Un contributo per la Città
EBOLI – Riceviamo e volentieri pubblichiamo le considerazioni di Vincenzo Marsilia, sull’assetto urbanistico della Città di Eboli.
Vincenzo Marsilia è Architetto, è stato ed è animatore politico, culturale e attraverso la sua professione interprete dell’Architettura, dell’Urbanistica e dell’arte dell’immagine. Come tale non poteva non dare il suo contributo, “garbato” ma intenso, storicizzando il contesto urbanistico di Eboli, con le sue zone d’ombra e le sue luci. Le sue riflessioni sono un vero e proprio saggio che va sicuramente preso in considerazione, non tanto per le risposte che pure accenna, ma che correttamente, lo fa marginalmente, lasciando alla politica gli indirizzi e agli eventuali studi le definizioni, ma accenna suggerimenti che a dir poco andrebbero presi seriamente in considerazione.
Marsilia, analizza i contesti urbanistici storici e le ricadute che questi hanno avuto nel corso dei tempi. Individua in alcune scelte i “limiti” che sono stati il “Padre” e la “Madre” di tutti i problemi della nostra Città. Indica, una per tutte, nella trasversalizzazione delle maggiori arterie (Ferrovia, Statale 19 delle Calabrie, Tangenziale, ed aggiungo l’Autostrada), che hanno impedito “l’adagiarsi” naturale della Città sul suo territorio. Analizza anche il “saccheggio” tipico degli anni ’50 e ’60, come del resto è avvenuto in tutta Italia, ma che unitamente a quelle barriere ” trasversalmente costruite”, hanno indirizzato disordinatamente quel costruito che noi tutti “bocciamo”, nella direzione speculativa ma non in quella della prospettiva, del futuro, tagliando di fatto fuori dalla Piana, la nostra Città che invece per posizione e per ruolo meritava ben altro che il declino, politico, economico, urbanistico.
In ogni caso, l’analisi di Marsila è puntuale ma non ha la presunzione di ergersi a tesi dominante, infatti la offre in punta di piedi e a voce bassa per dare un contributo disinteressato come intellettuale di questa Città.
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Premessa
Il piccolo testo che segue è frutto delle riflessioni che sono andato svolgendo negli ultimi anni, ma che attingono a un deposito più ricco, alimentato per qualche decennio dall’attenzione, mai venuta meno, alle trasformazioni della città in cui vivo. Sono stati cambiamenti – sarebbe fuori luogo definirli virtuosi – che hanno modificato in profondità una struttura urbana, ancora negli anni ’50 dello scorso secolo saldamente connessa.
Ora Eboli sembra essersi fermata – quasi esausta dopo una lunghissima corsa – e attende di capire in che modo e in quale direzione potrà riprendere a muoversi. Quando questo libretto arriverà fra le mani dei destinatari, fra cui vi è il nuovo gruppo dirigente della città, ne sapremo – questo almeno speriamo – qualcosa di più. Per intanto lascio al giudizio di amici, esponenti della politica e della cultura, pubblicisti e “autorità costituite”, un “livre de poche” che forse varrà a suscitare, a sua volta, qualche riflessione.
In queste pagine non si parlerà del Centro storico, ormai definitivamente privato dell’aura che, pur nella desolazione, appariva ancora visibile prima del terremoto. Egualmente non si farà cenno alle contrade”esterne”, non perché se ne disconosca il ruolo e l’importanza per la città, ma per la semplice ragione che lo scrivente, frequentandole solo in rare occasioni, non avrebbe molto di che scriverne.
Eboli, 28 marzo 2010 Vincenzo Marsilia
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1 – La forma della città e il suo volto attuale
“Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere” (1)
Così esordisce Italo Calvino in un articolo scritto nel 1975, dove l’autore de “Le città invisibili” appunta uno sguardo di singolare acutezza sulla città visibile, sul concreto ambiente di vita del nostro tempo.
Per Eboli non è difficile cogliere nelle grandi linee la forma della città: basta una pianta redatta a una scala adeguata o una buona foto aerea, ma serve bene anche la veduta satellitare di Google map che purtroppo nasconde con un inopportuno – o forse pietoso – velo di nubi un ampio settore del centro urbano. Vorremmo invece che tutte le zone, specie quelle di edificazione più recente, fossero ben visibili per poterle scrutare con ogni attenzione, ma anche con una certo distacco, come se le riprendessimo con una cinepresa. Se poi andassimo a “srotolare” il film di questo ideale percorso – che si svolge oltre il perimetro del centro antico e della prima espansione edilizia – e provassimo a guardare la città scartando, come suggerisce Calvino “tutto ciò che impedisce di vederla” ritroveremmo praticamente ovunque lo stesso scenario: uno spazio urbano privo di qualità, il frutto insipido di una cultura progettuale povera e approssimativa.
Ma riguardo a Eboli, piuttosto che puntare lo sguardo sui guasti del sistema urbano, su cui avremo modo di tornare nel seguito, è forse più opportuno riprendere la traccia del nostro scrittore: “…Poi occorre saper semplificare, ridurre all’osso l’enorme numero di elementi che a ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma di una macchina, dal quale si possa capire come funziona.” (2)
Cerchiamo quindi di estrapolare dal nostro discorso il dato, pur importante, dello scadente contesto urbano e concentriamo il nostro sguardo su alcuni elementi strutturali: sono essi che ne definiscono il valore complessivo e vanno quindi considerati come indicatori del “sistema città”, in definitiva della sua capacità di soddisfare i bisogni fondamentali dei suoi abitanti. Solo non va dimenticato che fra questi elementi – che non potremo comunque quantificare – hanno un ruolo determinante i legami che si stabiliscono fra i luoghi e le persone. Le città infatti non sono soltanto “macchine” più o meno funzionanti, sono anche depositi di memorie e di appartenenze e queste avranno tanto più forza e valore per gli individui, quanto più i luoghi a cui si riferiscono presentano un loro carattere, una ben definita e riconoscibile individualità.
Riportiamoci dunque al compito di stabilire i fattori da analizzare e che solo per esemplificazione valuteremo in forma distinta, dato che interagiscono comunque fra loro, oltre a convergere nella progressiva inefficienza del sistema urbano, determinandone lo scadimento complessivo. Essi sono, per grandi linee, riconducibili a pochi, ma fondamentali elementi:
– l’alterazione profonda della struttura urbana.
– l’insufficienza delle linee di traffico e degli spazi di relazione.
– l’inadeguatezza, oltre che l’incongrua localizzazione, dei servizi essenziali.
A questi fattori va attribuita una parte rilevante del prezzo che i cittadini pagano per scelte errate o incoerenti, effettuate per incapacità, ma più spesso per soddisfare interessi di breve respiro. Sono errori o semplici “trascuratezze”, che loro insieme arrivano a formare una “massa detritica” accumulatasi nel tempo fino a rendere asfittica ogni istanza di rinnovamento, un ostacolo quasi insormontabile per le trasformazioni di cui Eboli ha un vitale bisogno.
