Presentazione ufficiale per il riconoscimento del Ciauliello, la minestra ebolitana, Prodotto Agroalimentare Tradizionale.
Tipicità e promozione del territorio ed Eboli si afferma anche a tavola per il buon cibo: Il Ciauliello, antica pietanza ebolitana, si aggiunge ai 552 Prodotti Agroalimentari Tipici italiani (PAT), ed entra a tutti gli effetti tra le pietanze che caratterizzano l’offerta gastronomica nazionale.
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
EBOLI – Con una conferenza stampa, svoltasi presso il Comune di Eboli, questa mattina è stato annunciato l’inserimento nell’elenco dei PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani del Ciauliello. Con il numero 498, la tipica minestra ebolitana che rappresenta un unicum nella tradizione culinaria locale e non solo, in quanto preparata con materia prima rigorosamente essiccata, si aggiunge ai 552 Prodotti Agroalimentari Tipici italiani, diventando a tutti gli effetti una pietanza caratterizzante dell’offerta gastronomica nazionale.
Hanno partecipato all’incontro con la stampa, oltre al sindaco di Eboli Massimo Cariello, quanti insieme all’amministrazione comunale sono stati fautori di un percorso virtuoso che ha portato al raggiungimento di questo importante traguardo: la dottoressa Annamaria Nobile, referente per l’Asl Salerno del C.RI.P.A.T. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza della Ristorazione Pubblica e Collettiva e Produzioni Agroalimentari Tradizionali), la dottoressa Maria Manuela Russo, vicepresidente dell’Ordine dei Tecnologi alimentari Campania-Lazio, Gustavo Sparano e Carmelo Vignes dell’associazione di ristoratori Le Tavole del Borgo, Vincenzo e Vito Bardascino dell’associazione Il Forno di Vincenzo. Pietanza di origini contadine, il Ciauliello racconta da sempre la storia del territorio. Veniva, infatti, consumato dai braccianti nella pausa del lavoro nei campi della Piana del Sele, nell’immancabile “scurzino” di pane cafone. Tramandato di madre in figlia, con il suo sapore “senza tempo”, esso trova posto tutt’ora sulle tavole delle famiglie ebolitane, ma anche nei menù dei ristoranti del centro antico che hanno saputo conservare integra l’identità di una pietanza che, per l’assenza di grassi animali, incontra anche le più attuali tendenze alimentari.
«In qualità di vicepresidente dell’ordine dei tecnologi alimentari Campania – Lazio ho seguito la parte istruttoria della richiesta di inserimento del Ciauliello nei Pat – ha dichiarato la dottoressa Maria Manuela Russo – e ho creduto fin da subito nelle potenzialità di un prodotto che rappresenta in maniera indiscutibile l’essenza dei Pat, in quanto sintesi di storia e di cultura del territorio, oltre che di tipicità gastronomica. Il risultato ottenuto è il frutto di una sinergia che ha visto in campo tanti soggetti diversi, dall’amministrazione, all’Asl, alle associazioni, per il conseguimento di un obiettivo comune».
«Dopo mesi dall’inserimento del Ciauliello tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali, avvenuto lo scorso 13 marzo in piena pandemia, oggi possiamo finalmente celebrare con soddisfazione la fine di un percorso che ha visto l’Asl Salerno ed, in particolare, il CriPat al fianco dell’amministrazione comunale, promotrice della richiesta – ha commentato la dottoressa Anna Maria Nobile -. Il Ciauliello, emblema della dieta mediterranea, come tutti i Pat italiani diventa finalmente espressione del patrimonio non solo culinario ma anche culturale del nostro Paese, famoso in tutto il mondo per le sue eccellenze gastronomiche».
«L’associazione Le Tavole del Borgo ha nel suo oggetto sociale la valorizzazione della tradizione culinaria locale, intesa come veicolo di promozione del territorio e della sua cultura – ha affermato Gustavo Sparano -. In questa ottica, come ristoratori del centro antico ci siamo fatti, nel tempo, promotori, di numerose iniziative. Tra queste l’edizione 2019 de La Notte dello Scorzamauriello, la Ognissanti ebolitana dedicata proprio al Ciauliello e alle tipicità della cucina locale. Oggi la città di Eboli conquista una vera e propria paternità: il Ciauliello diventa figlio non solo della nostra tradizione gastronomica locale ma anche di quella nazionale».
