La risposta di Fini è comunque tardiva, poteva e doveva arrivare molto prima, subito dopo le notizie pubblicate dal “Giornale” di Feltri.
La responsabilità istituzionale avrebbe dovuto far premio su ogni altra considerazione anche a costo di mettere in gioco un assetto privato molto delicato.
La macchina da guerra che schiaccia il dissenso
di Eugenio Scalfari
Da un lato Gianfranco Fini e la famiglia Tulliani, dall’altro il comunicato di un ministro della Giustizia dell’isola caraibica di Santa Lucia, i giornali della famiglia di Silvio Berlusconi e lo stuolo di “aiutanti” che si sono prodigati per incastrare il presidente della Camera.
La posta dello scontro è la distruzione politica dell’uno o dell’altro con le conseguenze che possono derivarne per tutto il paese. Esamineremo tra poco queste conseguenze, ma prima dobbiamo mettere a fuoco il video con il quale Fini si è ieri sottoposto al giudizio dell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
A tale proposito e a titolo di premessa anticipo una riflessione: la risposta di Fini è comunque tardiva, poteva e doveva arrivare molto prima, subito dopo le notizie pubblicate dal “Giornale” di Feltri. Il presidente della Camera disse allora con una pubblica dichiarazione (e l’ha ribadito nel video di ieri) che nulla aveva mai saputo fino a quel momento della vicenda concernente l’abitazione di Montecarlo a suo tempo venduta ad equo prezzo (secondo le valutazioni di allora) da Alleanza nazionale che ne era proprietaria. Aggiunse che il coinvolgimento di suo cognato in quella vicenda gli aveva causato un forte disagio. Alle parole avrebbero dovuto seguire i fatti e cioè la netta separazione tra lui e la famiglia Tulliani. Comprendiamo benissimo che un comportamento del genere implicava non solo interessi ma soprattutto sentimenti, ma la responsabilità istituzionale avrebbe dovuto far premio su ogni altra considerazione anche a costo di mettere in gioco un assetto privato molto delicato.
Si parla spesso (e non sempre a proposito) dell’autonomia della politica. Ma questo concetto non può essere invocato soltanto per rivendicare i diritti, bensì anche i doveri che l’autonomia della politica impone a chi ne è protagonista. Fini non separò le sue responsabilità da quelle della famiglia. È stato un grave errore che ha purtroppo aperto la strada ad un imbarbarimento senza precedenti del quale Fini è stato al tempo stesso inconsapevole artefice e vittima, di fronte alla spregiudicatezza estrema del suo avversario sulla quale nessuno che lo conosca poteva aver dubbi. Chi ne ha sofferto il danno maggiore sono state le istituzioni della Repubblica e il danno non ha ancora terminato di generare i suoi effetti.
Ciò detto esaminiamo la risposta del presidente della Camera.
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La risposta, cioè la verità di Fini, ribadisce i seguenti punti: Fini nulla sapeva. Apprese solo un mese fa che suo cognato era affittuario dell’appartamento di Montecarlo. Mostrò disagio, ebbe una violenta lite in famiglia, invitò il cognato a disdire il suo contratto di locazione e ancor oggi ha ripetuto l’invito con molto vigore.
Suo cognato continua a smentire privatamente e pubblicamente di essere non solo il locatario ma anche il proprietario dell’appartamento in questione. Fini ne prende atto ma dubita che il cognato dica la verità. Se sarà accertato dalla magistratura o da altra fonte ufficiale che suo cognato ha mentito e gli ha mentito, darà le dimissioni da presidente della Camera non perché abbia una responsabilità in quanto è accaduto ma per rispetto dell‘etica pubblica che gli sta particolarmente a cuore. Contro di lui è partita una vergognosa campagna di killeraggio nel momento in cui ha manifestato un legittimo dissenso politico rispetto alla linea del partito di cui è stato cofondatore. Questa campagna è stata condotta da giornali di proprietà della famiglia Berlusconi e da televisioni asservite ai suoi ordini e ai suoi interessi.
Tali metodi sono stati adottati non solo contro di lui ma contro chiunque dissenta dalla voce del padrone. Questa è una gravissima ferita inferta alla democrazia. Riconosce d’aver commesso qualche ingenuità. Ma nessun reato è stato compiuto da nessuna delle persone implicate in questa vicenda nella quale non sono in gioco soldi pubblici e interessi della pubblica amministrazione. Infine per quanto lo riguarda non ha alcuna responsabilità in una vicenda privata che riguarda un appartamento di 50 metri quadrati. Fin qui il video-messaggio del presidente della Camera il quale ha accompagnato queste sue dichiarazioni sui fatti ad una durissima requisitoria contro lo stile di governo e l’atmosfera di killeraggio che è diventata purtroppo una nota dominante e può colpire chiunque dissenta dal potere berlusconiano. Oltre a prendere atto delle affermazioni di Fini, molte delle quali sono a nostro avviso pienamente condivisibili, bisogna anche leggerne in controluce alcuni passaggi. Soprattutto quello che riguarda la sua “ingenuità” e la lite in famiglia quando alcuni fatti compiuti sono arrivati a sua conoscenza.
