NORD & SUD il dibattito
La protesta del Nord si fa forte dell’ esistenza di problemi reali e ha prodotto una nuova classe dirigente. Quella del Sud rivendicazionistica non tiene conto della miserabile pochezza delle sue classi dirigenti che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori.
Un Partito che volesse avere una funzione nazionale, dovrebbe capire senza esitazione, le fondate ragioni del Nord e cercare di combinarle con quelle del Sud.
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Con questo articolo POLITICAdeMENTE, ha intenzione di aprire un dibattito sulla questione meridionale e sulla “questione settentrionale”, come questione nazionale, per comprendere motivazioni e disagio, delle popolazioni del nord e di quelle del sud, per cercare di trovare la soluzione ad un problema, che appare sempre più complicato e che se non trova una rapida risoluzione rischia di allontanare sempre di più queste due aree geografiche e suoi cittadini.
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QUELL’ UNITA’ DA RITROVARE
di Ernesto Galli Della Loggia
ROMA – Una questione domina su tutte le altre della politica italiana e in vario modo le riassume tutte: il problema dell’ unità nazionale, ovvero il problema di come tenere ancora insieme il Nord e il Sud del Paese. È chiaro, per chi sa vedere, che siamo ad uno di quei momenti in cui la politica è chiamata a fare i conti con una vera e propria svolta storica: la fine della prima Repubblica ha significato molto di più di ciò che allora ci è sembrato. Ha significato anche la fine degli equilibri economico-sociali (e della relativa ideologia) che avevano reso possibile e accompagnato la secolare industrializzazione-modernizzazione italiana. Con ciò è giunto ad un suo punto critico anche il secolare patto nazionale la cui forma, risalente al vecchio Statuto Albertino, la Costituzione del’ 48 aveva, sì, profondamente innovato, ma in un certo senso ripreso e confermato.
Il compito che sta ora davanti al Paese è quello di rifondare questo patto. Di rifondare l’ unità italiana rinsaldando l’ unione tra le due parti decisive della Penisola, il Sud e il Nord. Chi saprà farlo – è facile prevederlo – s’ installerà al centro del sistema politico divenendo la forza egemone per un lungo tempo avvenire. Il partito o lo schieramento che vorrà provarci, che aspirerà al ruolo di partito nazionale, dovrà però guardarsi innanzi tutto da un pericolo mortale: quello di apparire (e/o di essere) un partito «sudista» (è il pericolo di cui invece non sembra accorgersi l’ Udc, che così perde ogni credibilità «nazionale» cui pure dice tanto di aspirare, dopo che si è proclamata espressamente Partito della nazione).
Incorre in tale pericolo qualunque posizione – come quella del partito di Casini, appunto – la quale, lungi dal capire il fondamento reale del «nordismo» (lo chiamo così per brevità) attribuisce invece a Bossi e alla pura e semplice esistenza della Lega l’ origine dei problemi; rifiutandosi cioè di riconoscerne e soprattutto capirne la loro sostanza e portata reali. Quasi che, se non ci fossero né Bossi né la Lega, il Nord non creerebbe più fastidi e tutto andrebbe a posto. Non è così. La protesta del Nord si fa forte dell’ esistenza di problemi reali (inefficienza dell’ amministrazione centrale, scarsità d’ investimenti infrastrutturali, livello altissimo della fiscalità, a cui si può aggiungere la meridionalizzazione degli apparati statali): problemi che tra l’ altro per una parte significativa non sono specifici del Nord, bensì generali dello Stato italiano, anche se al Nord se ne sente di più il peso.
E sta proprio qui, direi, la differenza decisiva con il «sudismo», con la protesta che negli ultimi tempi il Mezzogiorno ha a sua volta mostrato di voler mettere in campo come rivalsa antinordista all’ insegna del rivendicazionismo risarcitorio per il proprio mancato sviluppo. Infatti, almeno nella sua vulgata di massa, quella del Sud si presenta come una protesta che non tiene assolutamente conto, non fa menzione neppure, di quello che pure tutti gli osservatori imparziali hanno indicato da decenni come tra i principali, o forse il principale ostacolo di qualunque possibile sviluppo del Mezzogiorno. Vale a dire la paurosa, talvolta miserabile pochezza delle classi dirigenti politiche meridionali, specie locali, protagoniste di malgoverno e di sperperi inauditi, ma che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori.
Accade così, che mentre la protesta «nordista» ha corrisposto alla nascita e all’ affermazione in loco di una nuova classe politica (quella della Lega), quasi del tutto diversa dal passato e assai polemica verso di esso, comunque la si voglia giudicare; viceversa la protesta «sudista», proprio per questo suo dato di partenza di irrealtà, è disponibile ad ogni uso e già oggi viene inalberata dai più variegati spezzoni e reduci di tutte le formazioni politiche meridionali degli ultimi decenni mentre palesemente si candida a diventare il refugium peccatorum di tutti i trasformismi e gli opportunismi politici che prosperano a sud del Garigliano. In tal modo privando di ogni dignità politica e di ogni futuro le sue pur esistenti ragioni, e condannandosi a rappresentare esclusivamente l’ ennesima chiacchiera da comizio.
