Le sette parole di Gesù nella Passione di P. Ernesto Della Corte

Le sette parole di Gesù nella Passione di Padre Ernesto Della Corte, biblista. 

Padre Ernesto Della Corte,

POLITICAdeMENTE

EBOLI – Ci avviamo alla Pasqua di ressurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, e oggi, si celebra il venerdì santo con la Via Crucis, celebrazione del Venerdì Santo, un tradizionale appuntamento cristiano, che precede il Sabato Santo e la Pasqua di Resurrezione. Sperando che con la via crucis di Aquest’anno si trasmetta quel messaggio che Papa Francesco vuole consegnare all’umanità. Un messaggio forte di pace più volte invocata per il recente conflitto Russo – ucraino e per tutte le guerre dimenticate nel Mondo, che purtroppo procurano tanti morti e tante sofferenze a uomini, donne, bambini. Un messaggio che possa servire anche a lenire le sofferenze delle persone più povere, di quelle che vivono la speranza di iniziare una nuova vita e trovano la morte, vittime di scafisti e persone senza scrupoli, ma anche della indifferenza e dalla paura ingiustificata per le diversità. Ed è proprio pensando a questi messaggi che ci piace proporre un saggio del nostro concittadino Padre Ernesto Della Corte, apprezzatissimo biblista e fine osservatore della società umana, oltre che grande predicatore di dottrina e fede: “Le sette parole di Gesù nella Passione”; Buona lettura e BUONA PASQUA A TUTTI.

I PAROLA
«Quando giunsero al luogo chiamato Cranio, là crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro, infatti non sanno quello che fanno» (Lc 23,33-34).

La preghiera di perdono di Gesù respinge ogni ricorso alla violenza, radice di ogni male, e chiede la forza della debolezza. Gesù non respinge la morte, ma la paura della morte, perché così ci aiuta a vincere in noi l’egoismo, ogni strategia del potere dell’uomo sull’uomo e sulle altre creature, della simulazione e dell’apparire.

Questa preghiera sulla croce, inoltre, porta a compimento altre due parole pronunciate nella sua vita, quando dodicenne a Gerusalemme per la prima volta in pellegrinaggio, con un anno in anticipo, offre a Maria e Giuseppe, che lo hanno smarrito, quell’espressione misteriosa e rivelativa: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Nell’orto del Getsemani, poi, di nuovo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia, non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42). Dice S. Agostino: «Pur trafitto crudamente dai chiodi, egli non perdeva la sua dolcezza».

II PAROLA
«(Il malfattore) diceva: “Gesù, ricordati di me quando giungerai nel tuo Regno”. Gli disse: “Amen, dico a te, oggi sarai con me, cioè nel paradiso» (Lc 23,42- 43).

Il buon ladrone chiama Gesù ripetutamente per nome (l’imperfetto greco lo segnala), a dire la confidenza. Molti altri lo hanno invocato, ma sempre aggiungendo al nome proprio un titolo (Gesù Nazareno, Lc 4,34; Gesù, Figlio del Dio Altissimo, Lc 8,28; Gesù maestro, Lc 17,13; Gesù, figlio di David, Lc 18,38); il malfattore buono, invece lo chiama semplicemente per nome: “Gesù”! La preghiera, poi, è un invito a ricordare (cfr. Gen 40,14; Sal 106,4-5) e si fonda su una intuizione: l’impotenza di Gesù a salvarsi da sé non solo non contraddice la sua messianicità ma, misteriosamente, ne dispiega la forma più propria e nuova; l’Innocente è il Messia, che dispone di sé e la cui potenza va oltre la morte, in quanto invoca perdono per i suoi stessi uccisori; Gesù hainaugurato il suo Regno, e la sua manifestazione inizia proprio dalla croce. La risposta di Gesù è lapidaria, introdotta da un solenne: «Amen, dico a te» (v. 43) che impegna tutta l’autorità di chi parla. La richiesta è superata dalla promessa: il malfattore sarà con Gesù (cfr. 22,28-30) nel luogo definitivo che Dio prepara ai suoi santi, quel “paradiso” (v. 43) che ricorda il giardino dell’Eden. La relazione personale («sarai con me») si precisa proprio come luogo paradisiaco.