Abbiamo già scritto all’inizio che l’ingenuità – evidentemente connessa ai sentimenti più che ad un attento esame dei fatti – comporta un prezzo da pagare. Fini si è impegnato a pagarlo con le dimissioni se il fatto della proprietà del cognato (che non è un reato) sarà accertato.
Questa posizione è fragile. Ci si aspettava che Fini esibisse la prova che la proprietà non è di Tulliani ma questa prova non è stata data. Lo stesso Fini dice di dubitare della parola di Tulliani. Sarà quindi difficile che resista a lungo in una posizione di evidente difficoltà.
Resta un problema che ci porta ad esplorare che cosa è veramente accaduto a Palazzo Grazioli e dintorni. È accaduto ciò che sappiamo da tempo e che siamo in grado di prevedere in anticipo: la macchina da guerra berlusconiana entra in funzione per colpire il dissenso e per proteggere gli amici e gli amici degli amici. Se Fini si fosse sottoposto, la macchina da guerra contro di lui non avrebbe colpito. Ma per difendere Cosentino da ben altre colpe la macchina da guerra berlusconiana si è mossa, togliendo dalle mani dei giudici un elemento decisivo per le sorti del giudizio, cioè le intercettazioni dalle quali emergerebbe la prova dei legami tra l’imputato e le cosche camorristiche. Quell’elemento non soltanto non sarà reso noto alla pubblica opinione ma non potrà essere utilizzato in processo, per i giudici sarà come se non sia esistito.
A questo risultato la macchina da guerra è arrivata con l’intimidazione, le promesse, le lusinghe, la compravendita delle persone e del loro voto. Si parla molto di trasformismo, ma non è soltanto di questo che si tratta.
Il trasformismo è un vizio antico delle democrazie, in Italia particolarmente diffuso. Il voto di scambio, ottenuto attraverso la concessione di benefici o la minaccia di ritorsioni, è invece un reato previsto dal codice penale e come tale andrebbe perseguito.
Per concludere su quanto è accaduto a Palazzo Grazioli e dintorni: il caso Fini ha dimostrato per l’ennesima volta la natura del potere berlusconiano che si regge sullo slogan “o con me o contro di me“, sul belante ritornello del “meno male che Silvio c’è” e sul dossieraggio ricattatorio come pratica di governo.
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Le conclusioni di questa avvilente vicenda mi sembrano le seguenti: le elezioni si allontanano di qualche mese ma non di più. La legge elettorale resterà quella che è, strumento formidabile di pressione e corruzione. Le ipotesi di un terzo polo si fanno evanescenti perché anche Casini è nel mirino della macchina da guerra berlusconiana che alterna nei suoi confronti lusinghe e minacce. Berlusconi imporrà al Parlamento la legge sul processo breve e ritirerà fuori quella sulle intercettazioni.
Intanto l’economia è ansimante, la coesione sociale è a pezzi e nessuno se ne dà carico. Un bilancio che dire sconfortante è dir poco.
L’Editoriale di Eugenio Scalfari tratto da La Repubblica
(26 settembre 2010)
Il problema dal quale si continua a sfuggire deriva dal detto latino errare humanum est, perseverare diabolicum. Il caro Fini, fulminato sula via di Damasco da una improvviso desiderio di legalità, dopo aver mangiato pane e scudi fiscali, salvataggi di amici e leggi razziali per oltre 15 anni, oggi, finalmente, sperava di aver trovato la pace interiore che tutti gli auguravamo con Elisabetta, dopo i bidoni che gli aveva tirato la ex moglie Daniela di Sotto con gli scandali della sanità laziale, dal quale Fini, giustamente, anche troppo tardi ha preso le distanze con il divorzio. Oggi si scopre che ha tanto bisogno di affetto, al punto che ci ricade come un pollo. Il fratello della sua compagna gli orchestra una vendita di un bene di AN ad un prezzo ridicolo (per Montecarlo) che solo lui pensa che sia un prezzo eccezionale per una casa abbandonata e cadente, e se ne libera tutto contento dell’affare fatto. Senza sapere che questo giovinotto tanto furbo quanto intelligente subito dopo se la ristruttura e ci va a vivere. Questo è tutto l’affaire Montecarlo, niente di più. Cosa si può attribuire a Fini in tutta questa faccenda? Tanta buona fede, molto probabilmente, ma anche tanta faciloneria, indegna di un leader politico che tra l’altro ci ricasca ogni due per tre, tanto che nel suo “messaggio alla nazione” è già pronto a ricascarci tranquillamente, in nome del salvataggio della nazione.