Un partito che oggi volesse avere una funzione davvero nazionale dovrebbe dunque partire da qui. Dal capire senza esitazione le fondate ragioni del Nord e cercare di combinarle con quelle del Sud. Che ci sono, ma non sono presentabili all’ opinione pubblica del Paese con qualche possibilità di successo fintanto che non le si strappa dalle mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra, da Napoli a Palermo, nel modo sciagurato che sappiamo.
Ernesto Galli Della Loggia *
dal CORRIERE DELLA SERA
* Ernesto Galli Della Loggia è uno storico, giornalista ed editorialista del CORRIERE DELLA SERA
Chiedo scusa per il fuori argomento dott. Admin ,ma uso questo articolo come mezzo per fare arrivare il mio messaggio. Oggi 31 /08/2010 si è consimato uno dei piu atroci delitti ambientali e non è la prima volta ,l’incendio di MONTE D’ORO oltre ad essere bello paesaggisticamente è anche sito archeologico. Nei miei ricordi il primo incendio si è avuto nel 1986/87 all’incirca e cioè dopo alcuni passaggi di gestione del territorio che a mia conoscenza è dell’ IStituto Orientale” quindi tradotto terra di nessuno”. Da quella data ad oggi la parte Ovest del monte è in possesso di uno o piu pastori che alloggiano in un vecchio e antico rudere di data imprecisata ma stranamente ogni anno dal 1987 ad oggi il Monte D’Oro viene incendiato. Si dico viene volutamente incendiato ,perche per la sua morfologia naturalisitca per in esperto capisce subito che non puo incendiarsi da solo ma è sicuramente colposo. I motivi vanno ricercati nell’ignoranza di chi commette puntualmente il gesto ogni anno ,forse per un pascolo in piu. Comunque sito archeologico per il rinvenimento di alcune pavimentazioni e mosaici di alcuni anni fa ricco di storia ,si cammina su ciotoli di mattoni e di vasellame , si sa che fu abitato circa 5000 anni fa c’è la madre dell’attuale Eboli abbandonata e scempiata quotidianamente. La collina è abitata da alcuni secoli da ulivi che hanno forme emozionanti ed uniche in piu il monte è attraversato da un antiuchissimo acquedotto in parte interrato e in parte funzionante . Tutto cio sotto la disputa di alcuni mesi fa per il Belvedere Dell’ermice Opera sconvolgente emostruosa urbanisticamente in uno scenario tra millenni di storia, in piu disputa di conflitti politici della precedente ed attuale amministrazione. .
La mia perplessita è che nessuno se ne fotte si continua a distruggere il territorio la storia di Eboli e tutti ridono. Qui ci vuole una forza notevole degli inquirenti per trovare i colpevoli affinche questo scempio non si ripeta piu . E poi vogliono interessarsi della fotovoltaica e ella costiera ,Ma Ma rtino da dove vuole cominciare a fare politica ,si dimetta ha fallito nei precedenti quattro anni e nei primi quattro mesi . L’interesse per L’Istituto Orientale per i beni archeologici per l’ambiente tutti argomenti che Martino ha detto che siè interessato ma purtroppo non è vero. Terrmino nel lasciare il posto a chi sa scrivere meglio di me nel trattare l’argomento . Spero che abbia acceso l’attenzione su una questione molto importante per gli ebolitani.
Ebolitani di destra e sinistra abbandoniamo le tendenze politiche ed interessiamoci al nostro territorio ,la nostra ricchezza.
Per arrabbiato ebolitano –
invece hai espresso bene e con il cuore i tuoi sentimenti. oggi all’una ho viso e ho fotografato l’incendio, sperando si veda nelle foto, proprio per farne un piccolo articolo di allarme.
Grazie della tua passione
I motivi sono molti,in specie se osserviamo la globalizzazione come epifenomeno culturale e d economico,ci siam resi d’incanto di essere molto piccoli nei confronti dei novelli giganti asiatici.Intanto però la politica della destra e della Lega non sembra assolutamente preoccuparsi dell’evidente declino della società e dell’ economia meridionale e neppure si cura di rispettare le poche indicazioni normative e di usare i pochi strumenti esistenti a favore del Mezzogiorno. In particolare se si guarda all’ uso dei fondi FAS (fondi per le aree sottosviluppate e sottoutilizzate), gli unici a prevalente destinazione meridionale, si rileva immediatamente un loro sviamento verso le aree meno sviluppate del Nord equiparate a tutti gli effetti al Mezzogiorno.
Quel che è rimasto nella disponibilità dei fondi FAS, dopo il dirottamento della maggior parte delle risorse finanziarie disponibili agli interventi della ricostruzione dell’ Abruzzo post – terremoto, è stato ripartito nella percentuale del 60% al Nord e del 40% al Sud, cioè nella percentuale, prevista dalla normativa vigente, per tutti gli interventi ordinari a carico del bilancio dello Stato, che peraltro non viene quasi mai rispettata.
In pratica la “questione meridionale”, per quanto riguarda l’impegno allo sviluppo, è stata cancellata prima ancora dell’ applicazione del “federalismo fiscale” senza che ciò abbia causato movimenti di protesta significativi. Ora l’offensiva si rivolge alle spese destinate ai servizi, soprattutto a quelli sanitari , da tempo sotto accusa per le sue inefficienze e i suoi sprechi, che peserebbero sul Nord operoso.
