Le secessione “dolce” dei leghisti si realizza con il federalismo fiscale.
Clamoroso silenzio sulla questione meridionale. Si è persa ogni speranza di rilancio.
di Erasmo Venosi
ROMA – Nel luglio del 2007 la Commissione Europea adotta il Quadro Strategico Nazionale (QSN) approvato dal Governo italiano nel gennaio 2006. Nel dicembre 2009 la UE ha approva provvedimenti per combattere i cambiamenti climatici , migliorare la sicurezza e la competitività energetica dei paesi membri.
Il Mezzogiorno d’Italia aveva a disposizione finanziamenti di sviluppo di medio e lungo termine paria 100 miliardi di euro, dei quali 23 mld da fondi strutturali europei (Fondo europeo per lo Sviluppo Regionale e Fondi di Coesione) a cui si aggiungevano 23 mld di cofinanziamento nazionale e 54 da fondi per le aree sottoutilizzate (FAS). Il QSN si concentra su 4 grandi macro obiettivi e 10 priorità tematiche. In primis promozione, valorizzazione e diffusione della ricerca e dell’innovazione per la competitività (priorità 2) e l’uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali per lo sviluppo, che punta sull’energia rinnovabile e sul risparmio energetico (priorità 3) .
La priorità 2 assorbe 14 mld di euro delle risorse e ha molta importanza, considerando il ruolo della ricerca per lo sviluppo delle tecnologie energetiche innovative. La priorità 3 assorbe 16 mld di euro . Gli strumenti con cui il QSN persegue i propri obiettivi sono i Programmi operativi che sono di 4 tipi: programmi operativi regionali (POR), programmi operativi nazionali (PON), programmi operativi interregionali (POIN) e programmi operativi di cooperazione territoriale.
Nelle Regioni che rientrano nell’”obiettivo convergenza” , Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, gli obiettivi del QSN saranno attuati , oltre che con i POR anche con i PON. Nel settembre 2007 il Governo italiano ha presentato il Position Paper “Energia: temi e sfide per l’Europa e l’Italia” , che fornisce la quantificazione di riferimento del potenziale sviluppo delle rinnovabili nel nostro Paese.
Relativamente alla produzione di energia elettrica da rinnovabili si stima in un incremento di potenza di circa 30 milioni di Kw. Nel luglio 2009 lo Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) ha presentato il suo Rapporto sull’economia e sulla società del Mezzogiorno.Il 15 agosto del 2009 il più importanet settimanale di economia del mondo, l’Economist, riportò una inchiesta sul sud scrivendo,tra l’altro “….mezzogiorno d’Italia dove si è persa ogni speranza di rilancio e la metà degli abitanti sono disoccupati”.
Anche la Conferenza dei Vescovi ha sottolineato “il clamoroso silenzio” sulla questione meridionale. I dati sono inquietanti: il deficit energetico precondizione di qualsiasi sviluppo (la Campania ha importato il 60% di energia elettrica , la Basilicata il 51% e la Sicilia il 50%. La Puglia è in surplus di produzione), nell’industria 44 occupati ogni 1000 abitanti a fronte di 118 nel resto del paese, un capacità innovativa misurata dal numero di brevetti pari a 11 per milione di abitanti rispetto ai 134 del nord est e a 131 del nord ovest,deficit strutturale nelle reti di distribuzione e trasmissione elettrica (63% valore italiano), 71%indice dotazione infrastrutturale afferente autostrade, ferrovie, porti e aeroporti.
Il PIL procapite del Mezzogiorno è inferiore di 13.000 euro a quello del centro-nord e con una partecipazione al PIL nazionale pari per il 23,8% nel 2008 e al 23,9% nel 1951. In 60 anni nulla è cambiato, eppure il Sud tra il 1951 e il 1973 è cresciuto a due cifre! Una grande opportunità di rilancio è data dagli impegni assunti in sede UE e relativi al cosiddetto pacchetto “energia-clima“. Il rispetto al 2020 dei target comunitari con connessa possibilità di attivare una filiera industriale italiana ,rappresentano forse ultima opportunità di rilancio del Sud.
