di antinapoletanità che non è affatto condivisibile.
EBOLI – Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni del Consigliere Comunale Lazzaro Lenza, che interviene sulla Proposta del Presidente della Provincia Edmondo Cirielli di Creare di una Nuova Regione che riguardi il territorio della Provincia di Salerno, che ha battezzato “Principato di Salerno“.
A tale proposito farò delle considerazioni su questa specifica vicenda, in un apposito articolo proprio per evitare sovrapposizioni con il Consigliere Lenza del PDL, di cui ne condivido sia l’analisi storica che quella istituzionale, aggiungendo mie personali considerazioni politiche. Analisi che egli porge a base della sua contrarietà alla creazione della Nuova Regione, coincidente territorialmente con la Provincia di Salerno e che Cirielli ha battezzato Principato di Salerno, forse con l’intento sotterraneo di affiancarla alla sua Associazione Principe Arechi.
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DE PRINCIPATIBUS
(ovvero, come la storia può tornare utile ai “prìncipi”).
Sarà forse perché sulla mia carta di identità alla voce provincia di nascita è riportata la sigla: “CE”, o piuttosto perché la mia carriera accademica è trascorsa all’ombra del Vesuvio, ma la proposta di creare una nuova regione, denominata Principato di Salerno, distinta dal resto della Campania e da Napoli, non mi ha mai entusiasmato, creandomi meglio non poco imbarazzo, considerato anche il fronte da cui proviene la proposta. Ma andiamo con ordine. Il principato di Salerno è diventato il pallino fisso del presidente della nostra provincia che esibisce tutta una serie di motivazioni storiche, geografiche e culturali che tuttavia non riescono a nascondere, fino in fondo, i reali motivi di un’iniziativa di enormi proporzioni economiche (per le spese che sottende), politiche e di pretestuoso coinvolgimento delle popolazioni.
I promotori del referendum snocciolano dati e numeri che non lasciano adito a dubbi: dei fondi di cui dispone la regione Campania, il 70% viene investito nel napoletano e dei tributi salernitani inviati a Napoli meno del 70% viene restituito a Salerno. Secondo i promotori dell’iniziativa, sarebbero, 500, i milioni di euro che ogni anno vengono sottratti a Salerno per finire nel buco nero dei finanziamenti per Napoli e il suo hinterland. E poi ci sono i “tristi primati” che la Campania, ha collezionato, a causa dell’inadeguatezza e dell’incompetenza della sua classe politica, specie negli ultimi 20 anni, in tema di rifiuti, sanità, e per le infiltrazioni camorristiche nel tessuto amministrativo e produttivo. Aspetti che hanno condotto la nostra Campania ad essere una delle regioni “più disastrate” del Paese, continuamente sulle prime pagine dei giornali, per eventi incresciosi e, spesso, imbarazzanti.
Innanzitutto, chiariamo subito un fatto. L’uso politico che la provincia di Salerno sta facendo, da qualche tempo a questa parte, del passato, soprattutto longobardo, della città di Salerno, al fine di giustificare, sulla base di una lunga e nobile tradizione, l’iniziativa di costituire una nuova regione è quasi del tutto priva di fondamento storico. Inoltre, è importante ricordare che ogni confronto o sovrapposizione di eventi storici, spesso tanto distanti nel tempo, collocabili in “dimensioni culturali” tanto differenti tra loro, può dare luogo solo a equivoci ed errori grossolani e si giustifica, piuttosto, solo con la volontà mistificatoria della storia ad esclusivo uso “interno” della politica.
I continui riferimenti alla storia longobarda del Principato salernitano, che il presidente della Provincia ed i suoi uomini, continuamente sostengono, al fine di rivestire di nobili e antichissime origini, l’ “operazione” solo politica, di costituzione di una nuova regione italiana, sono decisamente fuori luogo in quanto la “primogenitura” della compagine statale longobarda nel Mezzogiorno d’Italia spetta alla città di Benevento e non di Salerno. E questo anche da un punto di vista non solo propriamente politico, ma anche cronologico. Infatti solo due secoli dopo l’occupazione longobarda di Benevento (nell’ 849) e al termine di una decennale guerra civile (839-849) condotta contro i beneventani, Salerno si costituì come entità politica “autonoma” rispetto a Benevento, cioè in ”autonomo” Principato. Peraltro, è necessario far notare come il principato di Salerno sin dalle origini, aveva un’estensione territoriale molto più ampia di quella dell’attuale Provincia di Salerno e comprendeva oltre che una fetta del territorio campano anche la Lucania e una parte della Calabria settentrionale, per quanto si trattasse di confini politici decisamente mobili, perchè soggetti agli esiti delle continue guerre combattute dai Longobardi contro i bizantini che occupavano il residuo territorio del mezzogiorno.