Ciò che importa meditando la Passione è stare sempre con Gesù, in vita e in morte.

III PAROLA
«Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, dice alla Madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi dice al discepolo: “Ecco tua Madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse tra le sue (cose) più care» (Gv 19,26-27).

Gesù dalla croce vede la Madre e il discepolo amato, insieme alle donne e ai soldati. C’è una vera e propria comunità che sta nascendo. Cristo sta per esprimere le sue ultime volontà e le parole che dice sono molto importanti. La volontà espressa dal Cristo “innalzato” si concretizza nella messa in opera di una mediazione per lenire la sua assenza. A norma del diritto familiare ebraico (cfr. Es 20,12), il Cristo giovanneo pone sua Madre sotto la protezione del discepolo amato. Questi è chiamato a ricoprire nei confronti della madre di Gesù lo stesso ruolo che quest’ultimo aveva assunto fino a quel momento. Il discepolo amato diviene così il rappresentante del Figlio in assenza del Figlio.

L’incarico dato da Gesù alla Madre e al discepolo è in termini di riconoscimento vicendevole: “ecco tuo figlio”; “ecco tua Madre”. L’antica comunità giudaica (la Madre) deve riconoscere come sua discendenza la comunità nuova, quelli di quanti hanno rotto con l’istituzione giudaica (Gv 1,35 lett.), accettano l’amore di Gesù (il discepolo cui Gesù voleva bene) e comprendono la novità del Messia. La comunità nuova (il discepolo) deve da parte sua riconoscere la propria origine, essere il compimento delle promesse che Dio fece al popolo d’Israele. Il discepolo accoglie la Madre nelle sue (cose) più care/nella sua intimità. Ella non ha ormai dimora propria; incorporandosi nella comunità trova la sua nuova casa, una volta che molte guide d’Israele, rifiutando il Messia, hanno cessato di essere il popolo di Dio.

La Madre, presente sia a Cana che sotto la croce con il titolo di “Donna” e “Madre” deve essere considerata come l’Israele fedele, che ben conosce che non c’è vino, cioè alleanza; è al tempo stesso la “Madre di Dio”, cioè del Figlio Unigenito del Padre ed è insieme ai personaggi, tutti, che sono sotto la croce, l’icona della Chiesa, che nel suo seno avrà discepoli e discepole, giudeo- cristiani e pagani.

IV PAROLA
«Dall’ora sesta si fece buio su tutta la terra, fino all’ora nona. Verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabachthàni?”, cioè “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mt 27,45-46)

Il Messia muore in un modo atroce. Come Gesù aveva predetto nel suo ultimo discorso, descrivendo la venuta del Figlio dell’uomo, accompagnata da molti segni (cfr. Mt 24,29-36), ecco che l’evangelista Matteo racconta dello spegnersi della luce del sole fino al momento della morte del Messia. Si potrebbe paragonare il buio sulla terra a quell’eclissi che ebbe luogo, secondo la tradizione giudaica, al momento del peccato di Adamo, quando la terra e il sole vennero chiamati come testimoni contro di lui. Dall’oscurarsi della luce si comprende che tutta la creazione partecipa al dramma del Figlio che muore, e Matteo esprime questo travaglio con le parole del Salmo 22, che viene recitato da Gesù, salmo che esprime la confidenza nel Padre, perché termina con l’espressione: «Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a Te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli». Sì, Gesù muore affidandosi al Padre, come ci ha insegnato nella preghiera del Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà!”.

V PAROLA
Dopo questo, Gesù, sapendo che tutto era già stato compiuto, affinché si adempisse pienamente la Scrittura disse: “Ho sete” (Gv 19,28).

Le parole di Gesù “Ho sete” esprimono il suo desiderio di dare lo Spirito […]. Giovanni è il solo autore del Nuovo Testamento per il quale lo Spirito è stato dato dal Gesù storico […] sulla croce e dopo la risurrezione, il che potrebbe far pensare a un problema, mentre in fin dei conti sono due aspetti di un solo evento: la Pentecoste giovannea, che inizia già dalla croce e si completa nel cenacolo la sera di Pasqua.

