Con le riflessioni a “voce ferma” dell’architetto Tony Sinopoli si “riapre il dibattito sul Centro Sorico di Eboli.
Dopo l’incontro del Sindaco Cariello con alcuni residenti, con l’intervento dell’Arch. Sinopoli si apre la discussione: Quello di Eboli è Centro storico o è Centro Antico? Qualsiasi esso sia gli interventi non possono essere di maquillage che devono seguire una attenta analisi ed essere contenuti in un puntuale Documento Progettuale oltre che una fase di ascolto.
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
EBOLI – Dopo le proposte a “bassa voce” avanzate nei giorni scorsi da un gruppo di cittadini residenti nel Centro Storico e consegnate in un apposito incontro al Sindaco di Eboli Massimo Cariello, arrivano le riflessioni a “voce ferma” dell’architetto ebolitano Antonio Sinopoli (Tony nel quotidiano) attraverso le quali, si spera, aprano una discussione più erudita, sulla parte più antica della Città, in maniera critica, ma riflessiva, propositiva, costruttiva, che non può non partire dai luoghi e dal tempo che li ha attraversati evidenziandone luci ed ombre ma affrontando sia con competenza e sia con l’ascolto.
Sebbene le ombre sembrano essere più delle luci e partendo dalla realtà e la condizione in cui oggi versa la parte antica della nostra Città, che ci obbliga ad accettarla, è quanto meno culturalmente onesto ammettere che non potendo tornare indietro si può e si deve poter intervenire nel tempo, ma in fretta, per migliorarlo consapevoli che gli interventi che si dovranno necessariamente fare devono essere contenuti in un documento progettuale, che sia di recupero funzionale ed architettonico, organico a riprendere i percorsi, i colori, le strutture, gli spazi, evidenziando nei contesti quei pochi edifici che ancora conservano le caratteristiche “storiche” e organizzarne i recuperi, ma evitando che questi siano “contaminati” dai pseudo recuperi speculativi o peggio ancora dal persistente abbandono, gli stessi che hanno denaturalizzato, ai tempi del post-sisma la nostra “prima” Città. Allora è solo allora possono essere inserite quelle iniziative già messe in atto e contestualmente ascoltare le richieste dei cittadini per contestualizzarle, l’operazione contraria vanifica ogni sforzo e allontana la risoluzione. Di qui si inserisce l’intervento dell’architetto Antonio (Tony) Sinopoli che già in altre circostanze si è affidato, come tanti suoi colleghi e tante altre persone a POLITICAdeMENTE con la speranza di aprire una discussione.
«Prima di sostenere delle ragioni su quale sia la giusta politica di intervento per un esaustivo recupero di vivibilità di quella parte di città che ad Eboli oggi molti definiscono “centro storico”, credo che sia opportuno fare alcune considerazioni sullo stato effettivo delle cose, e soprattutto capirne la genesi. – scrive Sinopoli – Le città sono l’espressione formale della somma delle esigenze dei propri abitanti, per questa ragione sono da sempre in continua trasformazione. Nessuna città, intesa come macchina funzionale a servizio di una collettività, può restare uguale a se stessa nel tempo senza ridursi in una città-museo (molto raramente), o in una città-fantasma (più facilmente). Per cui una città, anche se caratterizzata dalla storia, non può che essere moderna.
Fino ad una generazione fa la Eboli che abitiamo oggi, quella “fuori la porta” per intenderci, non esisteva se non in un numero esiguo di edifici sparsi in aperta campagna, e tutto il centro abitato era sostanzialmente il suddetto “centro storico” che fu oggetto di un graduale spopolamento dovuto fondamentalmente a tre ragioni:
- sicurezza strutturale: edifici in muratura con solai lignei molto vecchi ed edificati alla buona, senza alcuna verifica statica;
- igienico-sanitarie: abitazioni prive dei servizi igienici, di acqua corrente, con numero di abitanti elevato in spazi molto ristretti;
- moderna vivibilità: la città non era in grado di rispondere alle nuove esigenze degli abitanti: viabilità non adatta ai veicoli a motore, insuperabili barriere architettoniche, edifici senza ascensori, assenza di spazi pubblici adeguatamente dimensionati, scarsa luminosità, assenza di servizi moderni per il cittadino (grandi magazzini, parcheggi, ferrovia lontana…)…
Queste condizioni provocarono un graduale allontanamento dal centro abitato già da fine anni ’50, quando lo Stato con un ingente piano per l’edilizia economica e popolare, edificò centinaia di alloggi per i ceti meno abbienti nelle campagne limitrofe. Processo terminato poi il 23 novembre del 1980, quando un sisma di magnitudo 6,9 rese completamente inabitabile quella che nel linguaggio popolare era già diventata la “Eboli vecchia”.