Il Sud da qualche tempo sembra entrato in uno stato depressivo, che investe la sua classe politica e gli intellettuali, tutti incapaci di una reazione all’ altezza dei problemi. Non solo non c’è reazione ma sta emergendo un atteggiamento che denuncia una certa condivisione delle ragioni del Nord, cioè del fatto che la responsabilità delle condizioni del Sud sono solo della sua classe dirigente incapace e corrotta e di una società abituata a vivere nell’ illegalità e nel parassitismo. Il Sud non può più protestare né avanzare critiche sulla politica economica del governo, sulle strategie generali dello sviluppo, sulla cessazione di qualsiasi forma di intervento aggiuntivo, sulla politica che dirotta le risorse ad altre aree del paese.
Deve solo ringraziare i ben pensanti dirigenti della Lega che si preoccupano del destino del Sud più degli stessi meridionali e per questa ragione – e non per gli egoismi “lombardo – veneti – di cui molti vanno parlando (compresa da ultimo la Conferenza episcopale italiana), a proposito del “federalismo fiscale”, che si basa invece sulla completa responsabilizzazione delle classi politiche locali e perciò stesso sarà un fattore di risanamento e di miglioramento del sistema socio – politico italiano e di quello meridionale in specie.Senza un cambiamento strategico di queste politiche di queste politiche generali in direzione del Mediterraneo, tutte le altre forme di intervento per lo sviluppo del Sud Europa, compreso il Sud Italia, resteranno esposte a esiti inadeguati per non dire fallimentari.
Le Due Sicilie erano lo Stato preunitario più prospero, nel quale l’emigrazione era sconosciuta e la cui popolazione non aveva alcun desiderio di unirsi alla restante parte della penisola. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e la sua politica di fiera indipendenza cozzavano contro gli interessi delle grandi potenze europee e dei Savoia. Se i vertici dello Stato non furono capaci di arginare una unità d’Italia, una invasione, la piemontesisazzione imposta con la forza dei cannoni e del denaro corruttore, ci pensò il popolo a reagire con una guerriglia durata oltre dieci anni, che però è stata definita, in questo caso, “brigantaggio”.
Ma, per quanto ci riguarda, il fatto più interessante fu come cominciò l’accumulazione della ricchezza a favore del Nord d’Italia. A fronte dell’occupazione dei territori vi furono da subito una serie di conseguenze sulla struttura sociale ed economica del Meridione attraverso atti tendenti a muovere ricchezza a favore di un’accumulazione di questa nel Nord d’Italia:
L’Opificio Reale di Pietrarsa è al momento dell’unità la più grande fabbrica d’Italia . Ma quando il governo unitario avvia il programma di ampliamento delle ferrovie le commesse per i binari sono affidate a industrie francesi. […] Il 15 Ottobre del 1860 fu promulgato dal governo pro-dittatoriale di Garibaldi il decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno; le precedenti convenzioni furono annullate anche se i lavori erano a buon punto…
[Per quanto riguarda la produzione tessile] Ancora nel 1987, inoltre, il 25% delle attrezzature è al Sud; bisogna però considerare che, dopo l’unità, il Sud ha in quel settore una grossa crisi dovuta, come si vedrà, alla concorrenza estera, aggravata dalla legge sul corso forzoso del 1866. Invece il Nord sarà sostenuto economicamente dallo Stato.
Quando nel 1887-88 il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l’agricoltura del Sud subirà un colpo mortale: essa non era infatti un’agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all’esportazione.
Nel 1886 giunsero i piemontesi che vendendo le proprietà demaniali, lasciarono terre e boschi, pascoli e frutteti in mano ai ricchi borghesi non “compromessi” coi Borbone … incrementando così il latifondo . Nel Regno d’Italia accentramento politico e concentrazione di ricchezza procedono di pari passo . Sereni calcola che i proprietari nel 1861 sono 191 ogni 1000 abitanti, nel 1881 ne restano 118.
La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu un caso di vero e proprio drenaggio di capitali che dal Sud andarono al Nord. La pressione fiscale in agricoltura crebbe sotto i Piemontesi e crebbe in maniera difforme, non equa. Così, mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d’imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del Nord. La sperequazione è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagano L. 9.6 per ettaro contro la media nazionale di L. 3.33. Lo stesso avviene per le tasse sugli affari che incidono per L. 7.04 pro capite in Campania, contro 6.70 in Piemonte e 6.87 in Lombardia. Il debito pubblico pro-capite degli Stati sardi era il quadruplo di quello dell’Antico Regno ed il Sud fu costretto ad accollarsi centinaia di milioni spesi dal Nord. La media pro-capite [per le spese pubbliche] fu di L. 0.39 nel Mezzogiorno continentale (L. 0.37 in Sicilia) contro la media nazionale di L. 19.71. Gli appalti sono concessi quasi esclusivamente al Centro-Nord e così pure le società con monopoli, privilegi e sovvenzioni sono al Centro-Nord.
Esemplare il modo con cui lo Stato unitario fa fronte alla cosiddetta ignoranza:
I prestiti in favore per edificare edifici scolastici raggiungono per il Sud la punta massima in Puglia di L. 5’777 per ogni 100’000 abitanti ; nel Nord le punte sono L. 13’345 in Piemonte e L. 15’625 in Lombardia. Al Nord le scuole tecniche sono distribuite in ragione di una ogni 141 mila abitanti, al Centro una ogni 161 mila abitanti, al Sud una ogni 400 mila abitanti; analoga situazione delle Università.