Nel modo in cui sopravviene, questa morte è “il fine di tutto”, come amore che dà la vita. Il Padre, l’Amante, ama il Figlio, l’Amato, che a sua volta dona il suo Spirito, l’Amore. Gesù risorge nell’atto stesso del suo morire e nel modo in cui muore: china la testa in obbedienza completa al Padre e dona lo Spirito alla comunità, la chiesa, che nasce già sotto la croce di Cristo. La sua morte non è fittizia: il realismo fisico della sua sete attesta la sua autentica assunzione della nostra condizione umana, ma l’espressione giovannea non è una sete normale, piuttosto è il vivo desiderio di portare a compimento la rivelazione e la missione salvifica, donando il suo Spirito. Nella sete del Cristo, inoltre, si esprime con altrettanto realismo la portata delle nostre morti e delle nostre parole, rendendole partecipi del suo adempimento dell’amore che porta a compimento la Scrittura. Le immette nella sua Parola di carne e di Spirito. Gesù se ne serve per farci entrare tutti nella sua vita.

Nella passione secondo Giovanni, il Cristo non è prostrato nel dolore e nella sofferenza, piuttosto è presentato sempre “cosciente” (sapendo) di tutto quello che vive e dice: è un Gesù sovrano e signore del proprio destino. Sì, ha voluto proprio farci dono dell’Amore, cioè lo Spirito, perché solo accogliendolo siamo realmente in relazione con il Padre e tra noi.

VI PAROLA
«Vi era lì un vaso (orcio) pieno di aceto. Essi, allora, posta una spugna imbevuta di aceto in cima a un issopo e gliela accostarono alla bocca. Come ebbe preso l’aceto Gesù disse: “È compiuto”» (Gv 19,29-30).

«È compiuto»: siamo al compimento di ogni cosa. È dopo aver bevuto il “vino agro/aceto” che Gesù pronuncia la parola più importante di tutto il vangelo giovanneo: τετέλεσται (tetélestai, “È compiuto”). È una espressione impersonale voluta dall’evangelista, perché, come già a Cana di Galilea, tutte le azioni e le parole di Gesù vanno, per così dire, a poggiarsi sulla colonna del compimento (in Gv 19,30). La fine della vita di Gesù è l’ora del compimento della rivelazione: è in realtà il fine di ogni cosa. Perciò non va intesa come una perdita, ma come un guadagno (cfr. Gv 16,7). Non è semplicemente l’ora del ritorno verso il Padre, ma è la morte in croce in quanto tale a costituire il compimento della rivelazione.

L’evangelista Giovanni, dunque, presenta la croce come “vittoria” di Cristo: nel momento cruciale è divenuto il sommo ed eterno sacerdote (era laico e di stirpe davidica, non sacerdotale), è Sposo della nuova comunità, a cui fa dono di se stesso e del suo Spirito. La morte di Cristo è il culmine della rivelazione: consegna il suo Spirito, dono per le nozze con Lui, e così offre a tutti noi l’inaugurazione del tempo e così offre a tutti noi l’inaugurazione di un tempo nuovo: è la Pasqua del Signore che ci attira a sé, chiedendoci di vivere in pienezza e continua offerta di Grazia ogni tempo e tutti i tempi. L’evangelista Giovanni, il discepolo amato, dopo oltre sessant’anni di meditazione ha compreso che nella morte di Gesù è la Vita, quella definitiva, che noi diciamo “Vita eterna”. Gesù, come il seme caduto nella terra germoglia e produce la pianta, così entrato nella morte, la vince, la scardina e fa fiorire la Vita stessa di Dio.

VII PAROLA
«Gesù gridò a gran voce: “Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito”. Detto questo fece uscire lo Spirito (e-spira)» (Lc 23,46).