1 -a) Lo stravolgimento della struttura urbana
La struttura della città, che fino agli anni ‘30-40 del ‘900 appare delineata in un’immagine compatta e coerente – le immagini coeve ce la restituiscono con chiarezza – ancora nell’immediato dopoguerra sembra avviata lungo direttrici di sviluppo abbastanza definite, incanalate da strumenti come il Piano di Ricostruzione del 1948. In questa fase, oltre al Piano, firmato da un progettista di rango come Annibale Vitellozzi, un ruolo importante viene giocato dall’edilizia pubblica, anche con la formazione di nuovi quartieri che si protendono ben oltre i limiti della città storica. Tuttavia le trasformazioni più consistenti si realizzano a partire dagli anni ’60, con una prorompente espansione dell’abitato che in tempi rapidi “rompe gli argini”, spandendosi su una superficie dai contorni indefiniti e comunque assai più vasta di quello originaria.
Oggi nelle zone più esterne le sue propaggini si configurano come “filamenti” di tessuto urbano, mentre più oltre la città appare polverizzata in miriadi di casette disseminate a pioggia in numerose aree della fascia agricola. Questo se il nostro sguardo si limita alla visione bidimensionale, quella appunto di una mappa o di una fotografia aerea. Se invece consideriamo la città anche nella sua realtà tridimensionale – quella degli spazi reali e degli effettivi volumi realizzati – appare evidente come l’armoniosa gerarchia delle masse edificate, a Eboli ancora integra nella prima metà del secolo scorso, sia stata progressivamente ma irrimediabilmente compromessa.
Ponendosi a qualche distanza dall’abitato, in modo da poterlo osservare nel suo insieme, si può misurare appieno l’impatto stravolgente, addirittura brutale, dei grandi edifici condominiali costruiti negli scorsi decenni, che sembrano quasi schiacciare la massa edilizia dalla quale emergono con prepotenza. A contrasto, solo in apparenza virtuoso, il tessuto di piccola edificazione che si stende lungo lo strade periferiche appare dimesso e squallido, quasi alieno rispetto ad un contesto urbanizzato che pure, incapace di qualificarsi, non brilla per vivacità e gradevolezza.
Di fatto è proprio sui bordi esterni che la qualità urbana ha subito una netta défaillance, allineandosi, ma in forme più elementari e grossolane, a quel modello di “città diffusa” che oggi caratterizza in larga parte l’espansione dei centri abitati: un fenomeno che ha investito città e aree metropolitane, ma anche interi ambiti territoriali, con una proliferazione diffusa del costruito come nel nord – est italiano, investito da un prorompente sviluppo industriale. Non si tratta comunque di situazioni paragonabili alla nostra, considerato che a Eboli il prezzo dello scadimento urbanistico non appare per nulla compensato da un apprezzabile incremento dell’economia e delle opportunità lavorative. Si è trattato piuttosto di un fenomeno che ha coniugato la disponibilità di aree a basso prezzo, lo scarso appeal di una città in declino, il fascino malinteso della campagna dietro casa. Il contesto, sia per i pretenziosi quartieri di villette del centro-nord che per le nostre ruspanti villotte di periferia, si rivela un identico “non luogo” privo di spazi pubblici, di servizi essenziali e povero, se non deserto, di relazioni umane.
“Non era una fuga dalle città per andare incontro ad una vita più a misura d’uomo”, commenta lo scrittore Giorgio Falco sulle infinite “villettopoli” d’Italia, “era una fuga nel nulla, anzi nel caos. Attorno a questi grappoli edilizi non c’è un ambiente naturale, c’è un magma suburbano in movimento…Lo spazio non ha una direzione, non ha un ordine…non è decentramento residenziale, è quello che gli americani chiamano urban sprawl, con una parola che significa, più che dispersione, stravaccamento. Quando una società è stanca, si stravacca dove capita, sparge le sue membra in disordine.” (3)
1 – b) Il sistema delle strade e delle piazze
Nella lunga, ricchissima vicenda della città europea – ci ricorda l’urbanista Edoardo Salzano – il ruolo delle strade e delle piazze è stato, fin dalle origini, fondamentale per articolare le linee strutturali dell’abitato:
“ Le piazze, gli edifici pubblici che su di esse si affacciavano e le strade che le connettevano costituivano l’ossatura della città. Le abitazioni e le botteghe ne costituivano il tessuto. Una città senza le sue piazze e i suoi palazzi destinati ai consumi e ai servizi comuni era inconcepibile, come un corpo umano senza scheletro.” (4)
Per Eboli e la crisi del suo sistema urbano, un ulteriore elemento da considerare è proprio l’inadeguatezza del sistema viario di cui la città si è dotata nel tempo recente: la rete delle strade appare definita con nettezza solo nei tracciati ottocenteschi e primo novecenteschi, ma viene successivamente realizzata nelle zone di espansione secondo linee incerte e attraverso interventi tardivi, quando il disordine edilizio ha già ipotecato la possibilità di un’ adeguata organizzazione dei percorsi. Ne risulta che solo alcune zone appaiono efficacemente innervate dalle linee di traffico, la cui trama complessiva non è mai stata definita razionalmente come un “sistema circolatorio” in grado di “ossigenare” le varie parti della città, oltre a costituire l’armatura necessaria a sostenere coerenti direttici di espansione urbana.
Esemplare il ruolo assunto dal tratto urbano della statale delle Calabrie, gradualmente occupata lungo i bordi da un’edilizia disomogenea, e quasi del tutto priva di un’adeguata fascia di interposizione fra la sede stradale e l’edificato. Tuttavia il vero, imperdonabile errore, è stato quello di considerare la statale 19 come un collettore nel quale scaricare i “condotti stradali” secondari, determinando una evidente congestione del traffico, disagi e pericoli per i residenti, scadimento complessivo di un’ ampia zona della città.
L’errore si è poi replicato, aggravandolo a dismisura, con l’assurda tipologia adottata per la “tangenziale” prevista dal mediocre Piano Fuccella, destinata nelle intenzioni a rendere più fluido e veloce l’attraversamento della città. Ne è derivata una forma bastarda di “autostrada urbana”, tracciata a ridosso di una zona residenziale, con pericolosissimi e scriteriati incroci a livello. Questa, che è l’ultima linea di traffico realizzata sul lato meridionale della città, si somma alle più antiche – la statale 19 e la ferrovia Battipaglia – Potenza, a costituire una triplice cintura di sbarramento che preclude una saldatura efficace fra il nucleo urbano e le zone a valle, collocate ai margini della pianura.
Un discorso a parte andrebbe fatto sulle piazze che, annota ancora Salzano, “..dove la città è organizzata in quartieri (ciascuno espressione spaziale di una comunità più piccola dell’intera città), ogni quartiere ha la sua piazza, ma sono tutte satelliti della piazza più grande..” (5) Del resto l’architetto Genovese, già nel 1869, aveva collocato le piazze in punti opportuni della trama edilizia prevista dal suo Piano, oltre a prevedere nella zona ovest della città un vasto emiciclo in grado di ospitare adeguatamente il mercato, uno spazio che non è stato mai più riproposto.