Eppure, per fare un esempio, di una Napoli sprofondata nella miseria e nel sudiciume come documentano le foto dei testi di scuola qualcuno, in tempi non unitari, aveva dato ben altra descrizione:
Lo splendore della Corte e della società napoletana era proverbiale; Napoli era tra le metropoli più popolose, veniva definita da Herman Melville come “la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e suoi derivati”.
Senza parlare della situazione economica del Regno delle Due Sicilie in confronto al resto della futura Italia:
Il capitale circolante delle Due Sicilie era più del doppio di quello di tutti gli altri Stati della penisola messi insieme; il debito pubblico era completamente garantito ; il rapporto tra debito, con interessi, e prodotto interno lordo era il 16% . in Piemonte era del 75%.
E’ forse da mettere in dubbio l’Unità d’Italia o il modo e i fini per il quali essa fu intrapresa? Una risposta la dà un certo Fortunato Giustino in una lettera al Croce del 1923:
Non disdico il mio ‘unitarismo’. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del Nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa.
Sono gli stessi industriali che, incentivando la costruzione di sempre nuovi stabilimenti al Nord, favorirono la continua emigrazione dal Sud della forza lavoro necessaria, quando questa non era già partita per le Americhe. E’ emblematico come le guerre per l’Unità dell’Italia portarono ad una disperata emigrazione: sia al Sud, ma anche nelle regioni del Veneto non appena questo fu annesso all’Italia nel 1866. La causa fu il protezionismo del Governo italiano che vide la risposta negativa dei Paesi esteri, come la Francia che alzò i dazi sui prodotti agricoli importati dall’Italia. Ciò impoverì le masse agricole, e di conseguenza quelle artigiane che furono costrette ad emigrare, mentre nel Piemonte e Lombardia industrializzati questo fenomeno ebbe ben minore risonanza.
L’Unità d’Italia non fu condotta da un migliaio di persone, ma finanziata dalla massoneria e per soddisfare nuovi equilibri nel Mediterraneo richiesti dall’onnipresente Inghilterra. Un’unità che, al solito, passò attraverso esemplari massacri e sproporzionate perdite tra le parti:
Furono distrutti 51 paesi; ricordiamoli, simboli di tanta tragedia, Casalduni e Pontegandolfo; il 14 agosto 1862 le truppe piemontesi circondano ed attaccano questi due inermi paesi del Sannio. Non c’erano Briganti, solo donne, vecchi e bambini: tutti ugualmente massacrati con violenza e furono più di 900 i morti. [19]
Tra il 1861 e il 1872 vennero uccisi 266’370 guerriglieri ed oppositori politici a fronte di 23’013 perdite piemontesi. [20] Senza menzionare le depredazione fatte, gli ingenti bottini dei vincitori che finirono a rimpinguare le banche del Nord. Così che lo stesso Giuseppe Garibaldi ebbe a scrivere nel 1868:
Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. [21]
Così il Sud visse dal 1860 solo una triste storia, fatta di emigrazioni e penosi aiuti statali che a niente servirono a rilanciare la sua economia. Solo se consideriamo i fatti alla luce della teoria della piramide, possiamo capire perché ancora adesso il Sud d’Italia soffra di una povertà che non dovrebbe essere concepibile in un Paese tra i più ricchi del Mondo. L’espansione di conquista da parte del Regno Sabaudo non si tramutò mai in scissione come accadde per gli Stati Uniti nei confronti della madre patria. I nativi del sud non furono relegati in riserve, così nessuno del Nord si impadronì dei territori dove trasferire le proprie imprese e attività. Fu fatta solo opera di drenaggio delle ricchezze mobili (denaro e beni preziosi), soffocamento della concorrenza commerciale e industriale con conseguente sviluppo della disoccupazione che avrebbe fornito manodopera a basso costo per le industrie del Nord e d’oltreoceano. E’ la storia dell’Unione dell’Italia che non può essere riscritta diversamente se non si vuole cadere in incomprensioni, fanatici razzismi, contraddizioni storiche e logiche.
La questione meridionale non finirà mai fino a quando a prevalere sono gaglioffi che indirizzano tutte le risorse al nord.
Allo stesso modo delle risorse le infrastrutture. Il sud non è dotato di infrastrutture. Ogni intervento che per il Nord è strutturale, per il sud è straordinario e quindi la distribuzione della ricchezza, quella vera al nord, quella probabile al sud.
Gli investimenti e le Banche fanno il resto.
Il sud è stato impoverito ogni giorno di più e la trattazione storico-politica di Marco Naponiello è più che esauriente rispetto a quello che è avvenuto.
Oggi indipendentemente dallo squarcio politico-sociale di Galli Della Loggia, noi del Sud ci sentiamo presi per il C….. perchè da una parte vediamo che il nord bivacca con i soldi dello stato e poi conia gli slogan “Roma Ladrona”, senza pagare tasse in maniera corrispondente alle ricchezze investite e ricavate, dall’altra vediamo la nostra difficoltà a risollevarci rispetto a una posizione di impoverimento, aggravato da difficoltà oggettive, ma anche da una classe dirigente supina rispetto alla nordizzazione del parlamento e conseguentemente del Governo.