Il Quadro Strategico Nazionale e 50 milardi di incentivi riconosciuti alla produzione di energia da fonti rinnovabili, possono riaccendere le speranze e l’ottimismo sul futuro.Il Governo invece non solo ha deciso che le opere strategiche al Sud (ex legge obiettivo) siano pari al 29% del totale ma ha anche utilizzato almeno 16 milardi dei FAS per finalità diverse.Un grande aiuto gli è stato concesso dalla ineccettabile inadeguatezza delle burocrazie regionali! Le risultanze della ex post evaluation delle politiche di coesione relative ai programmi comunitari 2000-06 (Commissione europea, 2007), evidenziano che le regioni del Mezzogiorno sono le uniche in Europa ad aver mostrato una efficacia quantitativa nella realizzazione dei Piani operativi (misurata appunto dalla quantità di risorse spese) inferiore rispetto ad altri territori del paese che, pur non presentando gravi ritardi di sviluppo, erano comunque destinatari di fondi strutturali : la capacità di spesa delle regioni italiane centro-settentrionali ha infatti superato di ben 12 punti quella delle regioni meridionali , mentre altrove tale differenza è mediamente nulla.
Considerato che l’efficacia nell’utilizzo dei fondi comunitari è in larga misura dipendente dalla qualità della programmazione regionale, troviamo qui un ulteriore conferma di un divario territoriale di efficienza delle Amministrazioni pubbliche locali presente nel nostro paese in misura non riscontrabile altrove. Ultima scelta indirettamente antisudista è rappresentata dalla mozione approvata la scorsa settimana dalla maggioranza che impegna il Governo a chiedere a Bruxelles di far dichiarare decaduto l’Accordo sul pacchetto “energia-clima”. Plauso invece all’intervento congiunto dei governi italiano e francese per la richiesta di misure di contrasto sul dumping ambientale.
Le secessione “dolce” dei leghisti si realizza con il federalismo fiscale e intervenendo sul pacchetto della UE , stornando i FAS su Expo milanese e l sulla linea a.v. Milano-Genova, stabilendo le priorità delle infrastrutture strategiche in chiave “nordista” e l’Allegato Infrastrutture al DPEF, il Documento di programmazione economica e finanziaria , relativo agli anni 2010-2013 ne è incontrovertibile prova.
Erasmo Venosi
Il federalismo “fiscale” viene da considerarlo un novello cavallo di Troia per ottenere nei fatti la secessione agognata dal carroccio, e surrettiziamente,viene da dirlo, dai suoi remissivi alleati,uno fra tutti G. Tremonti,un leghista “in pectore” prestato al PDL. Un Welfare, per esempio così definito, mi riferisco all’attuale, si ritiene possa essere garantito dalla riforma sul federalismo fiscale: ma si tratta di una grande panzana o uno strumento amministrativo utile per il progresso del Paese? LE PRINCIPALI NOVITÀ :Una delle prime novità è la perequazione infrastrutturale, il cui scopo non è conferire maggiore funzionalità ed oggettività ai finanziamenti, impedendo la dispersione dei fondi europei, ma garantire l’equità e il riequilibrio tra il Mezzogiorno e le altre regioni italiane: questo consentirà ai cittadini e alle imprese del Sud di avere pari condizioni di produzione e di trasporto. L’autonomia di entrata e di spesa per le Regioni implica la razionale distribuzione dei tributi, mediante il finanziamento integrale di tutte le funzioni pubbliche, la leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, il passaggio a costi standard per le funzioni fondamentali, l’armonizzazione di tutti i bilanci