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,36). L’apparente debolezza sulla croce è in realtà la manifestazione del suo amore, di quelle “viscere di misericordia” che Gesù nutre sempre per la gente che incontra, soprattutto per i più deboli e poveri. Paolo di Tarso afferma che «svuotò se stesso» (Fil 2,7) a nostro vantaggio (hypér, a favore di). Proprio nell’abbandono del Figlio sulla croce è rivelato in modo definitivo fino a che punto Dio ci ami e, dando la vita, si svela. Questo dice pure quanto il Signore ci desideri liberi e responsabili nell’accogliere il suo atto supremo: è così che “tornando a casa”, si fa esperienza della festa, come nella parabola del Padre misericordioso.

Dalla croce come atto supremo Gesù testimonia il Dio della tenerezza, che porta a lasciarsi raggiungere dalla debolezza altrui e a prendersi cura di qualunque malcapitato, perché ogni uomo è fratello, al di là di ogni appartenenza sociale, culturale e religiosa. La fede cristiana è il primato dell’umano. Ancora oggi il Risorto si piega sui poveri, i sofferenti, i senza voce, gli scartati, e li conduce al “luogo dell’accoglienza per tutti” (pandochéion, Lc 10,34), cioè la comunità dei credenti, che continua nel tempo e nello spazio a vivere la “follia dell’amore”.

L’evangelista Luca (come Mc 15,37) utilizza il verbo ἐκπνέω, ekpnéō (che rimanda allo Pnéuma, cioè allo Spirito). Nessun evangelista dice semplicemente che Gesù morì, pur conoscendo il verbo ἀποθνῄσκω, apothnēiskō, morire). I vangeli intendono farci comprendere che in realtà lo spirare di Gesù in croce è il dono del suo Spirito.

Anche nella passione secondo Matteo (27,50) l’evangelista scrive: ὁ δὲ Ἰησοῦς πάλιν κράξας φωνῇ μεγάλῃ ἀφῆκεν τὸ πνεῦμα, «Gesù, dopo aver di nuovo gridato a gran voce, lasciò andare lo Spirito». L’espressione viene intesa come perifrasi di una morte consapevole, sovrana: Gesù muore spontaneamente, egli “domina” la morte. Invoca il Padre un’ultima volta e muore: la Vita stessa di Dio è trasmessa all’umanità! Come una donna dopo le doglie del parto lascia andare fuori di sé la sua creatura, così possiamo comprendere che Gesù nella morte lascia andare lo Spirito per donarlo a tutti noi. La croce di Cristo è il luogo della rivelazione supremo: il Padre, l’Amante, ama il Figlio, l’Amato, che, Sposo dell’umanità, come dono di nozze offre il suo Spirito, l’Amore. È così che siamo immessi nella Trinità, dove regna e circola l’essenza stessa di Dio: l’AMORE!

Bibliografia
1. ERNESTO DELLA CORTE, Andate e fate in modo che imparino da me. Commento ai Vangeli del Lezionario liturgico, Ciclo A – Matteo, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2021, pp. 480.
2. ERNESTO DELLA CORTE, Ancora non avete fede? Commento ai Vangeli del Lezionario liturgico, Ciclo B – Marco, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2021, pp. 496.
3. ERNESTO DELLA CORTE, Gesù, ricordati di me nel tuo regno, Commento ai Vangeli del Lezionario liturgico, Ciclo C – Luca, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2021, pp. 480.
4. ERNESTO DELLA CORTE, Fare di Cristo il cuore del mondo, Commento ai Vangeli del Lezionario liturgico, Solennità e feste del Signore nel Tempo Ordinario, Santorale – Ferie di Avvento dal 17 al 24 dicembre, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2021, pp. 336.
5. ERNESTO DELLA CORTE, Le Antifone O. Commento esegetico-liturgico, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2021, pp. 160.
6. ERNESTO DELLA CORTE, Dal Cenacolo al Giardino della Risurrezione. Il Triduo Pasquale. Commento esegetico-Liturgico, EDI Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2022, pp. 137.
7. ERNESTO DELLA CORTE, Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Itinerario biblico di preghiera, AET, Analecta Ecclesiae Triventinae II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021, pp. 460. 8. Cfr. il sito www.ernestodellacorte.it

Eboli, 7 aprile 2023

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