Anche della nostra piazza principale – di quella “Piazza dei leoni” a suo tempo preferita alla più organica sistemazione di Genovese – si sono incredibilmente replicati i soli leoni, mentre nessun altro spazio pubblico di pari rilievo, neanche nelle tavole di un progetto, ha mai visto la luce. Un solo intervento efficace, sia pure a scala minore, ha riguardato la zona antistante la chiesa di S.Bartolomeo, resa animata e vitale grazie a una sistemazione ben risolta e alla disponibilità di un ampio marciapiede, eredità di lungimiranti amministratori d’antan.
Appare comunque significativo che nel corso di un secolo e mezzo, a fronte di una città che si estende su una superficie quasi dieci volte maggiore di quella ottocentesca, nessun altro punto di riferimento e di aggregazione sia stato ancora costruito. Questo senza far conto dei maldestri conati di piazze e piazzette realizzate qualche anno or sono, di qualità architettonica prossima allo zero e subito naufragate nell’insignificanza e nel disinteresse.
1 – c) La dotazione e la localizzazione dei servizi
La qualità scadente del “sistema città” trova una conferma immediata nelle carenze evidenti del “sistema dei servizi”, privo di un’organica e razionale collocazione delle strutture fondamentali esistenti sul territorio urbano: è questo un punto riguardo al quale si può affermare a chiare lettere che nell’arco dell’ultimo mezzo secolo le classi dirigenti ebolitane – con qualche rara, e tanto più meritevole eccezione – non sono state all’altezza dei problemi che erano chiamate a risolvere. Ancora una volta uno sguardo alla planimetria della città consente di verificare l’incongruenza di alcune scelte, che l’esperienza quotidiana di ciascun fruitore di servizi pubblici non può che confermare con tutta evidenza. Esemplare il caso delle strutture sanitarie, disperse a grande distanza fra loro, per non parlare del nostro Ospedale, di cui sarebbe interessante calcolare il costo, certamente notevolissimo, pagato dalla collettività alla sciagurata decisione di costruire sempre nuovi corpi di fabbrica in un sito impervio e del tutto inopportuno.
Meno drammatica, ma non certo esaltante la situazione degli edifici scolastici, in buona parte frutto di una progettazione mediocre e inadeguati per qualità e dotazione degli ambienti didattici. Stesso discorso per i tanti uffici pubblici, sistemati spesso in locali di fortuna, del tutto sconnessi fra di loro, quasi scagliati a caso ai quattro angoli dell’abitato e i cui utenti possono ben di rado fruire di parcheggi o addirittura di congrui spazi di accesso: un caso limite è costituito dal Tribunale, struttura di rilevanza territoriale, incastrato a forza in un magro lotto residuo, che nei giorni di udienza offre lo spettacolo di una moltitudine di auto parcheggiate sui marciapiedi delle strade circostanti. Il dato evidente è che, fatta salva una felice stagione per l’edilizia scolastica, nell’arco degli anni ‘60, le strutture pubbliche sono giunte buon ultime, quando il banchetto dei suoli più appetibili era alla fine e restavano solo le briciole o le aree marginali. Mai a Eboli si è messa in cantiere una stazione per autobus, una rete di mercati rionali, aree e servizi per lo sport di base: ancora oggi i bambini utilizzano come aree di giochi gli spazi che circondano il monumento ai caduti, esattamente come i loro padri, i loro nonni e così via ripercorrendo la catena delle generazioni.
Né a questo proposito può valere la facile giustificazione di un generale scadimento della qualità urbana che ha fatto seguito allo “sviluppo senza progresso” della società italiana nell’ultimo mezzo secolo. Altre città, qualcuna anche nel nostro Mezzogiorno, hanno seguito direttrici di sviluppo commisurate alle loro esigenze, realizzando un’espansione ragionevole, in genere guidata da un opportuno disegno. E’ pur vero che in moltissime realtà urbane ha prevalso la logica del sacco edilizio – denunciato da Rosi e La Capria in un celebre film e vanamente stigmatizzato dalla migliore cultura italiana – con i guasti che sono sotto gli occhi di tutti, ma che non tutti riescono a vedere per davvero. Anche perché, fra i danni maggiori che ne sono è derivati, vi è proprio la scarsa consapevolezza di un contesto urbano senza qualità – il nostro scenario di vita da qualche decennio – ormai considerato “naturale” come lo sfondo dei monti o la distesa della pianura che degrada verso il mare. Esso è invece, questo va riaffermato con forza, il prodotto di una poverissima idea della politica, di una cultura architettonica scadente e provinciale, in definitiva della mancanza di progetto e di interesse per la propria città.
A Eboli gli strumenti di pianificazione, stentati e tardivi – ma gli ultimi anche pletorici e in pratica inutilizzabili – quindi disinvoltamente aggirati – non sono stati mai considerati un’opportunità per lo sviluppo dell’organismo urbano al di là della sua espansione fisica, peraltro considerevole. Il dato fondamentale che il più delle volte entra in gioco – oggetto di trattative, di condizionamenti, di vere e proprie pressioni al limite del ricatto – è eminentemente quantitativo e si riduce in pratica all’entità della cubatura realizzabile su una data superficie. Innumerevoli situazioni, maturate in Italia negli ultimi decenni, stanno tuttavia a dimostrare che la sola logica dello sviluppo basata sul “quanto” senza una seria riflessione sul “come”, porta al degrado della città e in ogni caso allo scadimento della qualità di vita degli abitanti.
Va comunque affermato che anche volumi edilizi considerevoli, opportunamente localizzati, oltre che integrati con intelligenza dalle necessarie strutture di servizio, possono dar luogo ad uno spazio urbano di qualità, contribuendo anzi a ridurre quel consumo di suolo che la sciagurata invasione delle zone agricole ha incrementato fuori misura. Se non sono più i tempi che descrive “Il tetto” – un quasi dimenticato film di De Sica – quando il bisogno spingeva a costruire casette infime in una sola notte, siamo anche lontani da una volontà di “proibizionismo edilizio” che, oltre a essere irrealizzabile, non giova a nessuno e meno che mai alla città.
Per quest’ultima il dato significativo resta la qualità dell’organismo urbano cioè di quella struttura alla quale ci siamo più volte riferiti, che vuol dire un giusto rapporto fra il suo sistema circolatorio, la dotazione e l’accessibilità dei servizi fondamentali, la collocazione opportuna delle residenze e degli spazi per la vita di relazione e per il tempo libero. Tutto questo richiede certo la presenza di strumenti di pianificazione, ma occorre che questi non siano solo l’espressione di interessi particolari di cui i rappresentanti politici si costituiscano come referenti, oltre che mediatori con i tecnici urbanisti.