La corruzione? è trasversale, i disservizi lo stesso, l’arroganza della classe dirigente è uguale. In questo l’Italia è unita, ma sta passando però la tesi che il sud è colpevole perché non vuole “rigare” dritto e vuole vivere di assistenza e le motivazioni sono a carico della sua classe dirigente del Sud.
Oggi, come subito dopo l’unità d’Italia, gli investitori sono solo del Nord e in alcune regioni sono 2 del Nord e 1 mafioso del sud per gli affari che si devono spartire al sud, mentre la stessa mafia investe al nord e fa affari al nord.
Da quando ero piccolo ricordo che i terrù andavano al NORD PER LAVORO,
COSTORO HANNO COSTRUITO I GIOVANI QUARTIERI DI mILANO ANCOR PRIMA DI bERLUSCA E DI tORINO, LA fIAT DI aGNELLI per far fesso il popolo lo si faceva lavorare prima in fabbrica e poi si chiedeva il sacrificio dovuto del contributo statale per salvare i cassintegrati e la Fiat.Quindi i lavoratori meridionali venivano prima schiavizzati nelle condizioni in cui lavoravano e poi derubati attraverso lo stato per finanziare il loro lavoro cioe la FIAT:Ricordo quando frequentavo le elementari co il grembiule nero ed il fiocco rosso il maestro cio diceva che FIAT significava Fabbrica automobilistica Italiana Torino ,quasi come se fosse la fabbrica di tutti gli italiani. E il consenso comune funzionava la gente credeva che Agnelli la fiat e la DC sfamavano L’Italia meridionale.
Ma nel tempo trascorso e sopratutto oggi la fiat non è del popolo ma ha dei padroni ,quindi quanti soldi sono stati buttati per fare arrichire gli Agnelli e loro collaboratori. E’ anche vero che sono vissute e sfamate tante famiglie sopratutto del sud ma non gli è stato regalato niente hanno lavorato. Hanno fatto un lavoro duro e retribuito tanto rispetto ai salari del sud ma poco rispetto ai lavori contemporanei del Nord. Il guaio piu grosso è che noi del sud non vogliamo cambiare mentalita eppure non siamo fessi . IN termini di paragoni con il nord ,molti meridionali sono stati e sono cervelloni della cultura dello spettacolo,dell’imprenditoria e della politica ,ma siamo male organizzati,per meglio dire dobbiamo sconfiggere L’idea comune dell’assistenzialismo e su questo ha ragione qualche pazzo politico del NORD . Sembra quasi che siamo popoli diversi
con storia e tradizioni diversi aime è vero ma è anche vero che gli ultimi 150 anni di storia ci insegnano che siamo un solo PAESE un solo popolo
e abbiamo un solo governo democratico. Sull’ultima parte non ci credo molto ,ma non distruggiamo gli ultimi scrifici dei nostri padri restiamo uniti e difendiamo L’unita di un grande stato democratico “L’ITALIA”
Grazie per poterlo ancora dire.
Bene hai fatto ADMIN ad aprire un dibattito sulla questione meridionale. Speriamo che la partecipazione sia numerosa e di qualità,come gli interventi che ho letto finora.
Ci sarebbero da scrivere e da studiare pagine e pagine di libri,ma io cercherò di dare il mio modesto contributo, partendo dalla fallita rivoluzione partenopea del 1799. In particolare farei riferimento al SAGGIO STORICO SULLA RIVOLUZIONE DI NAPOLI di Vincenzo Cuoco.Egli fu testimone diretto di quella fallita rivoluzione dell’intellighentia napoletana,alleata dei francesi,contro lo stato borbonico assolutista e sanfedista e scrisse il libro appena due anni dopo lo svolgersi degli avvenimenti. Ebbene,quando i borboni,aiutati dagli inglesi, catturarono i protagonisti della tentata trasformazione da monarchia a repubblica del Regno delle Due Sicilie,li misero tutti a morte tramite ghigliottina o impiccaggione. Così,il fior fiore degli intellettuali napoletani e meridionali(tra cui molti lucani,come Mario Pagano estensore della nuova costituzione) fu cancellato e “l’orologio della storia” fu posto almeno cento anni indietro! E da quella strage che contò circa 150 morti , l’Italia meridionale non si è ancora ripresa. La regina Maria Carolina moglie di re Ferdinando, insieme all’ammiraglio inglese Acton,ebbe una parte di primo piano perchè volle anche vendicarsi della morte della sorella Maria Antonietta di Francia,ghigliottinata dai rivoluzionari francesi. Da allora il sud non si è più ripreso perchè coloro che potevano rappresentare la futura classe dirigente meridionale in uno stato libero e unitario seppur ancora monarchico,furono ghigliottinati(se di classe agiata) oppure impiccati(se di classe meno nobile).
E’ veramente fuorviante sostenere che il meridione sarebbe stato meglio sotto i Borboni,perchè furono proprio loro a stroncare una generazione di medici,avvocati,giureconsulti ingegnieri,studenti,ecc. che avevano pienamente accolto il riflesso libertario della rivoluzione francese.
