Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia constatiamo che l’unità scricchiola, si sentono rumori sinistri.
Il dramma del Mezzogiorno non consiste nei gravissimi problemi che lo attanagliano. Ma nelle sue classi dirigenti (politici, imprenditori, professionisti, intellettuali) incapaci di cercare soluzioni e rimedi.
Classe (per nulla) dirigente
di Angelo Panebianco
NAPOLI – Rivolte urbane, guerriglie notturne, sindaci alla mercé delle piazze. Di nuovo la Campania. Di nuovo l’immondizia. Governo, Regione, Napoli, si palleggiano le colpe e magari è vero che le responsabilità sono di tutti. Ma resta che la Campania non si sa tirare fuori da una situazione che, come ha scritto accoratamente Giuseppe Galasso su questo giornale (il 24 ottobre) umilia l’Italia intera.
Il vero dramma del Mezzogiorno non consiste nei gravissimi problemi che lo attanagliano. Consiste nel fatto che le sue classi dirigenti (politici, imprenditori, professionisti, intellettuali) siano incapaci di cercare soluzioni e rimedi. Nel politichese di alcuni anni fa si sarebbero dette prive di «progettualità», fallite. Non perdono un colpo quando si tratta di accusare Roma, lo Stato, di avere «abbandonato il Sud»: un’espressione che testimonia di uno stato di minorità, psicologica e culturale (sono i minori quelli che non si possono abbandonare). Ma ne perdono tanti quando si tratta di lavorare per cambiare le cose.
Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia constatiamo che l’unità scricchiola, che si sentono rumori sinistri. Se non ci saranno novità la democrazia, così come funziona nel Mezzogiorno, e l’unità del Paese potrebbero presto entrare in rotta di collisione. L’esperienza storica ci dice che, spesso, la democrazia è un’ottima cura per molti mali: col tempo, fa fiorire una società civile basata sulla cooperazione e la fiducia, fa crescere il capitale umano e sociale, promuove lo sviluppo. Ma non ovunque. Di certo, sessant’anni di democrazia non hanno portato quei doni al Mezzogiorno. La democrazia è servita al Sud, più che per curarsi degli antichi vizi, per accrescere il proprio potere contrattuale nei confronti dello Stato e delle regioni più sviluppate.
Senza il Sud non si vincono le elezioni nazionali e questo dà a chi difende il Mezzogiorno così come è oggi una fondamentale arma di ricatto nei confronti di qualunque coalizione politica nazionale, di destra o di sinistra che sia. Le voglio proprio vedere, ad esempio, certe Regioni del Sud (quelle con i peggiori disastri nella Sanità) accettare senza fiatare il passaggio dalla spesa storica ai costi standard come prevede il progetto del federalismo fiscale, ben sapendo che ciò comporterebbe una drastica contrazione di risorse e l’obbligo di porre fine a sprechi e a parassitismo.
È in questo senso che unità del Paese e democrazia nel Mezzogiorno rischiano di diventare incompatibili. Non si può avere una questione meridionale perenne: alla lunga, si finisce per disfare ciò che il Risorgimento ha creato.
L’aspetto più grave non sta nella protervia dei maneggioni ma nei pensieri e nelle parole di tante persone per bene. Chiunque scriva di Mezzogiorno sa di cosa parlo. Quando si toccano questi argomenti si ricevono tanti messaggi dal Sud, spesso di professionisti o di insegnanti. Persone istruite, che fanno opinione nei rispettivi ambienti. Persone capaci di fare l’apologia del regno borbonico, di trattare Cavour e Garibaldi come criminali di guerra, di liquidare la storia dell’Italia unita come il frutto di un’odiosa colonizzazione. Questa forma di autoassoluzione, condita di leggende nere sull’unità d’Italia è, da sempre, la maledizione del Sud. Se non se ne libererà non cambierà mai nulla. E dei «doni» della democrazia resterà solo una capacità di ricatto sempre meno sopportata dal resto del Paese.
Angelo Panebianco
26 ottobre 2010
dal CORRIERE DELLA SERA
Tema trito e ritrito, che ormai diventa un “cliche” statico senza soluzioni reali.Ora,è da ricercare nelle condizioni di sottosviluppo economico degli anni ’90, che si crearono quelle dell’attuale crisi politica. Quando la gran parte delle città del sud fu amministrata da giunte di centrosinistra che pur avendo conseguito importanti risultati amministrativi non riuscirono a costruire un sistema per la formazione della classe dirigente che avrebbe dovuto accompagnarne l’azione.Né ebbero da parte della classe politica nazionale quel sostegno, fatto appunto di una nuova politica economica, capace di creare sviluppo economico del territorio; al posto del quale arrivò una politica fatta, letteralmente, di desertificazione industriale con la chiusura – persino – delle manifatture dei tabacchi.Un’analisi concreta del processo di formazione delle classi dirigenti meridionali ne rivela infatti rapidamente le debolezze strutturali che poi portano ai risultati conosciuti. Ad esempio, negli anni ’90 non nacquero né a Palermo né a Napoli nuove riviste; e non fu creato nessun luogo stabile di confronto per l’elaborazione politica; che a differenza dell’attività amministrativa, è innanzitutto elaborazione di idee e progettualità nate interpretando l’interesse generale.Per invertire l’emarginazione meridionale occorre lavorare quindi alla creazione di luoghi stabili e dotati di efficacia antica per la formazione politica dei giovani, che è prima di tutto umana e culturale. Era quello che facevano sia il Pci (penso tanto a Napoleone Colajanni) che la Chiesa (penso a Padre Sorge inviato dalla Chiesa al centro “Arrupe” di una Palermo sconvolta dalla barbarie mafiosa).In questo modo usciremo da quella logica di semplificazione e chiusura che giustamente De Rita chiama “personalizzazione delle leadership” e che poi ha causato la fine delle esperienze dei sindaci degli anni ’90. Ricostruire i luoghi dove fare analisi sociale, imparare i processi di costruzione del consenso; e usare il consenso per varare politiche economiche pubbliche forti e serie sostenute da gruppi politici dotati tanto di ampia rappresentatività che di visione.Emblematico Fini:”Non votate i vostri rappresentanti per avere qualcosa in cambio, per chiedere favori, leggete, invece, formatevi delle opinioni vostre e vedrete come non sarete voi a cercare la politica ma sarà la stessa ad aver bisogno di voi”…Concludendo:« No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l’esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile… »Guido Dorso