«Con l’inserimento del nostro Ciauliello ebolitano tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali, la nostra città raggiunge un importante risultato, nell’ottica della valorizzazione della tradizione locale quale strumento di promozione territoriale – ha affermato il sindaco di Eboli, Massimo Cariello -. La promozione di un territorio non può prescindere dalla salvaguardia delle tipicità gastronomiche e dei processi produttivi ad essi legate. Con i ristoratori de Le Tavole del Borgo e con la dottoressa Nobile, con il supporto dell’Azienda Agricola Carlo Mirra, abbiamo voluto proprio fare questo: dare valore all’espressione più autentica dell’identità locale. Un valore che, da oggi, travalica i confini geografici della nostra terra e va oltre essa».
Ma cosa sono i “Prodotti Agroalimentari Tradizionali” (PAT)? Come un Piatto che ambisce, per la sua tradizione alimentare di area, a diventare della tradizione e può salire sul “podio” nazionale delle Tipicità? Che caratteristiche deve avere un piatto oltre naturalmente ad usare prodotti del luogo, semmai poveri, ma gustosi? Domande alle quali da una risposta la Dott.ssa Annamaria Nobile, referente per l’Asl Salerno del C.RI.P.A.T. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza della Ristorazione Pubblica e Collettiva e Produzioni Agroalimentari Tradizionali), specie nel “Bel Paese” laddove metro su metro è un “festival” di sapori. Quindi si può immaginare quanto lunga è stata la strada del Ciauliello, strada che la nobile ha percorso e che di seguito prova a condividerla con i lettori.
«Si definiscono “Prodotti Agroalimentari Tradizionali” (PAT) quei prodotti le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo (Rif. DM 8 settembre 1999 n. 350), sul territorio di riferimento secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai 25 anni. – è così che la Dottoressa Nobile inizia il suo “racconto” – La Campania ha sicuramente un patrimonio eno-gastronomico unico per varietà e pregio, giustamente riconosciuto fin dai tempi più antichi: Greci e Romani riconoscevano la superiorità dei vini e la purezza dell’olio di oliva provenienti dalla “Campania Felix“.
Negli ultimi 30 anni nuovi stili alimentari e una distorta percezione “del bello e del buono” da parte della maggioranza dei consumatori, più attenti all’estetica di ciò che mangiavano che ai contenuti, hanno relegato in posizione sempre più marginale risorse ed abitudini alimentari di tradizione millenaria. Anche in agricoltura, la crescita demografica e la ricerca scientifica hanno imposto nuovi modelli produttivi, più attenti alla redditività che alla qualità. – prosegue la referente Asl Salerno del Cripat – Oggi, grazie ad una nuova consapevolezza da parte dei consumatori sull’importanza di una corretta e sana alimentazione, unita ad un rinnovato interesse per le tradizioni della propria terra ed alla maturata attenzione ai temi della sicurezza alimentare e della salvaguardia ambientale, questo patrimonio è tornato alla ribalta.
I prodotti alimentari tradizionali, rimasti nel ricordo e nella cultura di una ristretta cerchia di produttori delle aree più interne, vengono ricercati non più da pochi appassionati fedeli, ma da sempre più numerosi consumatori, che a tale ricerca associano la riscoperta delle tradizioni, della cultura, delle bellezze della nostra terra. – prosegue nel suo racconto la Nobile – Con il D.M. 350/99 il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di concerto con le Regioni, ha attivato gli strumenti necessari a salvaguardare questi alimenti conservandone le metodiche tradizionali di produzione, ricchezza dell’agricoltura e della cultura italiana, assicurando nel contempo ai consumatori le necessarie condizioni di igiene e sicurezza alimentare.
La Ventesima revisione dell’elenco dei PAT è stata pubblicata sulla GU Serie Generale n.42 del 20-02-2020 – Suppl. Ordinario n. 9. La Regione Campania, con 552 prodotti, è la Regione con il maggior numero di prodotti registrati. – precisa la Nobile – Il “Ciauliello” è un piatto della tradizione ebolitana che è diventato un patrimonio culinario della città ed è stato inserito il 16/03/2020 nell’ultimo aggiornamento dei P.A.T. della Regione Campania nella Sezione Preparazioni gastronomiche. E’ un piatto simbolo dell’intelligenza dei nostri genitori che riuscivano attraverso simili preparazioni ad avere verdure estive anche in inverno, in mancanza di frigoriferi.
