Il centrodestra in mezzo al guado

La rottura Fini-Berlusconi non è di natura ideologica, ma politica.

Il Cavaliere non accetta che possano nascere e crescere, figure politiche che si propongano esplicitamente di succedergli nella leadership.

Giovanni Orsina

di Giovanni Orsina

ROMA – Nessuna delle molte questioni politiche che si intrecciano attorno alla crisi del Popolo della Libertà ha un volto particolarmente nuovo. Alcune di esse, tuttavia, appaiono più gravi che in passato. E soprattutto, non era mai capitato prima che i problemi oggi all’ordine del giorno si presentassero tutti insieme, contemporaneamente. Questa simultaneità sta creando nella maggioranza un sovraccarico dagli effetti assai difficili da prevedere.

Ma con ogni probabilità introdurrà nelle prossime settimane – e forse già nei prossimi giorni – delle cesure reali e profonde all’interno della vita politica nazionale. Non hanno un volto particolarmente nuovo né l’insistenza della Lega sul federalismo, né la concorrenza – “cooperativa” magari, e controllata, ma non per questo meno reale – che nelle regioni settentrionali oppone il partito di Bossi a quello di Berlusconi. L’una e l’altra rappresentano anzi, ormai da molti anni, una componente strutturale dello spazio pubblico italiano. Ed è anche già successo che i leghisti si siano irrigiditi di fronte alle lungaggini dalle quali di volta in volta è stato frenato il cammino di quella che essi considerano la madre di tutte le riforme.

L’elemento nuovo in questo caso è costituito dalla nomina del pidiellino Aldo Brancher a ministro per il decentramento: una nomina la cui genesi è in verità ancora piuttosto oscura, ma che ha senz’altro creato irritazione in casa leghista, e che potrebbe mettere in seria difficoltà il governo già giovedì prossimo, quando si discuterà alla Camera una mozione di sfiducia individuale contro il neoministro.

Non hanno un volto particolarmente nuovo i contrasti fra il titolare del dicastero dell’economia Giulio Tremonti da un lato e i suoi colleghi ministri e gli enti locali dall’altro: anche in questo caso siamo in presenza di una divaricazione di interessi strutturale, che già si manifestò più volte nella legislatura 2001-2006, e che l’attuale clima economico rende ovviamene più seria e drammatica che mai. Così come strutturale è la divergenza fra Tremonti e lo stesso Berlusconi, notoriamente assai meno portato del suo ministro al pessimismo, e a dir poco riluttante quando si tratta di chiedere sacrifici agli italiani.

Ha un volto sconfortantemente antico la vicenda della legge sulle intercettazioni, che non ci ha risparmiato proprio nulla del film a cui assistiamo ormai da anni: accelerazioni e decelerazioni, irrigidimenti e ammorbidimenti, proclami e smentite, discussioni infinite sui calendari parlamentari, vibranti proteste contro l’attentato alla democrazia e processioni apocalittiche di intellettuali imbavagliati. Fino al consueto scontro col Quirinale.

Non ha un volto nuovo nemmeno la rottura, che appare sempre più difficile da sanare, fra il presidente del consiglio e quello della Camera, Gianfranco Fini. Una rottura di natura non ideologica: il dissenso non nasce dalla diversità di idee, che semmai Fini ha utilizzato e accentuato per legittimare un dissenso preesistente. Ma politica: una conseguenza inevitabile del carisma personale di Berlusconi, dell’impossibilità che intorno a lui nasca e cresca un organismo partitico collegiale, dell’impossibilità che sotto di lui nascano e crescano figure politiche che si propongano esplicitamente di succedergli nella leadership.

Il caso Fini si pone da questo punto in continuità con quelli di Marco Follini e Pier Ferdinando Casini. Con un paio di differenze non da poco: che Follini e Casini avevano un proprio partito diverso da quello del Cavaliere; e che la rottura definitiva fra la coalizione di centro destra e l’Udc non avvenne quando queste forze erano al governo. Là dove l’eventuale passaggio di Fini e dei finiani all’opposizione spezzerebbe oggi il PdL e metterebbe in forse la maggioranza parlamentare, aprendo una fase di grande incertezza e instabilità.

Non ha un volto nuovo la maniera distratta nella quale Berlusconi è finora parso gestire questo nodo intricato di questioni, né il proclama col quale tre giorni fa ha annunciato il suo “risveglio”: “ghe pensi mi“, ci penso io. Il Cavaliere come leader non dà il meglio di sé né nell’attività di governo, né nei tempi ordinari. È invece uno straordinario leader elettorale, ed è particolarmente abile nel gestire i momenti di crisi, che si va a cercare e che spesso suscita lui stesso, giocando di acceleratore e di freno e drammatizzando i contrasti.