Al potere politico tocca certamente il compito di fornire gli indirizzi fondamentali, anzi di elaborare una “idea di città” commisurata al suo ruolo nel territorio e quindi delineare il tipo di sviluppo da promuovere e perseguire nel tempo. E’ questo connubio felice fra una dirigenza politica di alto profilo e un’ intelligente pianificazione che ha modellato e, nei casi migliori, reso splendide città grandi e piccole della nostra penisola: un patrimonio di immenso valore talora messo a rischio da mediocri avventurieri della politica, gli indegni eredi di un passato che non comprendono e al quale non sono in grado di riferirsi.
A Eboli gli ultimi decenni hanno visto un decadimento progressivo della qualità architettonica che, per dirla con il non dimenticato ministro della cultura Jack Lang, “non è l’espressione di una società ma quella dei poteri che la dirigono.”
Sorte non diversa, non è superfluo ribadirlo, ha subito il livello stesso della vita civile e culturale e tuttavia, perché questo discorso non appaia come un cahier de doléance o addirittura una mesta geremiade, esso intende concludersi nel segno della speranza e delle prospettive che ancora, nonostante tutto, si aprono per il futuro della nostra città.
2 – Qualche indicazione, magari anche utile
Come architetto, pur avendo da tempo nel mio bagaglio di studi i corsi di urbanistica, non presumo di considerarmi un esperto di questa “scienza nobilissima” che “..stretta fra studio del passato e immaginazione del futuro, tra dimensione tecnica e artistica ” (6) richiede, oltre alle conoscenze specialistiche, un adeguato bagaglio di esperienze. Ritengo tuttavia, dalla mia “postazione” di osservatore non neutrale – ma neanche indifferente alle sorti di Eboli – di poter avanzare non tanto delle ipotesi complessive, quanto delle indicazioni puntuali di cui tener conto in un programma – altamente auspicabile – di riequilibrio e riqualificazione della città. Una riqualificazione, va ribadito a chiare lettere, che non può neppure concepirsi al di fuori di un reale convincimento sul valore autentico e non sostituibile della dimensione urbana. Un atteggiamento che da solo esclude la politica stolida e miope che dissemina alloggi nelle zone agricole, con il risultato di distruggere sia la città che la campagna: la poltiglia edilizia che ricopre buona parte della Campania, ma non risparmia altre regioni italiane, ne fornisce una eloquente manifestazione, beninteso per chi è in grado di intenderne la carica autenticamente distruttiva.
Ora, “riconosciuti i nostri peccati”, come opportunamente prescrive il rituale della Messa cattolica, e stabiliti i fondamenti per una valutazione critica dell’esistente, proverò a indicare, nelle grandi linee, alcuni punti di attacco per un intervento significativo sull’assetto urbano di Eboli.
2-a Facendo ricorso agli strumenti e alle tecniche che l’architettura della città è in grado di fornire, occorre in qualche misura “bypassare” la triplice barriera infrastrutturale, costituita dalla strada statale 19, dalla cosiddetta tangenziale e dalla linea ferroviaria, in modo da riconnettere la zona urbana “storica” con quella più a valle che comprende il Palasele, lo stadio e ampie zone ancora disponibili per una urbanizzazione intelligente. Quest’obiettivo che appare di difficilissima attuazione per la statale delle Calabrie, ormai “incistata” malignamente nel tessuto urbano, si prospetta necessario per la linea ferroviaria e il micidiale asse di scorrimento, o tangenziale che dir si voglia. E’ un’operazione che comporterà grossi interventi, come la realizzazione delle necessarie strutture di attraversamento e, per quanto possibile, la sistemazione a diverso livello di alcune delle linee di traffico, soprattutto per i tratti che insistono direttamente sul tessuto urbano. Potrebbe anche venire opportuna la creazioni di blocchi edilizi “a ponte” che, saldandosi con le strutture dell’area ex- Pezzullo – da progettare e ricostruire integralmente – andrebbero a costituire un nucleo di residenze e di servizi, corredato di parcheggi e verde urbano, quel “nuovo centro” adeguato finalmente alle esigenze della città.
2-b Di pari importanza appare una completa riorganizzazione, sostenuta da un disegno di ampio respiro, della zona di svincolo autostradale, un intervento del resto già ipotizzato dall’ultimo Piano Regolatore che ne contempla addirittura lo spostamento. Si tratta di un’area chiave per l’auspicabile sviluppo del sistema produttivo e che già ora, con l’approdo consistente di veicoli e merci, si configura come una vera “area portuale”: un polo logistico che per esplicare tutte le sue potenzialità va organizzata come un terminale debitamente attrezzato, con ampie superfici per la sosta e la movimentazione dei mezzi pesanti, per lo stazionamento e le fermate degli autobus, le adeguate strutture per lo stoccaggio delle merci. Questo discorso chiama in causa la sistemazione, anche per il tessuto dei percorsi, dell’intera zona per le attività produttive collocata proprio a ridosso dell’autostrada, una zona che va finalmente ridefinita e adeguata a nuovi standard di corretta organizzazione e di effettiva funzionalità.
2-c Riguardo al tessuto urbano degli ultimi decenni, appare già matura la prospettiva di una graduale operazione di sostituzione edilizia nelle zone caratterizzate da un’edilizia di bassa qualità, quasi sempre sprovviste degli standard urbanistici necessari: si tratta di interventi che andranno effettuati sulla base del ridisegno di opportune “porzioni” della città consolidata e che richiedono la necessaria concertazione fra le istituzioni, il sistema imprenditoriale e bancario, i progettisti e naturalmente i cittadini interessati. Vanno preliminarmente individuati i fattori che rendono convenienti le operazioni di riqualificazione urbana, da effettuare anche con aumenti volumetrici: questi troveranno una giusta compensazione nelle opere infrastrutturali e ambientali suscettibili di migliorare la qualità di vita dei residenti, oltre che in un valore di mercato assai più consistente per gli immobili ricostituiti.
2-d Le operazioni a cui ci siamo riferiti non escludono la possibilità di effettuare interventi puntuali di riqualificazione e di adeguamento degli standard urbanistici – segnatamente infrastrutture, commercio, verde e parcheggi – all’interno di singoli tasselli urbani, quando la situazione dei luoghi ne consenta una effettiva realizzabilità. Va inoltre prevista – e, anche con gradualità, concretamente attuata – una sorta di “equa distribuzione” degli spazi pubblici, la cui dotazione è praticamente inesistente, e comunque assolutamente deficitaria nelle zone di edificazione più recente, per non parlare di quelle collocate ai margini dell’abitato. L’obiettivo primario da perseguire, fondamentale in un contesto urbanizzato, resta quello di incrementare la qualità di vita e di relazione nelle zone segnate da un gap più o meno consistente rispetto al nocciolo consolidato della città.