Ed in tutto questo ci si dimentica di tutte le vicende al contorno, in primis, da chi ha lanciato la pietra, che ha acquistato la villa di Arcore con una vicenda che lascia del tutto a bocca aperta chi non la conosce (questa estate Il Fatto Quotidiano ha raccontato la saga dei Casati Stampa del 1970 che ha portato alle vicende Edilnord-Arcore di oggi, che chi vuole può leggere scaricandosi il PDF da qui: http://files.meetup.com/1475908/La%20Saga%20dei%20Casati%20Stampa%20-%20La%20Villa%20di%20Arcore.pdf.
Aggiungo per utile informazione l’editoriale di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano di ieri:
“In attesa di vedere le conseguenze politiche dell’affaire Tulliani-Montecarlo, possiamo già trarre un primo bilancio di quelle mediatiche: B.
ha già battuto Fini per kappaò alla prima ripresa.
Da due mesi, nel paese in cui il premier è sotto inchiesta a Firenze per le stragi del 1993, in cui a Palermo si indaga su accuse di mafia al presidente del Senato, più altre quisquilie tipo i casi Dell’Utri, Cosentino, Verdini, Brancher, Bertolaso e P3, non si parla che di un alloggetto a Montecarlo venduto da AN a una società offshore e abitato dal cognato del
presidente della Camera, che non è indagato per nulla (e nemmeno il cognato). L’altro effetto del presunto scandalo è evidenziare la differenza tra un giornale (come per esempio il nostro) e gli house organ di casa B. Il Fatto, con tutti i suoi limiti, non ha nulla da dimostrare a prescindere: accerta come stanno le cose e le racconta. Il Giornale, Libero , Panorama e le loro proiezioni tv invece devono dimostrare che Fini è un ladro. E non da sempre: dal 28 luglio, quando B. annunciò ai suoi l’espulsione dei
finiani dal Pdl. Si dirà: con tutti i ladri che popolano il governo, il Pdl e la politica italiana, se anche si provasse che Fini è un ladro, ne dovremmo dedurre che ce n’è uno in più. Ma questi signori non seguono le regole della logica e nemmeno dell’aritmetica. Per noi 1 ladro + 1 ladro = 2 ladri. Per loro, 1 ladro + 1 ladro = zero ladri. Se Fini ruba, vuol dire che B. è
onesto. Per questo non potrà mai esserci alcuna par condicio, alcun “contraddittorio” tra un giornalista normale e uno berlusconiano. Per giocare una partita, bisogna essere d’accordo sulle regole fondamentali. E non è questo il caso. Giovedì il nostro Marco Lillo, bruciando sul tempo i portentosi segugi berlusconiani sguinzagliati nei paradisi fiscali,
magari al seguito di qualche barbafinta, riesce a parlare col ministro della Giustizia di St. Lucia. Quello gli dice che la discussa lettera indirizzata al suo premier, in cui si afferma che la società Timara che affitta la casa a Tulliani appartiene allo stesso Tulliani, l’ha scritta lui. Vuol dire che è “vera”? Sì, nel senso che è autentica, non apocrifa. Ma non nel senso che
quanto vi afferma sia la verità: lo sarà solo quando Mr.Francis produrrà uno straccio di carta che colleghi Tulliani alla Timara. Nel frattempo un avvocato ed ex senatore leghista, Renato Ellero, afferma che la casa
monegasca è di un suo facoltoso cliente. La sua frase è autentica nel senso che l’ha pronunciata lui, ma per considerarla veritiera attendiamo le prove documentali. Abbiamo dunque un sostanziale pareggio tra Fini e i suoi accusatori? No di certo. Se anche la Timara fosse di Tulliani, non sarebbe comunque la prova che Fini ha mentito: il cognato avrebbe benissimo potuto nascondergli la reale proprietà della Timara. E poi non spetta a Fini dimostrare che Timara non è di suo cognato; l’onere della prova tocca, in uno Stato di diritto, agli accusatori. Del resto, se uno afferma falsamente che una società offshore è di Tizio, come fa Tizio a
dimostrare che non è sua? Gli house organ di B. ironizzano sul Fatto Quotidiano che, avendo l’intervista-scoop al ministro, mette in dubbio la sua parola. Ci mancherebbe altro: il compito di un giornale non è quello di mettere un microfono in bocca a questo o quello, ma verificare l’attendibilità di quel che dice. E, al momento, Mr. Francis non appare granchè credibile. Perché il governo di un paradiso fiscale che campa sulla riservatezza assoluta fa uscire il nome del presunto titolare di un’offshore, con una condotta che nel suo paese è addirittura reato? Perché il ministro annuncia al Fatto che parlerà “la prossima settimana” e poi ne improvvisa una l’indomani, poche ore dopo che Annozero ha messo in dubbio l’attendibilità della lettera? E’ per caso telecomandato da un italianissimo puparo? Comprendiamo che, per gli house organ, distinguere fra l’autenticità e la veridicità di un documento è impresa titanica, ma non ci possiamo fare nulla. C’è chi fa il giornalista e chi fa un altro mestiere.