Lasciare che le situazioni si ingarbuglino per poi intervenire su di esse con un colpo di teatro fa quindi parte del suo stile. Solo che, come s’è detto, questa volta la situazione è ingarbugliata sul serio, i nodi sono profondi e stretti, e per scioglierli il colpo dovrà essere di genio ben più che di teatro.

Staremo a vedere quel che accade nei prossimi giorni.

Resta da presentare un ultimo volto fin troppo consueto. Quello di una politica che non riesce proprio a trovare un baricentro. Che ha già assistito all’implosione della sua metà sinistra. E da vari anni assiste alle fibrillazioni incessanti della sua metà destra. I cui equilibri appaiono sempre più legati al filo sottile di una leadership carismatica individuale. Che in sedici anni non è riuscita a darsi una riforma degna di questo nome, ma – come abbiamo visto in tutto questo articolo – continua ossessivamente a girare intorno agli stessi problemi. Che naviga a vista. E fa navigare a vista il paese.

Giovanni Orsina da “Il Mattino”

7 commenti su “Il centrodestra in mezzo al guado”

  1. Una delle ipotesi che sta facendo studiare in queste ore dai suoi esperti il Cavaliere , poco pratico di regolamenti parlamentari, è l’idea di rendere a Gianfry pan per focaccia proprio giocandogli uno scherzetto con i gruppi parlamentari. I Finiani avevano minacciato di fare un gruppo autonomo? Bene, e così sia, solo che un nuovo gruppo del Pdl lo costituirebbe Re Silvio, con un nome appena modificato e lasciando fuori i quattro gatti finiani più ringhiosi come Bocchino, Granata & C., che non accetterebbero l’aut aut, e ai quali verrebbe rifiutata l’iscrizione confinandoli nel gruppo misto senza le lucrose prebende previste per i gruppi. Riuscirà il nostro nell’audace impresa, che non richiederebbe formalmente espulsioni dal partito, probiviri ecc, ma solo una raccolta di firme di parlamentari?Compravendita. La parola echeggia in maniera neanche troppo sotterranea nei corridoi del Parlamento in questi giorni. Il riferimento è al tentativo di Berlusconi di tirare dalla sua parte il maggior numero possibile di finiani, mentre si parla sempre più insistentemente della volontà del presidente della Camera di costruire “un terzo polo”. La conferma arriva direttamente dallo staff di Fini: “Sono voci che circolano insistentemente e che arrivano anche a noi”, spiega il portavoce, Fabrizio Alfano, pur senza cedere alla tentazione di fare nomiUna conferma “per opposizione” arriva da Giorgio Stracquadanio, interprete fedelissimo del Cavaliere, che ieri mattina ad Omnibus di fronte a questa ipotesi, praticamente impedisce la discussione. Che il presidente del Consiglio stia mettendo sul piatto tutte le sue armi, dalla seduzione alla minaccia, non è una novità. Dai tempi della direzione nazionale nella quale si è consumato lo show down a oggi, è stato tutto un tessere tele, un cercare di intaccare la galassia finiana, sia tentando gli indecisi, che provando ad attrarre le personalità più in vista..Fabrizio Cicchitto, non è l’ultimo arrivato e non è nemmeno uno che si alza dalla parte sbagliata il mattino e se la prende con il primo che gli capita. Ha ricevuto il mandato di mettere le carte in tavola e fare sapere al presidente della Camera, Gianfranco Fini, che la “ricreazione” è finita e bisogna che