EBOLI – Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo studio su Felice Cuomo, Poeta e Musico ebolitano, che Mariano Pastore ha realizzato in collaborazione con Il Giornale di Eboli nell’occasione del 50ennale della sua morte.
La prefazione di Mariano Pastore anticipa la pubblicazione del libro su Felice Cuomo che POLITICAdeMENTE offrirà ai suoi lettori e che compatibilmente con gli spazi, si prevede avvenga la settimana prossima.
E’ superfluo aggiungere qualsiasi altra cosa che non sia stata detta e scritta da Pastore, tranne il ricordo che personalmente ho di don Felice Cuomo, perché così lo chiamavamo.
Don Felice era un uomo straordinario, elegante, dolce, mite, dignitoso nella sua povertà, riusciva a trasmettere il suo affetto nonostante gli stenti, e quando lo incontravo o quando veniva a casa mia, mi regalava sempre le caramelle, quelle a liquirizia di una lira.
Don Felice veniva spesso a casa mia, mio padre lo invitava sempre, e senza quell’invito non sarebbe mai venuto, un invito che mio padre faceva quotidianamente e doveva anche insistere, perché nella sua dignità non sembrasse approfittarne. Dove ne mangiavano undici, poteva accomodarsi anche un dodicesimo. Il primo piatto era sempre per lui, poi mio padre, e così via discorrendo. Il mio era subito dopo quello di mio padre anche se ero l’ultimo dei figli. I miei fratelli e le mie sorelle mi curavano bene.
Con Don Felice a tavola era sempre un rito e spesso inventava delle poesiole per ringraziare ed esaltare quei pasti che mia madre preparava. Poi si intratteneva con noi (me e le mie sorella Rossana e Liliana) che eravamo i più piccoli. Ci dava lezioni di canto, di musica. Con lui ho imparato a leggere e cogliere il meglio della lettura, ma anche ad osservare e analizzare il mondo che ci circonda, la natura.
Potrei scrivere ancora e ancora di più ma non voglio sovrappormi con i ricordi al lavoro invece puntuale e meritevole di Mariano Pastore.
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di Mariano Pastore
Parlando con gli amici del “Giornale di Eboli” del Poeta ebolitano ai più sconosciuto, si è decisa la pubblicazione di alcune sue amate “Parvulae”, di qualche inno musicato e di dediche a personaggi storici o ad amici in occasioni tragiche o felici. Felice Cuomo morì, il 10 giugno 1957, io avevo diciotto anni e conservo tuttora nitido il suo ricordo.
Egli attraversava, dalle sette alle otto, ogni mattina il ponte sulla Tufara, che immetteva nel cuore del suo amato “borgo” e dal quale vedeva stagliarsi la casa natia, con la sua particolare andatura dinoccolata, vestito di nero, con gli occhialetti che gli davano quell’aria di uomo sapiente come i lunghi capelli bianchissimi che gli incorniciavano il volto.
Portava con sé sempre una borsa nera tenuta strettamente sotto l’ascella del braccio sinistro; il contenuto di quella borsa era noto a tutti, era il suo tesoro e per questo non se ne separava mai: erano poesiole ed inni musicati, scritti su fogli sciolti di quaderni o stampati nella tipografia nella tipografia del mai dimenticato don Nicola Sarno; probabilmente i versi vergati a mano, con la sua bella grafia del tardo ottocento, erano scritti col pennino a cavalletto su fogli tolti dai quadernetti con la copertina nera comprati a San Nicola dalla signora Loriedo; i quaderni usati dalle nostre mamme per annotare la spesa giornaliera dal salumiere di fiducia: il conto puntualmente veniva saldato secondo gli accordi presi ad ogni fine settimana oppure il giorno di paga dei nostri padri, per lo più lavoratori della piana di Eboli.
Molte persone lo avvicinavano e gli chiedevano poesie, egli, con gesti abitudinari, estraeva dalla sua cassaforte-borsa l’ultima poesia dicendo con voce sottile e flebile: “ non buttarla perché essa contiene il messaggio d’amore lanciato al Signore e ai suoi Santi ”.
Tra la fine degli anni quaranta e il principio degli anni cinquanta don Felice suonava l’organo in quasi tutte le chiese di Eboli, la sua preferita era la parrocchia di San Biagio, retta da un gigante dell’apostolato di quei tempi: don Gaetano Giudice antesignano degli oratori quali punto di incontro per genitori e figli.