pubblici. Secondo quanto assicurato, le spese dei livelli essenziali della Regione (sanità, istruzione, assistenza sociale e trasporto pubblico) saranno colmate dallo Stato secondo i costi standard (le spese superiori ai costi standard dovranno essere coperte dalla Regione), mentre i livelli nonessenziali cadranno sui bilanci regionali. In realtà, la questione è più sottile: il finanziamento integrale a costi standard dei livelli essenziali dovrà essere garantito dalla Regione, che potrà contare su Irap, tributi regionali, riserva di aliquota o addizionale sull’Irpef e compartecipazione regionale all’Iva, mentre per le spese superiori interverrà il fondo perequativo. Le Provincie ed i Comuni potranno includere le imposizioni legate al trasporto su gomma, la compartecipazione al tributo erariale, le tasse di scopo, la tassazione immobiliare (esclusa l’Ici) e la compartecipazione all’Irpef e all’Iva. Altre novità, sono il patto di convergenza, che provvederà alla riduzione del gap tra le regioni più sviluppate e quello meno avanzate nel giro di 5 anni; premi (quote di tributi erariali) per le amministrazioni virtuose e sanzioni (l’ineleggibilità) per quelle meno virtuose; clausole di salvaguardia, ovvero un tetto massimo per la pressione fiscale, assicurando che il livello del prelievo non aumenti nella fase transitoria. MENO TASSE E PIÙ SERVIZI O ASIMMETRIE E AUMENTO DELLE SPESE?SEGUITANDO: ecco quindi che la Lega, con l’ammaliante parabola del federalismo, rivendica pervicacemente la più gretta territorializzazione delle risorse fiscali, con un meccanismo perfidamente fatto proprio dalle nuove classi dirigenti dei partiti sia del Nord che, inopinatamente, provenienti dal Sud del Paese. Il processo di forzata settentrionalizzazione ha così finito per estromettere dall’agenda politica il Mezzogiorno, riuscendo ad imporre la perversa e fuorviante equivalenza: politiche per il Sud uguale assistenzialismo. Colpevole omissione dei politici meridionali, in questo quadro, è stata proprio quella di non imporre concrete politiche di riequilibrio territoriale, ossia pretendere che le politiche attive di riequilibrio dal centro si orientino verso le nostre regioni in termini di infrastrutture, scuola, università e ricerca al fine di assicurare posizioni paritarie sui blocchi di partenza. Diventa indispensabile perciò rivitalizzare i principi fondamentali della solidarietà, dell’eguaglianza e dell’unità nazionale, per eludere il rischio di creare una fortissima disparità fra Nord e Sud, anche perchè, trattandosi di un percorso istituzionale guidato con cipiglio quasi dittatoriale da un movimento localistico e con fini manifestamente egoistici, c’è poco da aver fede in una visione omogenea e più rispettosa dell’identità nazionale Il nuovo fisco territoriale potrebbe direttamente danneggiare e far collassare innanzitutto gli enti territoriali del Sud, in quanto la maggiore autonomia finanziaria proposta da chi si arricchisce da tempo con la manodopera del Mezzogiorno sarà difficilmente sostenibile dalle amministrazioni locali.In ultima analisi…ci stiamo segando il ramo su cui siamo assisi!
SIAMO SCHIAVI DEL PIL, MA E’ LOGICO ED ETICO UN TALE SIGNORAGGIO? LA DECRESCITA IL NUOVO CHE AVANZA PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE!La decrescita come soluzione alla crisi
Serge Latouche, considerato oggi il padre virtuale della decrescita, ha aperto queste giornate di confronti con un’analisi dell’attuale crisi “economica”.