IL CIAULIELLO
Zona di produzione: Eboli e Piana del Sele, in Provincia di Salerno.
Descrizione: Minestra avente come ingredienti principali pomodori e zucchine essiccate usate tal quali oppure confezionati in vaschette con film di polipropilene e conservati in cella frigorifera a 2-8°C così da essere pronti per la preparazione del Ciauliello durante tutto l’anno. Il sapore è intenso e deciso e la consistenza densa o brodosa a seconda delle consuetudini di preparazione.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, condizionamento, stagionatura
Si parte dall’essiccamento di zucchine e pomodori durante il periodo estivo, poi vengono lavati e tagliati. Secondo la tradizione gli ortaggi venivano essiccati al sole adagiati su caratteristiche cannucce e poi conservati in sacchi di juta o in barattoli di vetro. Attualmente questa operazione avviene in tunnel di aria calda ed il confezionamento in vaschette.
In seguito gli ortaggi vengono rigenerati mediante ammollo in acqua per poi essere cotti in una casseruola dal bordo alto con l’aggiunta di olio EVO, aglio in camicia, concentrato di pomodoro ed olive nere essiccate.
Osservazioni sulla tradizionalità
Il Ciauliello rappresenta un antico piatto della tradizione contadina, corroborante e nutriente, ma allo stesso tempo leggero, perché privo di grassi animali. Un tempo il ciauliello costituiva il pasto da consumare nella pausa lavorativa nei campi. Inoltre la sua consistenza era adatta a tenere ben umido il pane detto, nella Piana del Sele, “scurzino” per via della scorza molto spessa. Nel tempo ha mantenuto le sue caratteristiche peculiari e continua ad essere presente sulle tavole delle famiglie ebolitane, oltre ad essere proposto nei ristoranti più attenti al territorio e alla sua storia.
Nell’Antico Monastero delle Suore Benedettine di Eboli si narra che le Suore producevano nel loro orto frutta e ortaggi e usavano conservare in vario modo le loro produzioni per i periodi invernali e in caso di carestia, oltre alle conserve, miele e confetture, per una maggiore conservazione dei prodotti della terra usavano il sottosale, il sottoaceto e l’essiccamento, in quanto il sott’olio era troppo costoso.
Le Benedettine usavano mangiare i prodotti essiccati come una zuppa con pane raffermo.
I contadini locali impararono presto ad essiccare al sole gli ortaggi che avevano in esubero e a consumarli durante l’inverno nei campi, così di madre in figlia si è tramandato il “Ciauliello”.
E’ tra i piatti tradizionali più antichi della cucina ebolitana. Gli ingredienti di base sono i pomodori secchi e le zucchine. Le zucchine secche utilizzate in questa ricetta sono raccolte “fuori stagione” e devono avere la caratteristica di essere cresciute fuori misura.
LA RICETTA
Nella società agricola “non si buttava via nulla” ed allora tali zucchine venivano private dei semi interni e di tutta quella parte spugnosa che le avvolge ed affettate a mo’ di lunghe spirali, cosparse di sale e stese su delle aste di legno dove venivano lasciate asciugare in un luogo fresco ed asciutto. Quindi si mettevano le zucchine a bollire in acqua per mezz’ora insieme ai pomodori secchi e trascorso questo tempo bisognava lavarle e asciugarle bene. Intanto si metteva a cottura in una padella dell’olio extravergine di oliva, con tre spicchi d’aglio e del peperoncino, lasciando il tutto ad imbiondire a fuoco lento; quindi si aggiungevano i pomodori e le zucchine secche, facendole soffriggere per circa 5 minuti. A questo punto si aggiungeva la conserva di pomodoro ed in seguito la polpa di pomodoro. Infine si aggiungeva dell’acqua, in modo da coprire almeno di due dita le verdure, e si lasciava asciugare il tutto a fiamma viva. Poco prima di completare la cottura si aggiungevano delle olive nere. Il piatto andava servito caldo e con dei crostoni di pane».
Eboli, 8 luglio 2020