Nella chiesa di San Biagio, durante la Quaresima, si imparavano i canti per la festa di Pasqua come “Campane Allelujanti ” che parla della gioia delle campane finalmente libere di suonare dopo i tre giorni della Passione in cui le corde venivano legate, nel periodo di Natale un gruppo di ragazzini, preparati anche nel solfeggio, cantavano a voce spiegata “Beata Nox ” e la “ Notte Santa ”.
E’ passato molto tempo, tanti altri ricordi sono sbiaditi, ma nella memoria sono rimasti vividi i particolari, e l’immagine di quel nugolo di ragazzini entusiasti che cantavano con me: Angelo Visconti (don), Luciano Iacovino, Pasquale Silenzio, Antonio Bruno, Giuseppe De Martino, Giuseppe e Vittorio Morrone, Giuseppe e Vito Senatore, Leonardo Muscariello, Cosimo Concilio, e il più piccolo di tutti Gustavo Cuomo. Alcuni di essi hanno lasciato il nostro paese sono emigrati al Nord e non ho avuto occasione di rivederli, altri, purtroppo, ci hanno lasciato per sempre, ma il ricordo e sempre con noi.
Il compianto preside prof. Pier Donato Lauria, mio paterno amico, con cura ed amore in collaborazione con il “Centro di Studi Storici ebolitani ” diretto dal prof. Antonio Cestaro, storico illuminato, maestro e uomo di grande saggezza e sapere, pubblicò una raccolta di scritti di Felice Cuomo, Pasquale Silenzio per il trentennale della scomparsa; il volume fu editato anche con il contributo del Comune di Eboli, durante ila sindacato dell’amico .
Don Felice, nacque a Eboli nel rione Borgo, nello stabile ristrutturato dopo i danni subiti dal sisma del 1980 ed abitato dalla famiglia Pecillo, notizie ricavate dal cap. V di una sua opera “il Poema della passione ”: …. “Oh la placida mite, solitaria chiesetta dello Spirito Santo, il solatio piccolo oratorio suburbano, che io saluto in tutti i miei canti, in tutte le mie ricordanze, “ la chiesa natia! ” Sorge lungo la strada campestre che dal mio Borgo natale conduce al Ciuffato, casolare sulla strada maestra della provincia ” oppure: “Dal nostro Borgo, dal paese che, di là dal ponte, su la riva opposta del vallone, ci spiega in faccia le sue case abolitane ammucchiate a scaglioni, culminando al vecchio campanile quadrato di San Francesco torreggiante solitario e solenne qual pastore gigantesco su greggia dormente, per la sera stellata di dicembre, giungono voci d’allegria, scoppi di razzi, armonie di zampogne, grida gioiose di fanciulli che s’inseguivano a frotte gavazzando e schiamazzando per le strade ”.
Era nato il 26 novembre 1874 da mastro Tommaso, sarto, e da Beatrice Sabatelli, stiratrice, che non poterono offrirgli un’istruzione maggiore a quella che offriva il paese natio; ma, essendo di buon ingegno ed avendo fame insaziabile di apprendere, divenne un autodidatta e, dopo le scuole primarie, studiò sui libri della biblioteca ebolitana dell’Istituto Educativo fondato nel 1866 dal riformista Canonico don Michele Mauro. L’istituto era ubicato nel palazzo di fronte al Castello, adiacente alla parrocchia di Santa Maria ad Intra, costituito nella prima metà del diciottesimo secolo dall’antica e nobile famiglia ebolitana dei Martucci, in seguito acquistato dalla famiglia Mauro di cui conserva la denominazione ancora oggi.
Dopo alcuni anni Felice Cuomo fu accolto per il suo talento culturale in un collegio salernitano che frequentò fino al 1895. Nel 1896 in onore del padre, deceduto nel 1894, compose il Poema lirico drammatico “Pergolesi”, diviso in cinque Canti con 4718 endecasillabi sciolti. La cultura conservatrice e piena di pregiudizi che dominava in Eboli e Salerno non avevano apprezzato né il Poeta né la sua opera e don Felice riuscì a pubblicare a sue spese presso la Tipografia ebolitana “ F.lli Sparano ” solo nel 1900 il Preludio e il primo Canto del Poema. Per tre anni, dal 1900 al 1903, fu costretto ad emigrare in Francia e, per mantenersi dava lezioni d’italiano e suonava nei bistrot.