Lo spopolamento fu quindi una lenta “fuga” di una intera società in rinnovamento, figlia del miracolo economico italiano, verso condizioni ambientali più sane ed una più agiata qualità della vita, e grazie alle caratteristiche geomorfologiche del territorio comunale, Eboli poté espandersi in modo agevole verso la piana, lasciandosi letteralmente alle spalle il peso di vecchie, anguste e scomode pietre, abitate ormai solo da lontani e menzogneri ricordi.
Nel post terremoto si riaccese poi l’interesse alla “Eboli vecchia” in politici, imprenditori dell’edilizia e tecnici, a causa della vasta mole di volumi potenzialmente ricostruibili e finanziabili dai fondi dedicati alle aree colpite dal sisma; cioè per un’occasione irripetibile di movimentazione di denaro, non certo per un ritorno di fiamma sentimentale verso uno stile di vita ormai irrimediabilmente obsoleto.
In effetti, la sciagura del terremoto, poteva, e doveva, trasformarsi in una grande occasione di recupero urbano, l’occasione cioè per restituire agli abitanti una città a misura del proprio tempo, ricostruendo in modo da dare risposte ai contemporanei stili di vita, ripensando al rapporto urbanistico-funzionale tra città nuova/vecchia, rendendole complementari, in un progetto urbano organico, con una particolare attenzione ai vuoti, ai servizi, realizzando così un’unica complessa città stratificata che si presentasse con un nuovo e ricercato linguaggio architettonico, capace di mediare le storiche radici del tessuto urbanistico con la vita dei suoi moderni abitanti. Una sfida ambiziosa e molto complessa che avrebbe dovuto coinvolgere molteplici competenze ed intelligenze, evidentemente fuori dalla portata del tavolo decisionale.
Così, agli inizi degli anni novanta, mentre gli intellettuali locali dibattevano sulla più appropriata definizione tra “centro storico” e “centro antico” da sostituire alla meno nobile “Eboli vecchia”, una nuova classe dirigente si autorizzava un piano di ricostruzione (esattamente quello che gli stessi politici avevano fortemente osteggiato qualche anno prima dai banchi dell’opposizione!) basato naturalmente sulla mera riedificazione dei volumi preesistenti. Dunque non un recupero urbano (condivisibile o meno) ma una ricostruzione edilizia che purtroppo fu sciaguratamente realizzata, dando atto ad una grande operazione di speculazione edilizia “storicisticamente legittimata”, riconsegnando ai cittadini un mega quartiere completamente avulso dalla città nuova, con ancora le stesse barriere architettoniche, edifici funzionalmente vetusti, male illuminati, angusti, scomodi, privi di impianti ascensori… Una ri-edificazione di volumi-fabbricati nel complesso formalmente dozzinali e vecchi ma realizzati con tecniche edilizie ed impiantistiche semi-moderne, imbrattate da mascheramenti di finti materiali ritenuti più graziosamente appropriati allo pseudo contesto “storico”, dove di “storico” ormai era rimasta la sola arte dell’arrangiarsi.
Un imponente intervento miope, che ha sopperito alla prima delle tre ragioni dello spopolamento, molto parzialmente alla seconda, e completamente ignorato la terza; colpevoli mancanze queste che hanno condannato l’intero “centro storico” ad una perenne condizione di semiabbandono.
Queste le ragioni per cui oggi, ogni lodevole sforzo dei piccoli imprenditori della ristorazione, coraggiosamente qui attivi negli ultimi anni, spariscono nel nulla come bicchieri d’acqua versati sulla sabbia del deserto; e solo autocelebrativi possono risultare quegli interventi ostentati periodicamente di effimero ed inappropriato maquillage urbano; e a poco o nulla possono servire le direttive sulla circolazione, o qualsivoglia regolamento alla moda che ci si possa inventare. Il peccato originale della maldestra ricostruzione post sisma resta lì, inesorabile, ad impedire una crescita sociale possibile solo con un coraggioso, complesso, meditato, sistematico e rivoluzionario piano di interventi urbanistico-architettonici, teso a sopperire una volta per tutte alle ataviche mancanze e rendere Eboli, tutta, una città moderna. Ma forse oggi è già troppo tardi».
Eboli, 19 giugno 2020.