FINI PROVA DA AVVERSARIO QUELLO CHE GLI ALTRI HANNO PROVATO X TRE LUSTRI: L’INFORMAZIONE PILOTATA VIGENTE CON SFACCIATA IMPERANZA IN ITALIA,SCANDALO PER IL MONDO LIBERO OCCIDENTALE (unici esempi risiedono in paesi “in via di sviluppo” ),ORA SI SVEGLIA E SE NE ACCORGE…RITENGO CON SDEGNO UN PO IPOCRITA IL SUO ATTEGGIAMENTO.COMUNQUE VA APPREZZATO ANCHE IL TARDIVO CORAGGIO DELL’ EX CAPO DI A.N., QUELLO FINALMENTE DI STACCARSI DAL CAV IMPRESENTABILE COME LEADER DI UNA DESTRA LIBERARE ED EUROPEA, DEL RESTO L’AVEVA CAPITO PRIMA CASINI CHE IL CAV SUCCEDE A SE STESSO.COME CRONO DIVORA I SUOI FIGLI,E NON MI MERAVIGLIEREI SE DOPO SILVIO VENISSE PIERSILVIO O UNA MARINA,TANTO PER MANTENERE ALTO L’UMORE E NEL PARTITO DELL’AMORE. SARO ‘ FORSE INELEGANTE, MA APRIAMO GLI OCCHI E VIGILIAMO, I RISULTATI DEL BERLUSCONISMO, MI RIFERISCO A QUELLI COLLETTIVI, IN 16 ANNI ED IN SPECIE DAL 2008 NON SE NE VEDONO TRANNE pro domo sua NATURALMENTE, QUINDI MANDIAMOLI A CASA IN MANIERA DEFINITIVA, PERCHE’ BERLUSCONI STA BUTTANDO IL PAESE NEL WATER E BOSSI E’ PRONTO A TIRARNE LA CATENA….E NOI NON DOBBIAMO ESSERE INDIRETTI LORO COMPLICI! SALUTI.
@giuseppe:great work!
Al contrario del pensiero espresso da Eugenio Scalfari, ritengo invece, dalla lettura della storia della politica dell’ultimo ventennio, che FINI ha mostrato alto senso di responsabilità, serenità nel giudizio e moderazione nei suoi comportamenti. l’Istinto a volte determina comportamenti e dichiarazioni che possono avere l’effetto boomerang. Bene ha fatto con la dovuta calma ad esprimere le proprie considerazioni, dopo il tormentone mediatico immediato evitando effetti devastanti per la sua linea politica di contrasto al Presidente del Consiglio. Per contrastare nel concreto le volontà del Premier, in alternativa alla dormiente e frammentata sinistra italiana, occorre che rimanga al suo posto nell’immediato, pretenda che si avvii la riforma della legge elettorale dando immediatamente dopo le dimissioni aprendo la crisi e nuove elezioni guidando il nuovo movimento da lui creato.
@ X …. MARCO NAPONIELLO …… SIAMO ALLA DITTATURA MEDIATICA . BOSSI CONTINUA HA FARE PROCLAMI DA CITTADINO NON PIU’ ITALIANO , FINI STA X ESSERE DISTRUTTO , LA SINISTRA SI DOMANDA SE APPOGGIARE FINI , I NUMERI X MANDARE BERLUSCONI A CASA NON CI SONO , COSA CI ATTENDE DAMMI UNA RISPOSTA
X COMUNISTA :Magari sapessi,l’unica cosa certa è la stagflazione economica appaiata al marciume politico,ed a mandare a casa la destra dovrebbero essere gli elettori che in Italia non posseggono gran senso civico, ma capiscono bene il “portafogli” che vale + di tanti atteggiamenti amorali della classe dirigente! Saluti…P.s. CONDIVIDO LE TUE PREOCCUPAZIONI, DEL RESTO “MENTRE SAGUNTO BRUCIA A ROMA SI DISCUTE”!