Ritornato a Eboli, visse umilmente ed in povertà con la sorella Mariuccia nella casa natia, insegnò nel Seminario Arcivescovile di Salerno, al Liceo Classico di Eboli. Durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento avvenuto il 4 agosto 1943 distrusse la sua casa e andarono perduti i suoi libri e tutti i manoscritti poetici, letterari e musicali: fu il suo perenne ed immenso dolore. Con i proventi dell’insegnamento e le prestazioni da organista-pianista stampava le amate “Parvulae”, che poi dispensava con tanta gioia.
Ho una ventina di originali, altre sono fotocopie degli originali posseduti dall’indimenticato amico prof. Alberto Compagnone e con gli amici della direzione-redazione del Giornale di Eboli per il cinquantenario della morte avvenuto il 10 giugno 2007 le abbiamo date alla stampa pubblicandole.
Ci è sembrato un atto dovuto per far conoscere l’espressione più genuina, e più popolare di un uomo schivo, buono, nato e vissuto in questa terra divenuta patrigna con i suoi figli migliori, infatti, nel secondo volume de “I poeti italiani del Sec. XIX”
Editore, Treves, Milano 1916 si legge: “Artefice mirabile, creatore di rari tesori poetici, il Cuomo sparse intorno con molta modestia, il profumo delizioso di un’arte pura. Poeta fu anche valente compositore di musica. Gli eventi bellici gli distrussero, tra le bombe incendiarie anglo-americane settemila volumi della sua biblioteca letteraria, le duemila, opere, musicali, le suppellettili e tutti i moltecipli manoscritti dei suoi lavori”.
Nel 1902 pubblicò le Odi Mistiche, composte tra il 1896 e 97. Seguirono: Pianti dell’anima (1897), Estasi e lacrime (1897-98), Canti dell’amore (1898), Canti della morte (1899), Storia di un’anima (1899), Ultimo sogno (1900), Armonia dell’infinito (1900), Anniversario (1902), Canti dell’esilio (1901-3), Poesie delle tombe (1902), Voci della solitudine (1904-5), Anima errante (1906), Armonie del Silenzio (1907-9), La zampogna e il presepe (1910), Mia madre (1910-12), Venezia (1912), Lettere a Candida (1912-13), Musiche interiori (1914-15), Sogno di poeta (1915), Il serafino del pianto (1916), Mistica Francia (1917), Il poema della passione (1918-19), infine tante Odi patrie e Canti religiosi, pubblicati nel trentennio 1896-1926 ha tradotto anche in endecasillabi sciolti le Egloghe e le Georgiche di Virgilio ed il teatro di Raciniano, del quale pubblicò tre saggi: Fedra, Ester e I Litiganti.
Bibl.: G. De Crescenzo, Un poeta contemporaneo, nel volume dall’Ombra, Salerno, Covane, 1926; Un illustre poeta salernitano: Felice Cuomo, nel giornale La Forgia di, M. Luisi, Napoli, dic. 1933; Alfonso M. Farina, Un poeta dalla coscienza dignitosa e netta, in vita e pensiero, fasc. III°, marzo 1942; Paolo Vocca, Felice Cuomo nei miei ricordi, Salerno, Boccia, !927.
Massimo,te la ricordi la frasetta che don Felice “inventò” un giorno a tavola per lodare la bontà del riso,che mammà aveva cucinato?
“Questo riso è così ‘chic’ che non bisogna lasciarne neanche un ‘chic’?”Disse proprio così!E noi,dopo il primo momento di stupore,abbiamo…riso tanto!Ciao! Liliana
Ne ho sentito parlare da mio padre. Mi ha detto che era una persona eccezionale. Queste persone dovrebbero far riflettere noi giovani che non abbiamo più riferimenti se non le nostre famiglie chi le ha e riesce avere l’educazione giusta.