Simili interventi, di cui appare evidente la complessità di gestione, non possono realizzarsi senza il sostegno e la guida di una politica coraggiosa, lungimirante e aliena dal dilettantismo, condizioni allo stato attuale non sempre riscontrabili nel nostro “cortile di casa”. Si tratterà certamente di opere considerevoli, le cui risorse vanno attinte da capitali privati e pubblici, ma la cui ricaduta in termini di riqualificazione urbana, di entità dell’investimento e di conseguente occupazione appare di indiscutibile rilevanza. Ritengo tuttavia che su alcune fra le “linee di proposta” indicate in precedenza, possa cadere opportuna qualche ulteriore puntualizzazione:
– Riguardo alla saldatura delle zone urbane separate dai fasci infrastrutturali, va ricordato il consistente recupero di aree e di attrezzature per la città ricavato dalla copertura dei “trinceroni” di Salerno e Cava dei Tirreni e che naturalmente l’orografia di quei luoghi ha reso più agevole e conveniente: per Eboli si tratta comunque di un’operazione di ampia portata, che può essere oggetto almeno di uno studio preliminare o più ancora costituire il tema di un qualificato concorso di idee.
– Sull’importante, impegnativa tematica della “rottamazione edilizia”, va osservato che nel nostro Paese non c’è da far conto su esperienze particolarmente significative, a parte i boatos sul recente Piano casa governativo che, oltre a proclamare una nuova deregulation per costruire ovunque e comunque, non sembra aver prodotto, sul terreno dei fatti, risultati di qualche rilievo. Non mancano tuttavia studi e proposte a cui fare riferimento: dal 1995 è attiva l’AUDIS (Associazione Aree Urbane Dismesse), che affronta le problematiche connesse alla riqualificazione della città, a partire appunto dalle aree dismesse, per confrontarsi con le tematiche assai più impegnative di una vera e propria rigenerazione urbana. Vi sono tutte le condizioni, per citare il presidente dell’AUDIS, “di un nuovo approccio culturale e operativo alla disciplina urbanistica orientandola al governo delle trasformazioni urbane attraverso l’attuazione di azioni positive, piuttosto che secondo le tradizionali regole impositive, procedurali e gerarchiche dei piani regolatori tradizionali. Una “rivoluzione culturale” fatta utilizzando la legislazione esistente, senza rinunciare a quella visione complessiva che solo il Piano, come strumento trasparente e condiviso del territorio, permette di ottenere.” (7)
– Il ruolo insostituibile degli spazi pubblici – e la necessità della loro presenza in ogni settore di un ambiente urbano degno di questo nome – è compreso da sempre nel “patrimonio genetico” della città europea, dalla cui eredità non possiamo neanche pensare di poterci escludere: “…gli spazi pubblici: i luoghi nei quali stare insieme, commerciare, celebrare i riti religiosi, svolgere attività comuni e utilizzare servizi comuni…Il ruolo delle piazze è stato decisivo: le piazze come il luogo dell’incontro fra le persone, ma anche come lo spazio sul quale affacciavano gli edifici principali: il mercato e il tribunale, la chiesa e il palazzo del governo cittadino..Lì i membri delle singole famiglie diventavano cittadini, membri di una comunità.” (8)
3 – Alcune conclusioni e forse una speranza
Quelli appena formulati sono, come risulta evidente, pochi punti che non pretendono certo di esaurire le problematiche e le esigenze di un organismo urbano “cresciuto storto” e del quale vanno, in modo serio e approfondito, valutate le possibilità e le concrete prospettive di riqualificazione. Ma occorre innanzitutto partire da un diverso atteggiamento di fondo, avviando quella “rivoluzione culturale” – a cui fa riferimento il testo dell’AUDIS – che può realizzarsi solo togliendo ogni spazio alla pratica angusta, e talvolta squallida, del procedere a vista, senza un disegno adeguato all’entità delle questioni da affrontare.
Qui cade necessariamente il discorso sul Piano, o più esattamente sui vari strumenti di pianificazione urbanistica che di volta in volta si sono affacciati sulla scena ebolitana, con una frequenza particolare nei decenni più recenti, sul crinale fra il novecento e il secolo attuale.
Senza girare intorno al problema, mi sento di affermare che non uno dei Piani prodotti di recente sembra in grado di affrontare o almeno di avviare a soluzione i problemi dell’assetto urbano di Eboli, che resta ancora oggi privo di un disegno coerente e di una visibile “direzione di marcia”. Riguardo al volto della città, si è esaurita da tempo la cultura modesta, ma dignitosa, del “decoro” ottocentesco – prolungatasi fino alla metà del ‘900 – e alla quale dobbiamo i viali alberati che ancora ci allietano. E tuttavia, nello stato presente, non riusciamo ancora a gestire le più semplici trasformazioni urbane all’insegna di una “normale” qualità. A tutt’oggi non appare visibile, neanche in prospettiva, il profilo di una Eboli rinnovata, un possibile riscatto per una città offesa, imbruttita, e scadente anche nelle sue caratteristiche funzionali.
Questo, tengo a ribadire, è un punto di vista che scaturisce da uno sguardo puntato sulla città reale, quella che mi ritrovo a percorrere e osservare quotidianamente, una valutazione che non intende in alcun modo sminuire il valore e il ruolo insostituibile degli strumenti di pianificazione. Tuttavia non può non rilevarsi – ed è un discorso che risuona da più parti – come i Piani urbanistici si risolvano sempre più spesso in un’abnorme e costosissima produzione di elaborati, sostanzialmente inutilizzabili per una effettiva pianificazione, i cui tempi e le cui modalità di attuazione si rivelano nei fatti incontrollabili.
Nel frattempo, come un rivolo d’acqua che spontaneamente si dirige lungo la direzione più favorevole, la città, o più esattamente l’agglomerato urbano, se ne va per i fatti suoi, seguendo le sue strade o quelle scorciatoie che il potere politico prova a tracciare perché la “barca” vada comunque avanti: un deficit di idee e di strumenti, oltre che di risorse e di prospettive per lo sviluppo, sembra stringere insieme l’urbanistica e la politica in una stessa morsa di sfiducia e impotenza.
Leonardo Benevolo, uno dei maggiori specialisti italiani, nonché illustre storico dell’architettura, lo spiega a chiare lettere: “Oggi in Italia l’urbanistica è un’attività screditata, considerata con fastidio e preferibilmente accantonata….nella vita privata dei cittadini compare quasi solo come un ostacolo sgradito, da eludere o eliminare. Dovunque se ne parla malvolentieri e il meno possibile.”(9) Forse tutto è riconducibile alla nostra incapacità attuale di prospettarci o addirittura di intravedere un futuro da costruire; nei fatti una rinuncia a metter mano ad un ambiente di vita che possa soddisfare le nostre esigenze, oggi peraltro più numerose e complesse di quelle del passato.