Il Cuoco afferma che “il re,strascinato dai falsi consigli,produsse la rovina della nazione.I suoi ministri o non amavano o non curavano la nazione:doveva perciò perdersi e si perdette. I repubblicani,colle più pure intenzioni,col più caldo amor di patria,non mancando di coraggio,perdettero loro stessi e la repubblica,e caddero colla patria,vittime di quell’ordine di cose,a cui tentarono di resistere,ma a cui nulla più si poteva fare che cedere.”
Una rivoluzione ritardata o respinta è un male gravissimo da cui l’umanità non si libera se non quando le sue idee tornano di nuovo; e quindi i governi diventano più umani,perchè più sicuri; l’umanità più libera,perchè più tranquilla; più industriosa e più felice,perchè non deve consumare le sue forze a lottare contro il governo. Ma talora passano dei secoli e si soffre la barbarie,prima che questi tempi ritornino; ed il genere umano non passa ad un nuovo ordine di beni se non attraverso dei più estremi dei mali.
Quale sarà il destino di Napoli? si chiedeva V.Cuoco nel 1801 e rispondeva: “io non so: una notte profonda circonda e ricopre tutto di un ombra impenetrabile”.
Come suonano attuali queste parole. perchè la notte profonda non è ancora passata sui cieli napoletani!
Mi riservo di continuare in seguito la discussione.Grazie,altrimenti divento troppo lungo.
Quando Marco Naponiello descrive il Regno delle due Sicilie come un’isola felice,si sbaglia di grosso. Perchè è senz’altro vero che la corte napoletana era una delle più sfarzose d’Europa, così come è vero che la prima ferrovia in Europa fu la Napoli_Portici. Ed è anche vero che il Regno pullulava di opifici e l’agricoltura aveva raggiunto il massimo splendore. Però egli omette di dire che il popolino(la famosa plebe) era tenuta in condizioni di semi-schiavitù seppur cammuffata dalle feste e festicciole che il re organizzava. Praticamente i borboni sapevano ben utilizzare lA POLITICA DEL BASTONE E DELLA CAROTA. Ma il popolo era tenuto analfabeta e ignorante e chi godeva dei benefici economici era solo la corte e i baroni locali.
Il ramo dei Borboni napoletani amava lo sfarzo,le parate,l’immagine più che la sostanza,tant’è che l’esercito si sfaldò in pochissimo tempo dopo lo sbarco dei Mille guidati da Garibaldi.
Perciò egregio M.Naponiello,le analisi storiche vanno fatte nella loro comlpetezza guardando a tutti gli aspetti della questione e non solo a quelli favoorevoli alla nostra interpretazione!
E’ chiaro che l’Unità d’Italia rappresentò un ulteriore peggioramento per le condizioni di vita del sud Italia,per tutti quei motivi che tu hai elencato. Però non ci dobbiamo mai dimenticare che i Borboni,prima stroncarono con la più cieca repressione sanfedista,guidata dal cardinale Ruffo, i moti rivoluzionari del1799 e poi addormentarono le coscienze delle generazioni future con le famose tre F “forca,farina e feste”.
Perciò,all’alba del 1860 il Meridione si trovò sprovvisto di una classe dirigente e di una media e alta borghesia,capace di competere con quella del Nord Italia e di difendere le popolazioni meridionali.
Perciò si parla ancora oggi di “intellettuali e borghesi ” del sud che hanno tradito il popolo. Perchè quegli intellettuali e quei borghesi erano poca cosa di fronte alla classe politica e sociale emergente nel settentrione d’Italia.
E ancora oggi ne paghiamo le conseguenze,perchè, tranne qualche politico o intellettuale illuminati meridionali, il resto ha saputo solo adeguarsi ai tempi,come bene ha descritto la situazione Tomaso di Lampedusa ne “IL GATTOPARDO”.
C’è bisogno,oggi , di puntare su uomini politici e non, che abbiano effettivamente a cuore il nostro Mezzogiorno e sappiano imporsi a livello centrale,ponendo di nuova “la questione meridionale” al centro del dibattito politico. Altro che “processo breve” o immunità a vita per Berlusconi!
la mia isola felice rea rapportata al dato odierno, i borboni erano conosciuti pure per la loro inedia,tant’è che si dice ancora”lentezza borbonica2 ma almeno vi si trovava la dignità di un popolo e napoli veniva considerata un opificio di cultura,oltre che la terza d’europa dopo londra e parigi per densità abitativa.oggi dopo 150 trattati + da colonizzati che da cittadini,con i cartelli criminali che si fagocitano a pie’ sospinto pezzi di società civile,il popolino meridionale ha prospettive maggiori oggi rispetto a ieri x non parlare dei 40.000 contadini trucidati dai “gendarmi” piemontesi perchè considerati dei briganti. i prodromi dell’emigrazione meridionale oltre oceano son nati in quegli anni, questo mi hanno insegnato le documentazioni che mi son preso la briga di consultare!
@cicalese, le consiglio,prima di sviare in semplicistiche critiche,le opere di F.Volpe docente all’università di salerno in storia sociale,e vedrà una accurata analisi delle problematiche di merito,uno vero studioso del meridione…La terra senza l’uomo non è che un vasto deserto, o per dir meglio un sepolcro; ella abbisogna delle mani di lui per esser coltivata; cosicché a ragione lo riguarda come un signore e sovrano, ed, attenta in riconoscerne le cure e il dominio, secondo il corso delle stagioni ora gli offre i più vaghi fiori ora i frutti più delicati ed eccellenti.