Lo ricordo perfettamente Felice Cuomo. Ero bambino e mia madre, portandomi per mano, ogni volta che lo incontravamo mi diceva “SALUTA IL POETA”; ed egli mi regalava una poesia stampata su un foglietto color paglierino della tipografia Sarno. Da allora mi è nato l’amore per la poesia e la cultura in genere e penso per tanti altri ebolitani che lo hanno conosciuto da piccoli. Era una persona modestissima e schiva: poeta e musicista. Eboli dovrebbe essere fiera di aver dato i natali a don Felice Cuomo.
vedo che sul commento non è riportata la frase di mia madre SALUTA IL POETA
Fin da bambino ne sentivo parlare in casa , in giro lo chiamavano ” ‘o stunato”, perche’ si racconta che fosse sempre con la testa fra le nuvole, distratto dalle “visioni” che lui solo sapeva tradurre in poesia . E’ cosa “buona e giusta” che, di tanto in tanto, qualcuno ci riporti alla memoria personaggi di siffatta importanza, che noi ebolitani, spesso e volentieri, dimentichiamo ingiustamente, preferendo accapigliarci, capita anche su questo blog, per questioni ed uomini che spesso non meritano la passione che noi vi profondiamo.
MESSAGGIO AI BLOGGER
Ho ricevuto sulla mia mail, in forma privata, numerosi inviti a regolare meglio i forum su questo blog, l’invito esplicitamente indica in alcuni frequentatori che di tanto in tanto partecipano con post che non sono affatto attinenti le discussioni, e che invece si rivolgono solo ai frequentatori che invece vogliono discutere e partecipare interattivamente alle discussioni sugli articoli proposti.
Ho tentato in tutti i modi intervenendo e oscurando alcune frasi per evitare, quelle che io ritenevo potessero essere offese, e avrebbero fatto scadere il dibattito. Sono intervenuto direttamente su alcuni emi sono sentito appellare come uomo poco democratico. Di tanto in tanto intervengo per alimentare e moderare il dibattito ed in alcuni casi sono stato additato come sponsor di questo o quello.
Prima i post si approvavano in automatico e poi abbiamo regolato l’accesso con la iscrizione, consentendo anche l’anonimato nel Nik perché spesso i potenti non sopportano le critiche e quindi potrebbero tendere alla “rappresaglia”.
Mi viene chiesto con insistenza di ammettere solo quelli che recano le generalità vere dei blogger. Prossimamente cambieremo ancora la veste grafica e in quella circostanza chiederemo la registrazione con nome e cognome, ammettendo anche un nik diverso (per intenderci: bisognerà registrarsi con nome e cognome, ma poi se uno non che appaia, al pubblico apparirà solo il nik).
Molti hanno anche ipotizzato, che alcuni di tanto in tanto appaiono come “guastatori” per disturbare l’azione del blog e intimorire chi interviene.
Sinceramente non credo questo sia verosimile, anche perché il successo di POLITICAdeMENTE, non è legato a chi partecipa, semmai ai contenuti e poi anche al contributo che interattivamente danno, in minima parte, quelli che intervengono.
Tra l’altro solo il 30% dei visitatori viene dall’area ebolitana e della piana del Sele, il resto da Battipaglia, i Picentini, gli Alburni, da Salerno il 25%, dal resto della Regione, dall’Italia e anche dall’estero.
Solo il 35% dei visitatori si collega tutti i giorni, gli altri lo fanno saltuariamente, e la media di permanenza è molto alta (8,54 minuti).
Quindi se qualche visitatore ha questo intento, sappia che contribuisce alla crescita del blog. Nonostante tutto sta avvenendo che qualcuno vorrebbe fare il blog nel blog e questo non posso consentirlo. Qualcuno invece di attenersi alle discussioni si cimenta a “psicanalizzare” tutti coloro i quali intervengono, risultando anche fastidioso.
NON INTENDO PIU’ CONSENTIRE A NESSUNO DI INFASTIDIRE I VISITATORI, I QUALI TRA L’ALTRO NON GRADISCONO, ESSERE APOSTROFATI E TAGLIATI DA GIUDIZI CHE RIGUARDANO LA PERSONALITA’.
QUEGLI INTERVENTI INCOMINCIANO AD ESSERE DI CATTIVO GUSTO.
