La destinazione di esigue risorse, non favorisce la ricerca, ne tal poco l’uso dell’idrogeno in tutti i settori che utilizzano l’energia.
La politica è prigioniera della lobby industriale nucleare basta pensare agli investimenti: ogni 100 $ investiti, 40 al nucleare civile e 4 alle rinnovabili e all’idrogeno.
di Erasmo Venosi
ROMA – Il settore della ricerca nel campo dell’energia ha fruito d’investimenti pari a 33 miliardi di dollari, tra risorse pubbliche e private. Il settore del nucleare civile assorbe circa 14 miliardi di dollari, tra ricerca nel campo della fusione (progetto ITER e RFX) e nei reattori di cosiddetta quarta generazione. Nel campo delle energie rinnovabili il totale degli investimenti a livello mondiale è pari a 1,7 miliardi di dollari. Grandi speranze suscita in tutto il mondo la cosiddetta “economia dell’idrogeno”. Resta evidente che solo attraverso la destinazione di rilevanti risorse, da utilizzare per la ricerca, sarà possibile l’uso dell’idrogeno in tutti i settori che utilizzano l’energia.
Attualmente la produzione d’idrogeno si basa su processi che usano le tecnologie oggi già disponibili. La metà dell’idrogeno prodotto sfrutta il procedimento denominato di “reforming del metano” (un dispositivo chiamato reformer consente di convertire il metano in una miscela gassosa ricca d’idrogeno), mentre il 10% circa il passaggio della corrente elettrica nell’acqua (elettrolisi dell’acqua). Quest’ultimo processo permette di ricavare direttamente idrogeno dall’acqua. Appare evidente che tali processi non risolvano i problemi di approvvigionamento energetico, ma li trasferiscano semplicemente, facendo loro assumere un’altra forma, poiché si basano su combustibili fossili, liberando quantità di CO2 pari agli attuali sistemi di produzione energetica.
Se la corrente elettrica proviene da fonti rinnovabili (sole, vento) il processo è in un accumulo di energia solare, ma l’elevata richiesta energetica si traduce in una bassa resa complessiva. In tale quadro, ampio e desideroso di nuove proposte, si collocano le numerose e poco esplorate prospettive di produzione biologica dell’idrogeno. Tra le principali possibilità, quindi, abbiamo: 1) la biofotolisi dell’acqua, che permette di ottenere idrogeno dalla scissione dell’acqua utilizzando direttamente la radiazione solare, 2) la fermentazione dei rifiuti e dei materiali di scarto, che avrebbe il duplice beneficio di trattare i rifiuti e produrre idrogeno, 3) i sistemi biomimetici basati su meccanismi o componenti biologici 4) i sistemi integrati che utilizzano più microrganismi.
La biofotolisi dell’acqua è probabilmente il processo più interessante per la produzione dell’idrogeno, poiché prevede (teoricamente) la scissione dell’acqua, con liberazione d’idrogeno gassoso e ossigeno gassoso. I microrganismi che utilizzano queste reazioni per la loro sopravvivenza sono anche capaci di catturare la radiazione solare, e di indirizzarla più o meno direttamente verso questo processo. L’interesse nasce, quindi, dal fatto di poter utilizzare un sistema compatto (a differenza delle celle fotovoltaiche accoppiate a elettrolisi dell’acqua), che è contemporaneamente in grado di assorbire la luce solare e trasformarla in un composto chimico ad alta energia, che può essere recuperato facilmente: l’idrogeno molecolare. I microrganismi che sono stati studiati per questo particolare metabolismo appartengono ai gruppi delle Alghe verdi e dei Cianobatteri. Rimangono tuttavia alcuni problemi tecnici da risolvere, fra cui quelli ingegneristici riguardanti lo stoccaggio, il trasporto e la distribuzione dell’idrogeno.
L’“energia” dell’idrogeno (il potere calorico) è riferita a un volume pari a un terzo di quello del metano, per contenerlo nello stesso volume bisogna comprimerlo a una pressione elevata Tale pressione richiede strutture di contenimento adeguate, dotate di tenute speciali e quindi pesanti. L’alternativa è data dall’idrogeno liquido, che però è tale a 253 gradi sotto zero, rimandando all’utilizzo di tecnologie sofisticate e opportuni contenitori criogenici. L’alternativa solida diventa l’accumulo dell’idrogeno in particolari strutture, attualmente la soluzione che appare più promettente è quella dei nanotubi di carbonio. La soluzione dei problemi dell’idrogeno dipende unicamente dalle risorse destinate alla ricerca. Solo una miope Politica prigioniera della lobby industriale nucleare può destinare, ogni 100 $ investiti, 40 al nucleare civile e 4 alle rinnovabili e all’idrogeno.
7 settembre 2010
Erasmo Venosi
dal quotidiano Terra
L’economia all’idrogeno, come battezzata dallo studioso americano Jeremy Rifkin, è la prospettiva entusiasmante che il nostro futuro ci sta proponendo.Ma quali sono le difficoltà e le maggiori opportunità? Cosa ci separa dall’entrare in questa nuova era dell’umanità? Il cuore di questa rivoluzione è rappresentato dalla pila a combustibile o fuel cell. Il principio, molto semplice e ad alto rendimento, sfrutta una reazione elettrochimica in grado di generare elettricità. Il “carburante” è la molecola di idrogeno che viene separata in due ioni idrogeno e due elettroni. Il legame tra i due atomi di idrogeno nella molecola è relativamente debole e questa dissociazione avviene con facilità. Gli elettroni vengono veicolati in un circuito esterno generando la corrente elettrica da utilizzare per alimentare un dispositivo. Per esempio una automobile.In realtà abbiamo due problemi cruciali. Il primo è legato al fatto che l’idrogeno è un vettore energetico che va prodotto. Sfortunatamente gran parte dell’idrogeno prodotto attualmente deriva da processi di trasformazione delle fonti fossili tradizionali (metano e derivati del petrolio) con conseguente produzione di anidride carbonica. Si può anche produrre idrogeno dissociando l’acqua, un processo piuttosto dispendioso. In un prossimo futuro per produrre idrogeno si potrebbero utilizzare in modo massiccio sia l’energia nucleare che le energie rinnovabili e forse, chissà, risolvere questo incoveniente.a esiste un secondo ostacolo. Lo stoccaggio. Dove e come immagazzinare idrogeno? L’idrogeno è un gas a temperatura ambiente e tende a occupare spazi molto grandi. Facciamo un esempio: per percorrere 500km con una berlina occorrono circa 30 litri di diesel. Se alimentata con una fuel cell a idrogeno, allora ci occorrono circa 5 Kg di idrogeno (per alimentare un motore a scoppio a idrogeno come quello di Barsanti e Matteucci ci vogliono circa 10Kg di idrogeno). Ma a temperatura e pressione ambiente 5 Kg di idrogeno occupano uno spazio equivalente a una pallone di 4.8metri di diametro.La soluzione più semplice è quella di comprimere l’idrogeno in bombole ad alta pressione. Esiste una tecnologia raffinata per realizzare queste bombole ma voi andreste a 100 all’ora su una macchina che trasporta sotto il sedile qualche metro cubo di idrogeno gassoso sottoposto a più di mille volte la pressione atmosferica? Basta una minima perdita e l’idrogeno a contatto con l’aria produce combustione. Vi ricordate il disastro del dirigibile Hindenburg? Altra possibilità è quella di immagazzinarlo in forma liquida sempre in bombole. Questo processo, però, richiede temperature di -250 gradi!Non ci resta che aspettare alcuni anni ancora per capire se l’epopea dell’idrogeno avrà lo sperato lieto fine.
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