Mi piace il dibattito innescato dall’articolo di Galli della Loggia. Dalle reazioni si evince che il Sud, almeno ad Eboli, non è morto del tutto.
E riaffiorano così gli annosi argomenti della questione meridionale, ottimamante descritti già ca Carlo Levi nel secondo dopoguerra e recentemente dal giornalista Pino Aprile nel libro Terroni, publicato da Piemme. Ma su un punto penso che bisogna essere fermi e chiari. L’Unità d’Italia andava fatta. I Borboni sono caduti non solo per colpa di Cialdini o di Garibaldi, ma anche perché all’interno della Casa reale napoletana albergava più di un traditore. E poi, per tornare ad oggi e non farla tanto lunga, ha ragioni da vendere Galli della Loggia quando accusa la classe dirigente meridionale di assoluta incapacità a svolgere il proprio ruolo. Qui, secondo me, sta il male peggiore del meridione: incapacità e trasformismo, altrimenti Eboli, con l’Unità d’talia, ne sarebbe uscita alla grande, senza perdere regolarmente tutti i treni che sono passati per San Giovanni. Basti pensare ai 60 mila ettari della Piana del Sele in grado – senza serre – di dare almeno due raccolti l’anno. Una miniera sempre sottovalutata – o all’appannaggio di pochi eletti. Lo schifo di San Nicola Varco non doveva essere permesso perché con due raccolti l’anno – senza serre – si possono tenere regolarmente occupati tutti gli operai che servono. Per la collocazione dei prodotti sui mercati bastava mandare in giro per l’Europa gente in grado di parlare le lingue ed offrire i prodotti agli operatori professionali. E tutto questo alla luce del sole. Ora, svanita anche l’occasione del Polo agro-alimentare, sotterrato perché poteva portare sviluppo, quello vero, ci dobbiamo barcamenare con un outlet – che sarà un’altra cattedrale nel deserto, ingrado soltanto di drenare ulteriori risorse dal teritorio in cambio di paccottiglia cinese e chi sa quali altre schifezze, oppure con la sciagura del fotovoltaico, che farà la fortuna di chi lo ha ideato a scapito del nostro territorio. In conclusione, con la globalizzazione, il mondo ha imboccato una strada senza ritorno. L’unico modo per sopravvivere – e questo lo diceva con chiarezza Cesare Pavere – è quello di non perdere la propria identità, restando al passo con i tempi, seguendo con attenzione e con onestà l’evolversi delle situazioni. Quindi, si porti avanti l’idea della Università agraria affidandola a personalità di chiara fama, rilanciando nel contempo l’industria conserviera e casearia, ed anche il Sud potrà inserirsi di nuovo nella storia da protagonista e non da emigrante.
Egregio M.Naponiello,conosco bene i testi di F.Volpe,perciò ti prego di non offendere nessuno e tantomeno me che accusi di critiche semplicistiche: ho citicato le tue posizioni senza offenderti,invitandoti solo a non considerare esclusvmente quelle favorevoli a una determinata tesi..
Credo che ognuno possa interpretare i fatti storici secondo una sua impostazione culturale,civile,politica,etica,ecc.,ecc. perchè ,fortunatamente viviamo in democrazia.E se permetti,continuo a sostenere che la plebe viveva molto peggio sotto i borboni che nell’epoca attuale. Sono contro tutte le tirannìe,ome lo fu la distania borbonica napoletana che,da un lato coltivava lo sfarzo e gli intellettuali radical-chic dilapidando enormi ricchezze,dall’altro schiavizzava il popolo e lo indrottinava con le più becere credenze religiose con l’aiuto di quella parte più retrograda della chiesa cattolica incarnata da Fra Diavolo e dal cardinale Ruffo. Perciò ritengo anti-storica l’affermazione che si viveva meglio sotto i Borboni! Ti ricordi cosa fecero a Pisacane gli abitanti di Sanza e di Padula,aizzati dagli agenti borbonici? Fatti che avvennero appena 3 anni prima del vittorioso sbarco dei Mille di Garibaldi! Oggi si assiste ad un’altra moda specialmente in Lucania. Non c’è un paese che non vanti di aver dato i natali a qualche brigante! Anche sul brigantaggio ci sarebbe da approfondire bene la questione,perchè,di essi,non possiamo certo farne degli eroi. E’ vero,ci furono alcuni briganti che all’inizio issarono anche il vessillo gigliato dei borboni in segno di ribellione contro la casa Savoia ,ma la magior parte di essi furono solo banditi ed omicidi,diffondendo la voce che “toglievano ai ricchi per dare ai poveri”, a differenza di Tremonti che fa tutto il contrario!
Anche se bisogna pur dire che il generale piemontese Nino Bixio,maggiore responsabile degli eccidi di contadini ribelli che tu hai ben ricordato, ebbe a dire :<>.
come mai è saltata la frase di Bixio? DURANTE LA MIA CAMPAGNA MILITARE A SUD ITALIA,HO CONOSCIUTO SOLO SOLDATI E UFFICIALI BORBONICI,VIGLIACCHI E SENZA ONORE. GLI UNICI CHE HO VISTO MORIRE DISPPREZZANDO LA MORTE,SONO SATI ALCUNI BRIGANTI!