PERTANTO DA QUESTO MOMENTO IN POI COMMENTI DI QUEL TIPO NON VERRANNO PIU’ APPROVATI, COSI’ COME NON SARANNO APPROVATI QUELLI CHE NON SONO ATTINENTI GLI ARGOMENTI, TRANNE CHE NON SIANO IN DIBATTITO, CHE NO SIANO OFFENSIVI, INGIURIOSI, CALUNNIOSI E QUANT’ALTRO.
La democrazia e la partecipazione non può essere disturbata da chi, sventolandole a loro piacimento, diventa arrogante e limitativo dei diritti altrui.
Per Un Operaio –
Il tuo commento non è in linea con gli argomenti proposti.
La partita continua e continua con le persone che hanno voglia di discutere non di disturbare.
Che dire?
Ho letto,purtroppo, con ritardo il ricordo di Felice Cuomo tracciato con passione da Mariano Pastore. Si vive, sei suoi ricordi, un’aria di ritrovata serenità.
Le atmosfere solari della Eboli uscita dalla guerra quasi del tutto distrutta, ma con una grande speranza nel cuore.
Sono felice di aver contribuito, in occasione del trentennale della morte di Cuomo, alla pubblicazione del volume ‘Felice Cuomo – Poeta e Musico, con Antonio Cestaro e Pier Donato Lauria, in un periodo – a metà degli anno Ottanta – già esule da tantissimi anni dalla ‘mia Eboli’ e che il dolore del terremoto di qualche anno prima mi aveva fatto violentemente riscoprire nella sua bellezza mitica: antica e stuggente, fatta di luci, suoni e ricordi dolcissimi.
Parlare del paese natio, per un esule, può apparire stucchevole come’ volersi abbandonare alla nostalgia del periodo legato alla propria infanzia. Vi posso garantire che non è sempre così, perché vivere in simbiosi con quelle atmosfere di quel determinato e particolare periodo storico, quando, senza ipocrisie, si pensava anche un po’ agli altri, a chi aveva perduto in figli in guerra, o a chi li aveva visti emigrare verso continenti lontani, apriva una breccia nei cuori di coloro che erano rimasti e che cercavano di reagire con dignità al dolore degli altri e alle assurdità della nostra civiltà contemporanea.
Ecco, nel sorriso bonario di Felice Cuomo c’era tutta la grandezza dell’uomo mite, dell’uomo che ama i suoi simili e che vive la sua umana giornata condividendone nell’intimità della sua anima gli strazi e la solitudine.
Solitudine che sta sempre più caratterizzando anche l’esistenza delle nuove generazioni.
Mi auguro soltano che quest’anno, in coincidenza con il 55/mo anniversario della sua morte, ci sia da parte di tutte le isituzioni pubbliche ebolitane un programma tangibile e partecipato affinché venga veramente riscoperta e riproposta la grandezza di un uomo che nella sua mitezza razzhiudeva tutta la forza e l’amore del mondo.
Nell’iniziare, voglio dire una cosa per me importante: amo tanto la poesia che mi dispiace di non aver conosciuto personalmente don Felice Cuomo. Avrei potuto, perché alla sua morte avevo 11 anni. Da alcune persone ho potuto apprendere la finezza del suo vivere e potrei citare a riguardo il maestro Antonio Santimone e, anche se non maestro, il mio carissimo amico Walter Palermo. In verità ho appreso molto di più da Antonio Santimone, forse perché, più adulto, poteva leggere nelle pieghe del tempo trascorso e strarne giudizi più veritieri. Non scendo nei particolari perché credo che molti ne abbiano già parlato, mi soffermo solo sulla “mania” del poeta di lasciare le sue opere a chiunque le richiedesse. E se pure prendeva qualche spicciolo per il suo lavoro, lo faceva per stamparne ancora altre e continuare così, a rendere partecipi più gente possibile del suo incommensurato amore per la poesia. Oggi di lui rimane una scritta che indica un via (quella del mercato ortofrutticolo nei pressi della piazza Borgo) e benché si possa pensare che per la sua grandezza meritava di più, io ritengo che per lui sia il miglior modo di continuare a vivere. Tra la gente, infatti, si sentiva a casa proprio come quando entrava in una chiesa dove avrebbe suonato per il diletto suo e di chi ascoltava.
Avrò forse sbagliato qualche parola o forse no, in ogni caso scusatemi.