Coronavirus: La scelta difficile del medico per il miglior trattamento terapeutico.
Ecco il contributo scientifico della Dott.ssa Amelia Filippelli, Prof. Ordinario di Farmacologia e Tossicologia Clinica Unisa e AOU di Salerno sull’uso di Terapie antinfiammatorie e antipertensive utilizzate per il Covid-19.
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
SALERNO – In un momento così difficile come quello che il nostro Paese sta attraversando a causa dell’epidemia da virus Covid-19, e nonostante tutti gli sforzi che il nostro Servizio Sanitario Nazionale e il mondo Scientifico stanno profondendo, ancora si è lontani da individuare una cura contro il Coronavirus. Studi che potrebbero giungere a scoprire e produrre, come da alcune ricerche in corso in Italia, Germania, Olanda e Cina, ad un vaccino capace di debellare l’epidemia. Nell’attesa, tuttavia si sta facendo il possibile con l’impiego di medicinali già in uso, come è il caso dello studio che sta portando avanti il Professor Paolo Ascierto dell’istituto Pascale di Napoli, il quale utilizzando tocilizumab, un farmaco per la cura dell’artrite reumatoide che blocca l’infiammazione polmonare e attiva il sistema immunitario, agisce sugli effetti che procurano il decesso del paziente e si conferma come una valida cura capace di procurare la guarigione e ridurre notevolmente la mortalità.
Purtroppo, sebbene si è giunti ad una centrale operativa nazionale che coordina processi e decisioni sull’epidemia, regna sovrana la confusione nell’informazione veicolata da TV, Radio, Giornali ed il web poi che fa il resto sparando montagne di fesserie, fino a soverchiare i pareri autorevoli di Medici e Ricercatori, e di volta in volta arrivano addirittura a mettere in discussione anche gli studi scientifici, procurando un danno notevole e rallentando le decisioni. Basta penare che l’AIFA solo dopo una settimana ha dato l’ok alla sperimentazione su 300 pazienti in tutta Italia che a partire da oggi metteranno in atto il protocollo sperimentato da Ascierto: La cosìddetta “Cura Napoli“. E oltre questa notizia buona se ne aggiunge un’altra da questa mattina saranno disponibili a tempo di record, come ha annunciato il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, all‘Ospedale Loreto Mare 70 posti letto di cui 10 di terapia intensiva, 20 di sub intensiva e 40 di degenza oltre all’apertura dell’Ospedale di Boscoreale, nuovo di zecca.
Sulla base di queste premesse e per dare un contributo alla discussione tutta scientifica, e offrire risposte qualificate sulle terapia e i relativi effetti di alcuni farmaci utilizzati per combattere il Covid-19, POLITICAdeMENTE ha chiesto alla Dott.ssa Amelia Filippelli, Prof. Ordinario di Farmacologia e Tossicologia Clinica, Direttore della Scuola di Specializzazione in Farmacologia Clinica dell’Università degli Studi di Salerno, Direttore Unità Operativa Complessa (CUO) di Farmacologia Clinica dell’azienda Ospedaliera Universitaria (AOU) San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, un contributo scientifico, che puntualmente ci è stato concesso e qui di seguito si pubblica integralmente, al quale hanno collaborato gli specializzandi in Farmacologia Clinica: Nicola Bertini, Francesca Colucci, Simone Esposito, Valentina Giudice, Antonio Iuliano, Valentina Manzo.
«In mancanza di una terapia antivirale specifica diretta contro il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, i Medici ricorrono ai farmaci più svariati, dal tradizionale antimalarico al rivoluzionario anticorpo monoclonale contro la proteina “spike”. Ad oggi, le uniche misure efficaci restano quelle emanate dal Governo riguardanti la prevenzione del contagio, in attesa di un vaccino efficace.
