23 maggio 1992 – 23 maggio 2021, nel giorno della memoria la Sindaca di Battipaglia Cecilia Francese ricorda la strage di Capaci.
“L’importante non e’ stabilire se uno ha paura o meno. E’ sapere convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è coraggio ma incoscienza” (Giovanni Falcone).
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
BATTIPAGLIA – «Giovanni Falcone di coraggio ne aveva tanto, pur consapevole dei rischi che correva nel momento in cui si erse, insieme ai colleghi del pool antimafia, a contrastare quella “piovra” che si chiama “Cosa Nostra” che invadeva le istituzioni, la politica, che infiltrava l’economia che condizionava la stessa vita sociale. – scrive in nuna nota Cecilia Francese ricordando la figura eroica di Giovanni Falcone nel giorno della strage di Capaci, laddove fu commesso l’attentato che lo uccise in sieme alla sua scorta – Falcone non ha mai chinato la testa, non si è fatto sopraffare dalla paura, nonostante minacce ed un primo tentativo di attentato.
L’inchiesta che disvelo’ i misteri di “Cosa Nostra”, che portò alla luce un sistema marcio e corrotto, andò avanti. – prosegue Cecilia Francese – Chi ebbe paura fu la mafia, fu ” la montagna di merda ” di cui parlò Peppino Impastato che a sua volta 14 anni prima di quel 23 maggio 1992, fu ucciso per avere osato denunciato la mafia. Fu la paura a far sì che la mafia dei Riina e dei Provenzano decretasse la morte di Giovanni Falcone, così come sarà sempre la paura a decretare la morte del suo amico e collega Paolo Borsellino qualche mese dopo.
Giovanni Falcone era un magistrato, era un servitore dello Stato, quello Stato che troppe volte si era girato dall’altra parte nel contrasto con “l’antistato” e che era rimasto troppe volte inerme mentre altri suoi esponenti rimanevano vittime delle mafie: da Pio La Torre, a Carlo Alberto Dalla Chiesa , a Rocco Chinnici …..una lunga scia di sangue! – Aggiunge la Sindaca di Battipaglia ricordando gli eroi vittime di mafia che gridano sempre vendetta e giustizia – Quando la mafia si sente in pericolo, quando non può “corrompere” allora uccide!
Giovanni Falcone questo lo sapeva bene!
Sapeva anche che le infiltrazioni nello Stato avrebbero cercato di isolarlo, di renderlo debole e quindi attaccabile.
Ma lui non si arrese e andò avanti con la sua indagine, aprì dee brecce spaventose nel muro di omertà che proteggeva la mafia: per la prima volta si incominciò a scavare nelle parole dei pentiti. – aggiunge ancora la Prima Cittadina di Battipaglia – Il 23 maggio 1992, 29 anni fa 500 kilogrammi di tritolo fecero saltare un pezzo dell’autostrada a Capaci uccidendo Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo ed agli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro .
La Mafia aveva pensato così di eliminare il pericolo rappresentato da quel giudice testardo, capace, metodico. – prosegue – Non aveva capito il messaggio culturale, l’esempio di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino; era quello il vero pericolo per l’antistato. – aggiunge – Quel messaggio che diceva che la paura, sentimento naturale nell’essere umano, può essere controllata, che essa non deve portare ad “abbassare la testa” dinanzi alla violenza, all’ arroganza, all’ illegalità ma che, anzi, occorre reagire giorno per giorno e che se a condurre la battaglia contro la mafia sono in tanti e non solo il singolo, l’antistato è destinato a perdere!
La mafia pensò che eliminato Falcone, tutto sarebbe tornato come prima, che lo “Stato” sarebbe tornato a voltare la testa, che la coscienza civile sarebbe tornata a rincantucciarsi in qualche sterile e sporadica iniziativa – sottolinea la Francese – Così come era successo tante volte nel corso degli anni a partire da poco più di 80 anni prima, quando un altro simbolo, il pioniere della lotta alla mafia, un poliziotto americano, le cui origini erano proprio nelle terre del salernitano, a marzo del 1909 veniva ammazzato a colpi di pistola a Palermo. Si chiamava Joe Petrosino!
Ma dopo quel 23 maggio 1992, le cose sono profondamente cambiate.
La società, le coscienze civili si sono risvegliate, i giovani innanzitutto sono diventati protagonisti di una battaglia culturale immensa, e con essi imprenditori che hanno incominciato a denunciare riscoprendo l’esempio di un altro martire della lotta alla mafia: Libero Grassi ucciso nel 1991 per avere denunciato un tentativo di estorsione. – Prosegue la Sindaca – Oggi la mafia non è sconfitta, rimane un gravissimo pericolo che in forme diverse cerca di infiltrare le istituzioni ed i gangli vitali del sistema economico, in Sicilia come in Calabria, come in Puglia, come da noi qui in Campania ma oggi le coscienze sono più vigili, oggi non si ha più paura a pronunciare la parola “mafia”, oggi l’insegnamento di Falcone e’ particolarmente vivo. – Conclude la Sindaca di Battipaglia Cecilia Francese – E la mafia lo sa: quell’insegnamento non può essere cancellato da nessuna carica di tritolo!»
Alla Sindaca Francese si aggiunge anche l’Assessore Davide Bruno che in un breve messaggio che ci ha fatto pervenire ricorda le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella : «O si è contro alla Mafia o si è complici. A 29 anni dalla strage di Capaci fa ancora comodo parlarne solo come un fatto di mafia, sollevando la politica dalle proprie responsabilità e la società dalla propria complicità. Non saremo assolti da una etichetta “antimafia” se all’indignazione e alla memoria non seguono l’azione e la coscienza del presente».
Ha ricordare Giovanni Falcone nel giorno della memoria delle vittime della mafia e quel triste 23 maggio del 1992, laddove la mafia sferró il suo attacco allo stato con l’attentato di Capaci, uccidendo Falcone, sua moglie e gli uomini delka sua scorta è anche Raffele Femiano, componente della Direzione provinciale del PD:
«Oggi sono 29 anni La strage di Capaci fu un attentato di stampo terroristico – mafioso compiuto da Cosa Nostra il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci (sul territorio di Isola delle Femmine) con una bomba composta da 500 kg di tritolo, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. – scrive Femiano in una nota – Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell’autostrada A29, alle ore 17:57, mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate.
Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. – prosegue l’esponente politico del PD – Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Quel giorno ero in servizio arrivò la notizia è ci riversammo nel centralino telefonico, tutti rimanemmo immutoliti avvolti da un senso di rabbia, di dolore e di disperazione. – conclude Raffaele Femiano – La mafia aveva osato abbattere il simbolo più alto più nobile dello stato Italiano. Un fatto gravissimo perché il dottore Falcone rappresentava nel mondo “Il Magistrato per Eccellenza”.»
Battipaglia, 23 maggio 2021
La memoria, un ponte prezioso, fondamentale collegamento tra passato e futuro e indispensabile per la formazione delle nuove generazioni.