Il crollo della civiltà occidentale, ha ammonito, si sta attuando davanti ai nostri occhi e sarà compiuto nei prossimi quarant’anni. La comunicazione di massa ha definito questa crisi una crisi finanziaria e, precipuamente, americana; invece la sua dimensione è globale, e riguarda questa società della crescita nel suo complesso. La crisi culturale dei nostri valori è cominciata nel 1972, in seguito è diventata crisi ecologica; dal 1986, con l’insediamento del governo Thatcher, si è evoluta in crisi sociale. Oggi tutte queste crisi si mescolano, si assommano: la crisi attuale è una crisi antropologica, di civiltà. Gli economisti puri sono inattuali e inadeguati a risolvere i problemi di questa società globale e complessa, è necessario, come afferma anche Fritjof Capra nel volume “Il Punto di Svolta”, una nuova teoria che implicherà un approccio sistemico, il quale integrerà biologia, psicologia, filosofia, politica e varie altre branche della conoscenza umana, assieme all’economia, in un’ampia cornice ecologica.
La crescita e lo sviluppo derivano dalla teoria evoluzionista e dalla biologia: la natura cresce e, a un certo punto, appassisce e muore. Questo meccanismo complesso è stato interpretato, in modo riduttivo, dalla visione meccanicista cartesiana e applicato alla crescita economica da parte degli economisti puri, i quali hanno dimenticato di chiedersi: crescita fino a che punto? Di che tipo? Fino a quando?
Si è diffusa la convinzione, continua Latouche, che la felicità potesse coincidere con il benessere materiale, con la quantità dei beni materiali, delle merci e dei prodotti posseduti e consumati, con la crescita del prodotto interno lordo (PIL): ma crescita di che cosa? La crescita, imposta dal mercato e dal profitto, non distingue cosa, è quantitativa, non discerne e non conosce l’etica e la responsabilità, l’utilità per tutti: la cultura della crescita si manifesta oggi per ciò che è realmente, un’enorme bolla speculativa.
Nel ‘700 e ‘800 il mondo occidentale ha sognato la crescita, ne ha fatto un nuovo idolo con Adam Smith che nel libro “La ricchezza delle nazioni”, il primo trattato di grandi proporzioni sull’economia, scritto in un momento di transizione da un’economia agricola e artigianale ad un’altra dominata dall’energia a vapore e dal lavoro di macchine in grandi fabbriche. Quale economista classico, Adam Smith non era uno specialista, ma un pensatore. Egli cominciò, secondo Capra, a investigare in che modo la ricchezza di una nazione si accresca e venga distribuita: il tema fondamentale dell’economia moderna.Gandhi ci ha così ammonito: “Il pianeta è abbastanza grande per soddisfare i bisogni di tutti, ma non è abbastanza grande per soddisfare i desideri di alcuni”.
Economia della decrescita
Il contributo di Mauro Bonaiuti parte da un’analisi dell’attuale crisi sociale, la quale ha prodotto: desertificazione dei legami sociali, solitudine, disagio, insicurezza, precarietà del lavoro. Queste conseguenze dannose possono essere accomunate all’interno della cornice della crescita e dell’economia di mercato e possono condurre a un collasso relativamente veloce rispetto ai tempi lunghi della storia. Il contributo più convincente a questa “teoria del collasso” è di un economista americano, Joseph Tainter; il quale ipotizza, all’accrescersi della complessità della società e delle istituzioni, un’inversione di tendenza al di là di una certa soglia, oltre la quale i benefici che queste ultime producono decrescono, mentre i costi sociali e ambientali crescono in maniera esponenziale: perciò tutto ciò che diventa eccessivamente grande è senza dubbio negativo e dannoso.
Il PIL funziona esattamente con la medesima logica: la crescita materiale aumenta anche in condizioni di degrado sociale, economico e ambientale, la macchina economica quindi funziona e si accresce proprio grazie ai problemi che essa stessa genera. In tale situazione è necessaria una fase di transizione, verso una semplificazione di queste mega-macchine che, continuando a crescere, aggraveranno i problemi attuali.