decida il da farsi. Vuole stare dentro, e allora si accomodi, si concordano le cose da fare e si trova un denominatore comune, oppure è meglio lasciar perdere, ognuno per la sua strada e vinca il migliore. Se dovesse essere presa in considerazione questa eventualità, ci sarebbe un effetto trascinamento verso lo scioglimento delle Camere, perché la scissione del Pdl non concederebbe al governo di mantenere una maggioranza stabile. Tutti i tentativi fatti dal premier nell’ultimo mese di sostituire Fini con Casini non hanno avuto successo. Il leader dell’Udc non ha preso in considerazione l’ipotesi, anche perché i suoi rapporti con Fini sono sicuramente migliori di quelli che mantiene con il presidente del Consiglio, In caso di separazione, nessuno dei cofondatori potrebbe usare da solo il simbolo del partito, perché appartiene ad entrambi, a meno che uno dei due non vi rinuncia. Una separazione consensuale, appunto. Eventualità assai improbabile. Quindi, scomparirebbe il simbolo. Per questa ragione la nascita dei Promotori della libertà, che ripropongono il “brand”, Pdl, è stata vista come un’anticipazione dell’exit strategy di Berlusconi
    La dichiarazione di Cicchitto arriva all’indomani di un “duello” fra Fini e il ministro Bondi, durante il quale Fini ha ribadito le sue posizioni sul disegno di legge ormai definito “legge bavaglio”, le intercettazioni, e sulla nomina del ministro Brancher, per la quale non è stato affatto tenero. Avete dato la sensazione di averlo nominato ministro per evitare che risponda delle sue azioni in tribunale, ha detto sostanzialmente il presidente della Camera.
    La sentenza di condanna al senatore Marcello Dell’Utri ha visto i finiani siciliani, soprattutto i giovani, schierarsi decisamente dalla parte “sbagliata”. Chi è condannato deve essere cacciato via dal partito, hanno affermato i giovani di generazione Italia. E Fabio Granata, il portavoce di Fini in Sicilia, ha detto a muso duro che non c’era proprio nulla de festeggiare, rivolgendosi a quanto gioivano per il fatto che le accuse del pentito Gaspare Spatuzza non fossero state prese in considerazione dal collegio giudicante. Siamo alla vigilia di scenari imprevedibili, questo è certo.Sia chiaro: negli ambienti di centro-destra il Cavaliere è considerato vincitore assoluto della disputa.L’obiettività, tuttavia, imporrebbe di slegare i soggetti dagli oggetti, valutando i fatti e le parole, non le persone. Berlusconi ha dato libero sfogo al suo carattere sanguigno e a quel narcisismo che gli rende insopportabile pensare di non essere amato e riverito da tutti, soprattutto a casa sua.Gianfranco, più saggiamente, ha preferito puntare su “nazione” e “legalità”, ponendosi come barriera legalitaria, ma anti-leghista, capace in prospettiva di attrarre consensi. Soprattutto al sud. Inoltre, il Presidente della Camera sa benissimo che una sfiducia ai suoi danni è giuridicamente impossibile.Qualora, tuttavia, preoccupato da questo scenario, Berlusconi decidesse di accettare le condizioni di Fini e la minoranza interna, egli si troverebbe ogni giorno a fare i conti con i “300 spartani” finiani, capaci di fare il bello e cattivo tempo sulle leggi che servono al premier.Fini, in tal senso, fungerebbe da calamita per qualsiasi tipo di malcontento. E’ scacco al re.