Il SARS-CoV-2, responsabile della malattia respiratoria acuta ora denominata COVID-19 (CoronaVirus Disease 19), è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo, prima di essere segnalato a Wuhan, Cina, nel dicembre 2019. Le persone infettate dal virus possono manifestare pochi o nessun sintomo, mentre alcuni si ammalano gravemente e muoiono per una grave forma di polmonite. La terapia prevede nei casi lievi il solo trattamento dei sintomi. Nei casi più gravi, invece si fa ricorso, purtroppo, a terapie “empiriche”. Infatti, fin dalle prime fasi di questa emergenza, i medici hanno fatto ricorso a molecole studiate e già in commercio per altre indicazioni ma per le quali vi erano evidenze scientifiche che suggerivano una possibile attività contro il SARS-CoV-2.
Quali farmaci? Le prime terapie ad essere adottate e quelle ritenute più promettenti dalla comunità scientifica comprendono: la combinazione lopinavir/ritonavir, già in commercio e utilizzata per il trattamento dell’HIV; la clorochina e l’idrossiclorochina, farmaci utilizzati rispettivamente per la malaria e per l’artrite reumatoide; e il remdesivir, un farmaco antivirale sperimentale studiato in precedenza per il trattamento dell’infezione da virus Ebola. La combinazione lopinavir/ritonavir, usata con successo anche contro la SARS, si è dimostrata efficace contro l’infezione da coronavirus ed è stata inserita nella lista dei medicinali essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Sempre dalla Cina sono arrivati i primi risultati dell’utilizzo della clorochina, un farmaco antimalarico, che ha portato ad un netto miglioramento della sintomatologia e una riduzione del periodo di degenza su un totale di 100 pazienti studiati. Inoltre, è stata proposta anche la combinazione di darunavir/cobicistat o darunavir/ritonavir, farmaci ampiamente utilizzati, con successo, contro l’HIV.
Tuttavia, tra i farmaci più promettenti, secondo l’OMS, spicca il remdesivir, un farmaco antivirale studiato per la SARS e sviluppato per Ebola ma non ancora commercializzato. Questo farmaco è stato utilizzato all’ospedale “Spallanzani” di Roma per curare la coppia di turisti cinesi positivi al virus. Il farmaco oggi è stato consegnato, secondo la procedura dell’uso compassionevole, anche a numerosi ospedali del nostro Paese. I risultati sembrano incoraggianti e l’auspicio è che questo antivirale possa rappresentare una alternativa efficace per il trattamento della COVID-19.
Infine, il tocilizumab, farmaco per la cura dell’artrite reumatoide che blocca l’azione di una citochina, l’interleuchina 6, che fa partire l’infiammazione e che attiva il sistema immunitario. Ad oggi, non esistono studi clinici che dimostrano l’efficacia diretta del tocilizumab sul coronavirus. La sua utilità consisterebbe nel ridurre le conseguenze dell’infezione, ovvero “spegnendo” l’infiammazione e prevenendo il peggioramento delle polmoniti fino all’insufficienza di altri organi, quali cuore e reni, e quindi la morte. Dapprima in Cina, e successivamente nel nostro Paese, il tocilizumab è stato utilizzato nei pazienti in terapia intensiva con polmonite interstiziale e sin da subito ha mostrato incoraggianti risultati clinici. Ciononostante, tali risultati devono essere validati in studi multicentrici su larga scala poiché, purtroppo, la poca conoscenza del virus e l’assenza di grandi numeri non permettono di dimostrare l’efficacia di questo farmaco per il trattamento della COVID-19. Sicuramente il tocilizumab, pur non curando la malattia, contribuisce a migliorare la ripresa del polmone e ciò potrebbe giovare ai pazienti che purtroppo sempre più numerosi affollano le terapie intensive. Alla luce di ciò, però, l’AIFA ci invita alla prudenza. La reale efficacia di queste terapie deve essere pienamente validata prima di poter approvare il loro utilizzo su ampia scala. A giorni è previsto l’autorizzazione di uno studio osservazionale prospettico nazionale che ci aiuterà a rispondere a qusto quesito.