“In molti urbanisti, afferma Paola Bonora, geografa dell’università di Bologna e collaboratrice dell’urbanista Pierluigi Cervellati, prevale un senso di disincanto malizioso e compiaciuto. L’espansione edilizia viene descritta con rassegnazione e disinteresse, ma raramente le mille etichette per raccontare ciò che accade si accompagnano a una seria denuncia sugli effetti devastanti del consumo di suolo e ad una coerente proposta politica. Nelle facoltà di Architettura c’è un ritorno alla tecnica e poca attenzione ai contesti territoriali in cui calano gli interventi. Da tempo ci si è invaghiti della crescita illimitata e l’ubriacatura continua ” . (10)
E’ il chiaro ritratto di una situazione – che è anche un clima – di sconforto e incertezza ma che, per dirla tutta, non possiamo più permetterci: occorre reagire con determinazione per fuoriuscire dalla palude di un fatalismo senza sbocchi, ma serve anche una piena coscienza della crisi di lungo periodo che minaccia gravemente il carattere pubblico della città, in altre parole la possibilità di intervenirvi in nome degli interessi generali. Con realismo, coraggio e prudente gradualità, è possibile avviare programmi e progettare interventi che puntino a un livello diffuso, magari facendo emergere almeno delle “oasi” di qualità, in qualche modo significative di un nuovo impiego dello spazio urbano e di un diversa considerazione per i cittadini.
Più difficile delineare il profilo di una nuova Eboli e ricostituire un’ immagine identitaria della città, che pure ha un vitale bisogno di ritrovare un volto e quindi, ma non solo per questa via, recuperare un’anima nella quale riconoscersi. E tuttavia anche una siffatta mission impossible va avviata, meglio ancora portata a termine, evitando le secche di un mercato teso “a monetizzare ogni elemento e ogni aspetto della città e del territorio” (11) e consegnando alla cittadinanza, il suo naturale destinatario, un programma efficace e insieme coinvolgente. Perchè, non manca di precisare Bernardo Secchi “Prima di tradursi in prescrizioni, prima di affidarsi a un piano, il progetto della città deve costituirsi come una “carta” sulla base della quale possa essere siglato un patto tra amministratori e cittadini ” (12), un patto da costruire su una “visione”, il più possibile condivisa. D’altra parte, ci ricorda ancora Secchi, “L’urbanista, oltre che produttore di progetti con un elevato contenuto tecnico, è produttore di immagini, di racconti e di miti. Miti e immagini non sono fantasmi; essi raccolgono le istanze più fortemente radicate nella cultura dei luoghi e dei loro abitanti, costruiscono giudizi e valori, guidano dal profondo comportamenti individuali e collettivi, dando unitarietà all’interazione sociale, rendendola possibile.” (13)
Un’indicazione di grande intelligenza, che può aiutarci a ritrovare una traccia visibile nei contorni dispersi della nostra città, adagiata sempre più scompostamente sul suo territorio. Ma a ricercarne le radici per una rinascita – quasi una nuova fondazione – ci conduce ancora una volta Italo Calvino con la forza poetica delle sue parole:
“…occorre non perdere di vista qual è stato l’elemento di continuità che la città ha perpetuato lungo tutta la sua storia, quello che l’ha distinta dalle altre città e le ha dato un senso. Ogni città ha un suo “programma” implicito che deve saper ritrovare ogni volta che lo perde di vista, pena l’estinzione. Gli antichi rappresentavano lo spirito della città, con quel tanto di vaghezza e quel tanto di precisione che l’operazione comporta, evocando i nomi degli dei che avevano presieduto alla sua fondazione…Una città può passare attraverso catastrofi e medioevi, vedere stirpi diverse succedersi nelle sue case, vedere cambiare le sue case pietra per pietra, ma deve, al momento giusto, sotto forme diverse, ritrovare i suoi dèi.” (14)
NOTE
1) I.Calvino, Deve ritrovare i suoi dèi – sta in Com’è bella la città. Stampatori, Torino 1977
2) I.Calvino, cit.
3) G.Falco, Intervista con M.Smargiassi – sta in Venerdì della Repubblica del 31.07.2009
4) E.Salzano, Crisi dello spazio urbano o fine (morte) delle citta’? – sta in Relazione di apertura del convegno “Ma cos’è questa crisi?”, Le Settimane della Politica, II edizione
5) E.Salzano, cit.
6) B.Secchi, Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari 2000
7) R.D’Agostino, La rigenerazione urbana nell’era delle città da rottamare – sta in Geocentro Magazine, n° 4 07/08 2009
8) E.Salzano, cit.
9) L.Benevolo, in Noi urbanisti abbiamo fallito, riportato da F.Erbani, La Repubblica del 10.12.2009
10) P. Bonora, Per una nuova urbanità, Diabasis, Reggio Emilia 2009
11) B.Secchi, cit.
12) B.Secchi, cit.
13) B.Secchi, cit.
14) I.Calvino, cit.
Invio il commento sul “lavoro di Vincenzo Marsilia che ho pubblicato su “Il Giornale di Eboli ” del mese di aprile u.s.
E’ un contributo al dibattito
QUALE FUTURO ? ………………………………QUALE CITTA?
L’architetto Vincenzo Marsilia ha fatto pervenire al nostro giornale questo suo “contributo per la città” .
E’ stato stampato il 28 marzo c.a. ed è costituito di 28 pagine.
Nella prefazione lui definisce questo contributo come “piccolo testo frutto delle riflessioni che sono andato svolgendo negli ultimi anni , ma che attengono a un deposito più ricco, alimentato per qualche decennio dall’attenzione,…….., alle trasformazioni della città in cui vivo” e aggiunge poi nella premessa di questo “ livre de poche ”, che lascia “ il giudizio di amici, esponenti della politica e della cultura, pubblicisti e –autorità costituite- “ sperando che varrà a suscitare qualche riflessione.
Indipendentemente dalla totale o parziale condivisione delle “ idee” di Vincenzo Marsilia ( ma anche da un eventuale parziale o totale dissenso) va riconosciuto il desiderio di colmare un assordante silenzio e vuoto totale di un dibattito culturale nel Paese sul futuro dell’assetto urbano di Eboli e della Piana , intesa come zone “rurali”. Se questo piccolo libro susciterà un risveglio di partecipazione e di confronto sulle varie opinioni , nella città, Vincenzo Marsilia avrà già raggiunto un obiettivo importante.
Una prima riflessione pertanto la faccio sulla dichiarazione della parte finale della sua “premessa” che dice:
“non si farà cenno –nel libretto in questione ( n.d.r.)- alle contrade “, esterne” non perché se ne disconosca il ruolo e l’importanza per la città, ma per la semplice ragione che lo scrivente, frequentandole solo in rare occasioni, non avrebbe molto di che scriverne”.
Io non credo che qualunque proposta sul futuro assetto urbanistico di Eboli, possa essere ipotizzato avulso dalle realtà periferiche rispetto al centro Urbano classico. Infatti , fra le cose che il vincente Sindaco Melchionda ha puntato in campagna elettorale, più volte ha segnalata la necessità
-di guardare con attenzione al rapporto del Centro Urbano con tutta la zona “ out of ” San Giovanni e del suo collegamento ( trasferimento dell’attuale mercato orto-frutticolo , la sistemazione dello svincolo autostradale e la realizzazione di un altro svincolo più a Sud);
-di attrezzare con servizi commerciali e non, l’asse viario Eboli Mare sulla cui direttiva va pensato anche uno sviluppo abitativo;
-di riappropriarsi della zona comunale legata all’attrattore SS 18 ( S. Nicola Varco, S.Cecilia, Cioffi etc..) sottraendola all’influsso di Battipaglia da un lato e Capaccio-Paestum dall’altro.