@CICALESE-SE le critiche si considerano offese allora si è impossibilitati a partecipare emotivamente ad un civile dibattito, mi spiace per lei,E REITERO “semplicistiche le sue considerazioni” DATO CHE ANALIZZANO SOLO UN O SPACCATO DEL MIO INTERVENTO E NON NELLA SUA ESAUSTIVITA’.Il regno di Napoli aveva eccellenze in campo scientifico(la prima locomotiva a vapore) industriale (opifici manifatturieri) infrastrutturale(ferrovie ponti) e il tesoro,inteso come riserve auree più cospicuo d’Europa!Di seguito concordo con le colpe della dinastia ,ma è l’eterno dualismo delle cose come degli uomini e di conseguenza degli Stati.Si cercò di rendere patetica e ridicola la figura di Francesco II – il “Franceschiello” della vulgata – arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della Regina Maria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti i governi d’Europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una “santa” e allevato dai preti, con ogni probabilità non aveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, in seguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia di fotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di aver agito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitò scalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare la reputazione dei due sovrani in esilio.La memoria di Re Ferdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse di brutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone – interessatamente – d’essere stato – lui cattolicissimo – “la negazione di Dio”.Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d’Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità.
A mio parere le ragioni sono composite, ma riconducibili ad un concetto che il D’Azeglio enunciò nel secolo scorso “Abbiamo fatto l’Italia, adesso bisogna fare gli Italiani”, e possono essere esemplificate nel seguente modo:
a. Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dalla coscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevano diventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il quale l’unità si ottenne, ammantando di leggende “l’eroico” operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto, schiacciati prima o poi dall’esercito borbonico), sminuendo il fatto che la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà, dall’esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile – nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte – e tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere “liberate” e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.
Per contro si diede della deposta monarchia borbone un’immagine traviata e distorta, e del ‘700 e ‘800 napoletano la visione, bugiarda, di un periodo sinistro d’oppressione e miseria dal quale le genti del sud si emanciperanno, finalmente, con l’unità, liberate dai garibaldini e dai piemontesi dalla schiavitù dello “straniero”.Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare del periodo fascista, proteso com’era al perseguimento di valori nazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe, per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo “revisionista”, riconducendo anzi l’origine della nazione al periodo romano e saltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governo fascista ebbe l’indiscutibile merito di cercare di innescare un meccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da un punto di vista storico insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell’impianto culturale del regime.La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l’impianto di pubblica istruzione del periodo fascista.Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: “Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l’estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d’industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d’altra parte, tutta l’industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (…) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all’occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell’economia nazionale”.La formula del “piemontismo”, vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all’intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti “rapina” che si fecero ai danni dell’erario del Regno di Napoli, determinarono un’immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell’ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso.Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.L’abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.enza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l’Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d’oro e d’argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d’emissione sarda – che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni – avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d’Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l’unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s’erano A seguito dell’occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall’ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell’oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.messi. colpo di grazia all’economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d’Europa), all’irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull’esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all”armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d’Europa. colpo di grazia all’economia del sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d’Europa), all’irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che le popolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressione fiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoia nel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni a canna rigata che permisero la vittoria sull’esercito borbonico), sia i debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in una folle corsa all”armamento, caratterizzato da scandali e corruzione, diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazze economiche d’Europa.La popolazione dell’ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del “brigantaggio”, stremata da anni di guerra, di devastazioni e nefandezze d’ogni genere, per sopravvivere, darà vita alla grandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell”800, che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodo fascista e una diversificazione delle mete che diventeranno il Belgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri.L’enorme numero di morti che costò l’annessione, i 23 milioni di emigrati dal meridione dell’ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, a costo di immani sforzi, alla realizzazione di un’Italia moderna e vivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto che per 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli ha negato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano.Sig. Cicalese, se in futuro avrà piacere di dialogare con me ne sarei lieto, ma senza spocchia, altrimenti la buona creanza ci obbliga a desistere! Best Regards
X CICALESE.SI LEGGA QUESTO LINK, FORSE RIVISITERÀ DI MOLTO LE SUE POSIZIONI…BUONA LETTURA.http://cronologia.leonardo.it/storia/a1863b.htm
X marco naponiello.Resto esattamente sulle mie posizioni. La spocchia e la pretesa di possedere la verità rivelata è tutta sua. Lei non può pretendere di fare lezioni di storia a chi,per professione, è un addetto ai lavori. Perciò chiudo qui la discussione perchè mi rendo conto che,purtroppo,per il momento,non c’è possibilità di dialogo costruttivo.
Mi spiace ma di rimando suo è stato l’incipit, il dialogo è partecipazione democratica, auspico di non essere da lei citato in prossimi post,vista l’impossibilità di una pacata e garbata conversazione,il suo nervosismo acclara molto…..Saluti Dr Conc. Marco Naponiello
Spiace solo costatare che ogni qualvolta parte una discussione seria sui nostri guai di meridionali finisce sempre in contrapposizioni ideologiche condite da pregiudizi. Così non si va da nessuna parte.