Tralasciando l’aspetto storico, c’è quello senza dubbio più importante, l’aspetto procedurale, le lungaggini burocratiche e gli enormi costi a questi connessi. Senza entrare troppo nel merito della questione, qui mi preme ricordare come sono tanti i territori italiani che hanno tentato e che ancora stanno tentando di giungere alla conclusione dell’iter procedurale per il distacco da una provincia o per la creazione di una nuova regione. Ricordo a questo scopo, i tentativi falliti della Romagna (già dal dopoguerra), del Salento e dei tanti comuni che hanno accolto con plebisciti entusiasti l’idea di abbandonare Veneto o Piemonte per abbracciare le gioie dello Statuto speciale. Tutti più o meno ancora al palo. Le difficoltà tortuose della procedura per il distacco da Napoli è testimoniata anche dalla notizia, di qualche giorno fa, che la Cassazione ha ritenuto opportuno demandare alla Corte Costituzionale la decisione su quali siano le popolazioni chiamate alla consultazione referendaria, in quanto per la prima volta, si tratta di un caso di modifica del territorio regionale, mentre la sentenza 334/2004 fa riferimento a modifiche territoriali relative a singoli comuni. In altre parole, è verosimile che al referendum, promosso dai separatisti d’Arechi, dovranno partecipare anche i cittadini delle province di Napoli, Caserta, Benevento e Avellino, con la logica riduzione della possibilità di approvazione del referendum stesso (ricordo che la proposta passa solo se, a dire SI, è la maggioranza dei cittadini iscritti nelle liste elettorali) e un aumento notevoli dei costi per sostenere e realizzare tutta l’iniziativa. Superato il difficilissimo scoglio referendario, le difficoltà non finiscono, ma piuttosto diventano anche più consistenti, in quanto l’elenco delle regioni è scritto all’articolo 131 della Costituzione, e per cambiarlo serve una legge approvata quattro volte con i due terzi del Parlamento per essere messa al riparo da nuovi referendum conservativi. Insomma, un vero ginepraio dal quale, credo sia veramente difficile, lungo e costoso districarsi con successo. Ma la questione vera è un’altra.
Dati tali presupposti, è opportuno, anche se in una situazione innegabilmente non rosea, dividere territori, popolazioni, risorse, anziché unirle in uno sforzo comune per uno sviluppo sostenibile? Io ritengo che la soluzione esista e che sia già praticabile. Anzi è legge dello stato, la legge 142 del 1990 che istituisce le aree e le città metropolitane. Questa legge, infatti, disciplinata anche da norme transitorie secondo la legge 5 del 2009 all’art. 23 e che diventerà pienamente operativa anche grazie ai decreti attuativi contenuti nella legge sul federalismo in corso di approvazione proprio in queste settimane, individua come area metropolitana le zone comprendenti il comune Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con esso rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.
Alla città metropolitana vengono attribuite le funzioni della provincia (ente che verrebbe soppresso, in queste aree) e quelle normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovra comunale (pianificazione territoriale dell’area metropolitana; viabilità, traffico e trasporti; tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente; difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti; raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche; servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale; servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano). Alla città metropolitana competono inoltre le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi ad essa attribuiti. In altre parole, Napoli e dintorni non graverebbero sul resto della Campania che, libera dall’area/città metropolitana potrebbe ridistribuire più opportunamente i fondi provenienti dai tributi locali (Irpef e Irap) nonché dai finanziamenti statali e pianificare più efficacemente lo sviluppo dei restanti territori della regione così più omogenei senza il peso delle peculiarità e le esigenze dei territori metropolitani. Appaiono chiari i vantaggi di questa scelta. Mentre con il Principato di Salerno saremo costretti a sostenere i costi di una nuova regione e di eventuali ulteriori province (una, due?) con la istituzione dell’area/città metropolitana si sopprimerebbe una provincia (quella di Napoli) sostituita dall’ente Città metropolitana; quindi a parità di costi.
Vorrei concludere questa disamina con un’ultima considerazione. La proposta separatista sottende, introduce e alimenta anche un brutto sentimento di diversità e di antinapoletanità che non mi sento affatto di condividere. Nonostante i problemi e le innegabili difficoltà sociali ed economiche di cui soffre la città e i suoi abitanti, Napoli è, e resterà, il punto di riferimento culturale, e non solo, su cui spesso, sia io che molti campani, abbiamo contato per lo sviluppo e la crescita della nostra storia personale e professionale. Nonostante tutto, Napoli è motivo d’orgoglio per noi campani per diversi aspetti, per la sua storia, per la sua multiforme cultura, per il calore della sua gente e per tutto ciò che Napoli ha rappresentato e ancora rappresenta (malgrado la politica e i politici che l’hanno mal governata) nel mondo. Alla fine, risultano molte di più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci separano da Napoli e dai napoletani.
Dott. Lazzaro Lenza
Consigliere Comunale PdL
Presidente della Commissione Controllo e Garanzia
Lenza ma che c’ fai cu sta gent’?