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  2. E’ il paese che sta in mezzo al guado con questi figuri. Anche quelli che li hanno votati stanno in mezzo al guado, se tornano indietro affogano se vanno avanti pure.
    Così imparano, visto che è necessario per gli italiani fare sempre la fine di M….. per capire.

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  3. CARMELO CONTE LO Fa dagli anni settanta, ma la colpa risiede anche e specialmente nelle forze politiche che non son riuscite a farlo dimenticare,una classica con-causa! Ed oggi piazza o cerca di piazzarli nei punti fondamentali del potere cittadino…merito suo o pure demerito degli altri?

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  4. Il centrodestra farebbe bene a evitare inutili vittimismi, e Berlusconi a porre fine ai troppi scivoloni, omissioni ed errori di questi ultimi mesi, dal rapporto tira e molla col Quirinale al testo Ghedini sulle intercettazioni che, a mio modesto avviso, sin qui ha aperto molte più emorragie delle ferite istituzionali e ordinamentali che era inteso a curare.
    Che poi dietro le quinte del demi-monde bancario “che conta davvero” – nell’Italia odierna si traduce quasi in un solo modo: Banca Intesa, più qualche spezzone ex confindustriale – si tenga l’occhio aperto su eventuali imprevisti (una rapida e feroce ripresa sui mercati dell’eurocrisi con gli spread italiani che rischizzano verso l’alto, un dossier improvvisamente aperto da qualche giornale internazionale sugli affari energetici tra Italia e Putin, o saddioché, visto che la realtà degli sviluppi italiani batte ormai anche la più sfrenata delle fantasie), questo è tutt’altro paio di maniche. Gli erroracci del centrodestra,se la metafora “poteri forti” abbia ancora un senso nell’asfittico panorama banco-industriale italiano? A mio giudizio no, se tentiamo oggettivamente di guardare a ciò che ha determinato e continua a determinare la discesa del governo Berlusconi nei sondaggi di popolarità. Sì, invece, se a prescindere da ciò che indebolisce di fatto l’esecutivo, A indebolire il governo, sia che si seguano i sondaggi di Nando Pagnoncelli, sia che si dia retta a quelli di Renato Mannheimer oppure a quelli di Alessandra Ghisleri (tanto per tracciare una retta dal più lontano ai gusti di Berlusconi al mediano e infine al più vicino), in realtà concorrono tre fatti diversi. Le indagini e i processi che hanno portato colpi sopra e sotto la linea di galleggiamento del governo: dal caso Scajola a quello della “cricca”, fino al caso Brancher e alla sua pasticciatissima nomina a ministro, mentre la poltrona di Scajola resta vuota. Poi, le polemiche interne al centrodestra, segnatamente l’endemica e corrosiva carica di dissenso di volta in volta rinfocolata dall’onorevole Gianfranco Fini e dai suoi. Infine, le code critiche a singoli provvedimenti del governo, dalla cosiddetta “legge bavaglio” sulle intercettazioni alla manovra sui conti pubblici, con i diversi fronti che quest’ultima ha aperto, a cominciare da quello nei confronti delle Regioni.Il centrodestra farebbe bene a evitare inutili vittimismi, e Berlusconi a porre fine ai troppi scivoloni, omissioni ed errori di questi ultimi mesi, dal rapporto tira e molla col Quirinale al testo Ghedini sulle intercettazioni che, a mio modesto avviso, sin qui ha aperto molte più emorragie delle ferite istituzionali e ordinamentali che era inteso a curare.
    Che poi dietro le quinte del demi-monde bancario “che conta davvero” – nell’Italia odierna si traduce quasi in un solo modo: Banca Intesa, più qualche spezzone ex confindustriale – si tenga l’occhio aperto su eventuali imprevisti (una rapida e feroce ripresa sui mercati dell’eurocrisi con gli spread italiani che rischizzano verso l’alto, un dossier improvvisamente aperto da qualche giornale internazionale sugli affari energetici tra Italia e Putin, o saddioché, visto che la realtà degli sviluppi italiani batte ormai anche la più sfrenata delle fantasie), questo è tutt’altro paio di maniche. Ma il Presidente della Camera? Lui non demorde e va avanti per la sua strada, tentando sempre più di radicare sui territori comunali la fondazione di Italo Bocchino, Generazione Italia con lo scopo di crearsi un bacino di consensi che lo porterebbe nei fatti ad avere piena autonomia come ai tempi di Alleanza Nazionale.
    E non è da escludere uno scenario del tutto nuovo e inaspettato: la compagine dell’esponente del PD Franceschini pronto a sostenere alla Camera gli emendamenti dei finiani al ddl intercettazioni.Il quotidiano di Feltri dà il buongiorno agli italiani rivelando l’esistenza di un piano per fare fuori Berlusconi: “Il presidente della Camera pronto alla grande ammucchiata con Di Pietro e Bersani pur di far fuori il premier”.Secondo Feltri, Fini si sta muovendo così per lo shock che l’ha colpito quando è scomparsa An e si è ritrovato a Montecitorio senza alcun potere politico. E spiega che la legge sulle intercettazioni costituirebbe il casus belli di un piano covato da tempo. Nel quale non si è capito a che titolo entrino le dichiarazioni di Italo Bocchino di ieri, il quale spergiurava di non avere intenzione di far cadere la maggioranza. Staranno giocando a nascondino? Non si sa, ma Feltri conclude così: “Si dice che Berlusconi stia studiando le contromosse. Ce lo auguriamo. Ma se darà retta ancora alle colombe, comincerà presto il tiro al piccione”.Insomma, siamo alla resa dei conti e sembra che la storia tra Berlusconi e Fini sia arrivata al capolinea.

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  5. che si cominci a parlare di andare a votare,in effetti fa pensare,ma che Fini da delfino sia diventato squalo è una squallida realtà di questo paese allo sbando,dove si alterneranno altri leader senza proposte a un berlusconi votato da tutti e poi…odiato da tutti…e chi può capire come sono fatti gli italiani?????comunque,Fini non piace più a nessuno e la sua sorte è segnata….Naponiello,sei un giornalista?complimenti per le lucide analisi politico-economiche,mi trovo sempre a leggerle con interesse!

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