L’importante contributo dell’amico Marsilia si sviluppa in vari piccoli capitoli:
1-La forma della città e il suo volto attuale.
1-a) Lo stravolgimento della struttura urbana.
1-b)Il sistema delle strade e delle piazze.
1-c)La dotazione e la localizzazione dei servizi.
2-Qualche indicazione, magari anche utile.
3-Alcune conclusioni e forse una speranza.
Con questa recensione si lascia aperta la discussione sperando in contributi sereni e costruttivi e non entro nel merito delle considerazioni di Vincenzo, che condivido nella stragrande maggioranza, mi auguro e spero che questo suo “contributo” venga utilizzato, ripeto, come elemento di dibattito e venga ulteriormente arricchito .Per questo mi permetto di aggiungere qualche altro elemento che non è stato sviluppato nelle pagine del libretto in questione:
A. Se Eboli resta ancora in parte vocata all’agricoltura ( seppur diversa da quella tradizionale di un tempo), se aspira ad un ruolo forte in ambito commerciale, se guarda con interesse al settore turistico ed al corretto utilizzo della “marina”, orbene bisognerà necessariamente trovare soluzioni idonee ( ma nel libro di questi problemi non se parla)
B. SERVIZI: una città moderna non può avere un Tribunale ed Uffici Giudiziari così come sono ora. Non può avere Servizi Postali il cui degrado è al limite della sopportazione. Non può avere una Stazione Ferroviaria che è una vergogna ed una pessima immagine della Città. Non può non avere parcheggi dentro e fuori il perimetro urbano e non può non avere una idonea stazione per bus, etc. etc. etc. etc.
C. La situazione dell’Ospedale – la cui tragica collocazione logistica è anche considerata dall’amico Marsilia- deve essere affrontata finalmente con coraggio. Non si tratta di accorpare reparti all’interno dell’Ospedale di Eboli o con l’Ospedale di Battipaglia, ma se il Piano Sanitario regionale ha previsto la “realizzazione del NUOVO OSPEDALE DELLA VALLE DEL SELE” anche questo problema va inserito in un discorso urbanistico da discutere sicuramente anche con Battipaglia, ma non si può e non si deve aspettare a decisioni che verranno prese “ lontano” dalle due comunità interessate.
Queste sono solo alcune delle tante considerazioni possibili ad integrazione di quelle proposte. Tutte però che scaturiscono dalla intelligenza e tempestività ( visto l’insediamento del Sindaco e della nuova Amministrazione) con cui l’amico architetto Vincenzo Marsilia ha proposto un “canovaccio di idee”.
Si aspettano pertanto contributi da una società civile che ha una grande tradizione culturale e di partecipazione democratica, testimoniata anche dal grande entusiasmo giovanile visto nell’ultima campagna elettorale.
il puc è in diritura di arrivo…. grazie per il contributo ma martino a quasi fatto…grazie ancora
Ho letto le considerazioni dell’architetto Marsilia alcune delle quali sono condivisibile e forse possono trovare soluzioni concrete nel prossimo PRG ora PUC .Nuove soluzioni urbanistiche o ridisegno della città si scontrano con la carenza di risorse .Oggi è impensabile sventrare quartieri, abbattere palazzi ,espropriare beni di proprietà privata.Nel passato ci sono riusciti poteri assoluti come quelli del Duce a Roma quando ha creato l ‘EUR o via della conciliazione per “esempio” .In ogni caso il consiglio comunale deve fare uno sforzo con il prossimo piano regolatore di considerare quanto poneva in evidenza l’architetto Marsilia,anche di ridisignare la città.Penso sia il caso di aprire un dibattito pubblico con il professore Gerundo ,redattore del nuovo piano ,in modo specifico sulle questioni poste dall’architetto Marsilia, raccogliendo quante più opinioni e contributi possibili provenienti anche da altre personalità esperte in materia.
Il contributo di Marsilia, per quanto parziale, circa i rilievi che pone all’attenzione del suo ragionamento, sono interessanti. Ma mi chiedo: l’architetto Marsilia, ai tempi delle discussioni “paertecipate” proposte da Rosania, è riuscito a dare questo contributo all’amministrazione e ai progettisti del piano?
In effetti quello sbarramento ha impedito che la città si sviluppasse verso la piana, ma come avrebbe potuto se non è stato previsto nel piano fuccella e in quello successivo, visto poi che per fare una casa ci volevano prima 30000 e poi 28000 mq, oppure se si fosse potuto non è stato possibile perchè gli ambiti erano troppo grandi. Una cosa è certa. è tutto da rifare.
PER MOTIVI TECNICI NON ADDEBITABILI AL SISTEMA, MA ALLA TELECOM, SOCIETA’ PER NIENTE SERIA, CHE NONOSTANTE LA PRIVATIZZAZIONE OPERA ANCORA DA MONOPOLISTA, COMMETTENDO UN CONTINUO ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE, NON E’ STATO POSSIBILE SCRIVERE POST.
VISTO IL CATTIVO FUNZIONAMENTO E IL SEGNALE INTERMITTENTE CHE LA TELECOM QUOTIDIANAMENTE FORNISCE, SOLO IN MATTINATA E’ STATO POSSIBILE RIPRISTINARE IL SERVIZIO, QUINDI CHI NON HA POTUTO, ORA PUò SE VUOLE PARTECIPARE AL FORUM.
GRAZIE
Tutte le volte che ho partecipato a quegli incontri, così detti partecipati, appena qualche persona, come me, che non è un architetto o un addetto ai lavori, diceva qualche cosa, veniva zittito dai soliti professoroni, e quindi si è finito per avere un piano che risponde solo ai desideri del progettista e dii qualche suggeritore.
Le idee, le idee, le idee, le possono avere tutti, i tecnici invece di fare i presuntuosi, devono tradurle. E che ci troviamo un paese bloccato e in profonda crisi, perchè così ha voluto un presuntuoso super pagato. E adesso chi ci rstituisce il tempo perduto e le occasioni perse?
E’ vero è difficile gestire un territorio, ma è anche vero che bisogna provarci. Mario Conte ha ragione, ma i piani regolatori ora Puc, per questo esistono, per disegnare il futuro delle città, quindi è possibile pensare con un occhio alle emergenze e con l’altro alla programmazione. I costi? A quanto ammontano i costi per previsioni sbagliate e per i danni causati, come dice Alfredo?