Altri farmaci antivirali utilizzati a livello mondiale in corso di studi sono: baloxavir marboxil, oseltamivir, umifenovir, favilavir e galidesivir, i cui risultati saranno presumibilmente disponibili nel mese di maggio.
Di poche ore fa è la notizia di un “promettente” farmaco biologico efficace contro il nuovo coronavirus. Un gruppo dell’Università olandese di Utrecht ha pubblicato sul sito BioRxiv una ricerca che dimostrerebbe la validità di un anticorpo monoclonale, specializzato nel riconoscere la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane. Legandosi alla proteina “spike”, che si trova sulla superficie del coronavirus Sars-CoV-2, l’anticorpo monoclonale le impedisce di agganciare le cellule e in questo modo rende impossibile al virus di penetrare al loro interno per replicarsi. Per questo motivo i ricercatori sono convinti che l’anticorpo ha delle potenzialità importanti “per il trattamento e la prevenzione della Covid-19“.
Ma il Sars-CoV-2 non dà pensieri a medici e persone solo per la mancanza di trattamenti specifici, ma anche per un aumentato rischio di mortalità in soggetti affetti da ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica e diabete mellito1.
Inoltre, alcuni studi (come quello pubblicato sulla rivista Nature Reviews Cardiology) hanno dato il via a un dibattito in merito ai potenziali rischi/benefici associati ai farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina, in quanto l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) sembrerebbe rivestire un ruolo chiave nell’ingresso di SARS-CoV-2 nelle cellule polmonari.
Ma qual è il legame con gli ACE-inibitori/sartani? Studi in vitro hanno evidenziato che sia l’ACE-inibitore lisinopril che il sartano losartan possono aumentare significativamente l’espressione dell’ACE2 cardiaco. Da altri studi, tuttavia, è emersa una posizione opposta. Sembra, infatti, che la proteina virale può ridurre l’espressione di questo enzima ed indurre il danno polmonare. Dunque, paradossalmente, il trattamento cronico soprattutto con sartani potrebbe proteggere i pazienti affetti da SARS-CoV-2 da conseguenze polmonari gravi, piuttosto che rappresentare un rischio per essi.
Switch da e verso ACE- inibitori/sartani: si o no? Tutto questo fiorire di ricerche ci fa capire che è lontanissima una certezza su questo argomento e che noi cittadini affetti da ipertensione, cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco dobbiamo assolutamente continuare a fare la terapia che il nostro medico ci ha consigliato.
Anche la SIF, Società Italiana di Farmacologia, è intervenuta con chiarezza su questo punto, concludendo: “In attesa che nell’immediato futuro nuove evidenze scientifiche siano pubblicate appare opportuno ricordare che eventuali switch tra differenti classi di anti-ipertensivi, che sono terapie efficaci e consolidate nella prevenzione e trattamento di malattie croniche quali ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, diabete e insufficienza renale, fatti allo stato attuale solo sulla base di ipotesi molecolari, verificate solo in vitro, espone una popolazione di pazienti estremamente fragili ad un potenziale aumento di rischio di eventi avversi cardiovascolari quali ipertensione non controllata/ipotensione sintomatica e potenzialmente anche di aggravamento delle condizioni croniche sopra menzionate.”
In tale ottica, appare altresì indispensabile la conduzione di studi farmacoepidemiologici e studi sperimentali clinici per gettare delle solide basi scientifiche che possano risultare dirimenti.
Esemplificativo è il caso della Chongqing Medical University, che sta attualmente conducendo uno studio osservazionale retrospettivo che si propone di valutare le differenze cliniche tra i pazienti adulti ipertesi affetti da COVID-19 trattati con ACE- inibitori e pazienti non trattati con ACE-inibitori (clinicaltrials.gov, NCT04272710)».
Salerno, 18 marzo 2020