In tale ragionamento è fondamentale la questione della “scala”. Tutti gli economisti classici hanno sempre ritenuto che “più fosse meglio”, assecondando una scienza economica dove “ciò che conta non si conta”. Bonaiuti ritiene che un ripensamento di un progetto di economia su un territorio debba tenere conto del problema della “scala”. A tal proposito prevalgono due logiche contrapposte: da una parte si realizzano piani, progetti e interventi a grande scala che sono del tutto insostenibili e provocano più danni che benefici; d’altra parte nascono e proliferano piccole esperienze alternative di progetti e azioni locali, che pur all’interno di una coerenza ecologica, sociale e virtuosa, rimangono confinati in nicchie poco significative. Una “rete di economia solidale” deve pensare a come contestualizzare una rete alternativa al nostro territorio, deve apprendere a progettare con creatività; altrimenti si rischia che le soluzioni alternative prospettate dalla Decrescita restino confinate in una sfera utopica.Il non finito e il rifiuto, a un’osservazione attenta, contraddistinguono ormai ogni spazio abitato e, anche luoghi apparentemente incontaminati. Lungo i margini delle strade e delle scarpate, che percorriamo quotidianamente, si susseguono distese di rifiuti e discariche di merci e oggetti di ogni tipo, spesso inquinanti e pericolosi, ingombranti e non degradabili in tempi brevi: nei centri abitati, lungo versanti di colline e monti, così come lungo litorali e distese di campi agricoli. Il paesaggio viene stravolto da strutture intelaiate, capannoni, depositi, scatole di cemento palesemente abusivi, quasi sempre non finiti e a volte abbandonati: l’incuria del territorio e del paesaggio manifestano una società che tratta ogni cosa come merce da produrre, consumare e buttar via come rifiuto, anche se stessa.Una gestione corretta dei rifiuti
Roberto Pirani, esperto in gestione e riduzione dei rifiuti, propone una strategia sostenibile di gestione del ciclo dei rifiuti che, prima di una raccolta differenziata spinta, preveda sistemi di riduzione e riutilizzo dei materiali e dell’umido, attraverso l’attuazione di percorsi di sensibilizzazione, informazione e partecipazione dei cittadini, assicurando un elevato risparmio di risorse finanziarie e un incremento dell’occupazione. Tale pratica virtuosa si connette a quella del risparmio energetico, inteso prima di tutto come progettazione di materiali e di oggetti completamente riutilizzabili e riciclabili, di abitazioni costruite secondo criteri ecologici di elevata inerzia termica e acustica. E’ possibile così parlare di Negawatt invece che di Megawatt, evitando la truffa del nucleare e il rischio di inceneritori, inefficienti e pericolosi. In tale direzione, l’ordine dei medici francesi ha chiesto a viva voce al governo di proibire la costruzione di nuovi inceneritori e di vietare il funzionamento di quelli esistenti, perché altamente pericolosi per la salute umana. processi di apprendimento e di cambiamento sono faticosi e non esistono formule magiche e semplificate, come qualcuno in questi giorni ha tentato di ipotizzare. Ciò che serve, per generare quella mutazione antropologica invocata da Pasolini fin dagli anni ’70, è sviluppare una più generale competenza, che Edgar Morin identifica nel “conoscere cos’è la conoscenza” o nell’ “imparare ad apprendere”; e questo può attuarsi solo attraverso percorsi continui e faticosi di condivisione di linguaggi comuni – perché i termini non hanno lo stesso significato per tutti -, di costruzione e risoluzione dei problemi, di costruzione e ricostruzione di senso, di un governo dell’incertezza e della complessità del mondo, in quella che Baumann chiama “una società liquida”, e di una capacità di attuare azioni individuali e collettive di cambiamento, che siano esse stesse segno che un altro mondo è ancora possibile., forse sarà bene o forse no,verso una nuova “Internazionale della Decrescita.” E questo mi sembra un primo passo verso scelte diverse. UN NUOVO MONDO…DIPENDE DA NOI!