Ho letto con interesse le riflessioni di Vincenzo Marsilia e mi riprometto di ritornarci in seguito con calma. Una prima osservazione, condividendo il pensiero dell’autore, sulla percezione comune dell’urbanistica. Paradossalmente due maniere opposte di intenderla: da parte degli amministratori, come terreno per lo scambio politico (e possibile serbatoio di consenso); da parte dei cittadini, come insieme di vincoli e di limitazioni (spesso visti come opprimenti a prescindere). Due letture fuorvianti, alle quali dovrebbe sostituirsi un’idea di urbanistica come creazione di opportunità (condivise) per tutti, di decisioni nell’interesse generale, di visioni del futuro che tengano conto della storia, della biografia, della memoria della città e della comunità. Visioni che non si sovrappongano sul tessuto urbano come certe decisioni astratte o proiezioni utopiche, che ci è toccato e ci tocca vedere, senza alcuna necessità e coerenza.
Di tutto questo, sinceramente, oggi non vedo traccia a Eboli. Soprattutto manca la consapevolezza che l’urbanistica può diventare una arena di confronto, dal basso, dove tutti hanno diritto di parola (anche se poi spetterà agli urbanisti tradurre, si spera correttamente, decisioni politiche in soluzioni tecniche). Ma per far questo occorre costruire una cultura diffusa, che sappia parlare in termini accessibili e chiari ai cittadini e agli amministratori.
Solo un’osservazione sul pericolo paventato da Mario Conte riguardo ad ipotetici sventramenti. Non credo che l’autore del testo facesse riferimento ad operazioni del genere “urbanistica fascista” quando parlava di “rottamazione urbana”, sostituzione edilizia, creazione di collegamenti a superamento del limite tangenziale. Mi è sembrato invece condivisibile l’accento sulla opportunità di creare spazi pubblici, anche di piccole dimensioni, per estendere l’”effetto” città ad un tessuto devastato – materialmente e culturalmente – da una edificazione di pessima qualità e rispondente solo alla (piccola) logica di mercato.
Che non è solo quella degli anni del boom, ma anche maggioritariamente quella che si fa oggi e che, temo, si continuerà a fare se non si lavora seriamente – tutti: tecnici, amministratori, cittadini – a costruire una coscienza urbanistica, come si sta formando, nel tempo ma concretamente, una coscienza ecologica. Ma occorre ripartire, a mio avviso, dallo spazio pubblico per ritornare a ragionare sulla città e capire, anzitutto, che lo spazio pubblico è lo spazio di ciascuno di noi…
Sappiate, comunque, e prima di ogni altra cosa, che in estate le strade che conducono al mare comprese quelle spartifuoco tra la pineta e la pineta stessa dovranno essere pulite e portate a lucido con oleandri che l’abbelliscono, altrimenti non c’e’ piano regolatore che tenga utile a far decollare questa meravigliosa, ma ahime’ sporca realta’.
Ogni anno è sempre lo stesso scadente e infelice spettacolo tra cittadini immobili che stanno a guardare e nessuno dico nessuno che si rimbocca le maniche.
Io faccio le mie doverose osservazioni, a volte va bene a volte no, e dire che cerco sempre di invitare amici (non di Eboli) a trascorrere qualche settimana in vacanza, ma vanno via desolati e offesi per quanto zozzima si vede in giro.
Grazie
Gianni
p.s.: accetto dibattiti e/o scambi di opinione.
Leggo con piacere le riflessioni dell’architetto Marsilia sulla situazione urbana di Eboli perché di norma, in questa città, a dare opinioni, pareri urbanistici, giudizi di estetica sono gli amministratori pubblici, gli storici, i giornalisti, i cittadini in genere, ma mai gli architetti, e di solito tali giudizi suonano sempre come “Eboli è bellissima ma….!”.
Le sue riflessioni si pongono come un sasso lanciato in uno stagno, con la speranza di generare onde purificatrici per rendere le acque un po’ meno torbide, ma credo che in questa palude il gesto sia vano. Sono dell’idea che il quadro decadente della città di Eboli descritto dall’architetto Marsiglia è solo abbozzato. Una definizione più dettagliata della situazione porterebbe ad uno sconforto maggiore.
Molti dei suoi spunti sono assolutamente condivisibili, ma devo sottolineare il mio disappunto con la citazione di Jack Lang riferita alla città moderna, che “non è l’espressione di una società ma quella dei poteri che la dirigono.”
Questo è un alibi che non accetto, né da architetto, né da cittadino, né da uomo.
Una città non viene su come una coltivazione spontanea di funghi, per cui noi uomini siamo costretti solo subire ciò che il caso ci propone. LA CITTÀ È SEMPRE ESPRESSIONE DI LA COSTRUISCE, COME I POLITICI SONO ESPRESSIONE DI CHI LI VOTA!
LA RESPONSABILITÀ, è vero, è dei POLITICI perché usano l’edificabilità dei suoli come merce di scambio elettorale. Ma quando si parla di merce i soggetti della compravendita sono sempre due!
LA RESPONSABILITÀ è dei PROPRIETARI dei fondi perché hanno pensato solo al personale profitto immediato e concreto.
La responsabilità è degli “URBANISTI” perché non sanno nulla di “disegno della città”, e dovrebbero spostare la loro attenzione dall’urbanistica all’”URBANISMO”, cioè al “linguaggio della forma della città” (ma mi rendo conto di chiedere troppo!).
LA RESPONSABILITÀ è dei COSTRUTTORI perché hanno realizzato pensando solo al massimo profitto.
LA RESPONSABILITÀ è degli INGEGNERI perché pur non essendo dei progettisti (!) hanno avuto la presunzione di saper realizzare edifici solo grazie alla loro conoscenza della SCIENZA e della TECNICA DELLE COSTRUZIONI.
LA RESPONSABILITÀ è degli ARCHITETTI perché sono loro ad essere i diretti responsabili del buon costruire e dell’immagine della città, ed invece sono stati, EVIDENTEMENTE, per incompetenza o per menefreghismo, complici di un sistema che non necessita di lunghi dibattiti o trattati di cultura urbanistica-architettonica-sociale, ma ha un nome e un cognome: SPECULAZIONE EDILIZIA!
LA RESPONSABILITÀ è di tutte le vere PERSONE DI CULTURA che nulla fanno per gridare “il Re è nudo!”, che la città di Eboli è tutt’altro che bella e soprattutto non funziona!
LA RESPONSABILITÀ del mortificante aspetto della forma della città di Eboli è dei suoi CITTADINI!
Non voglio entrare nel merito di cosa si dovrebbe fare, quale strategia adottare o quale opera realizzare per migliorare la città. Non è questa la sede opportuna per farlo. Ma spero davvero che il suo scritto possa essere il “la” per cominciare una seria riflessione sulla qualità urbana della nostra città tra chi dovrebbe conoscere la materia, per dare un contributo reale a quelle finte ed inutili “discussioni partecipate” che qualcuno ha citato, e non continuare a lasciare questo argomento a chi non sa neanche di che parla.
Rispettosamente, Antonio Sinopoli.
Chiedo scusa all’architetto Marsilia per aver storpiato il suo cognome.