Europa SI, Europa NO, Europa NI. La protesta contro Rama circoscritta a Tirana il resto del Paese osserva, è distratto.
Nuove proteste, vecchi problemi politici a posizioni alternate il Partito Democratico chiede le dimissioni del Premier Rama, accusandolo di brogli elettorali, corruzione e di aver rallentato l’ingresso dell’Albania in Europa. Ma gli albanesi veramente vogliono entrare in Europa?
per POLITICAdeMENTE dall’inviato Massimo Del Mese
TIRANA – Sabato scorso a Tirana, capitale dell’Albania, ci sono state nuove proteste contro il governo del primo ministro Edi Rama, accusato di corruzione, anche se c’è chi sostiene che non vi siano grandi prove, e chi al contrario ritiene che vi siano centinaia di dischetti video che testimonierebbero palesi imbrogli elettorali, perpetrati alle ultime elezioni del 2017, che avrebbero manipolato i risultati, e di conseguenza avrebbero consegnato una maggioranza assoluta al premier Rama.
“Chi la fa l’aspetti“, recita un proverbio che calza a “fagiolo” pensando ai disordini di sabato scorso, la 12^ manifestazione di protesta dall’inizio dell’anno, contro il primo ministro ed ex Sindaco di Tirana Edj Rama, ma soprattutto, tornando indietro con gli anni, pensando a quelle che lo stesso Rama organizzó nel 2011 come leader della opposizione e del PSA, contro l’allora Primo Ministro Sali Berisha. Proteste nuove problemi politici e accuse vecchie sebbene per il momento il focolaio della protesta sia circoscritta solo alla capitale e per niente nelle altre Città. A Durazzo, Valona, Scutari gli albanesi guardano la TV nazionale e quelle estere, principalmente le italiane, che invero descrivono una situazione da pre-guerra civile.
Le proteste però ci sono state, 12 dall’inizio dell’anno con quella di sabato, laddove migliaia di persone legate al principale partito di opposizione, il Partito Democratico, per intenderci quello di Berisha, ora guidato da Lulzim Basha nel corso delle quali sono state lanciate bombe incendiarie contro il Palazzo che ospita gli uffici del Primo Ministro Rama e contro quello del Parlamento, nel pieno centro della città, e negli scontri, diverse persone, tra cui cittadini e uomini delle forze di polizia, sono rimaste ferite.
L’Albania, secondo l’accusa, sarebbe potuta entrare a far parte dell’Europa già nel 2018, data fissata per l’inizio dei negoziati, successivamente rimandata in attesa dell’approvazione della riforma del sistema giudiziario albanese, che i protestatori del Partito Democratico ritengono corrotto e poco affidabile.
Edi Rama, leader del Partito Socialista albanese e primo ministro dell’Albania dal 2013, rieletto con una maggioranza assoluta in Parlamento nel 2017, dal canto suo, commentando la natura delle manifestazioni di sabato scorso si è detto “rattristato” per la richiesta delle sue dimissioni e di rimando ha accusato i partiti di opposizione di aver danneggiato più il Paese che il suo Governo, manifestando la sua intenzione di completare il suo mandato fino alla scadenza prevista per il 2021, ma le opposizioni, al contrario vorrebbero andare immediatamente alle elezioni.
Dicevamo “chi la fa l’aspetti” e val la pena ricordare ancora che sebbene le proteste siano nuove i temi politici che si utilizzano sono vecchi, praticamente gli stessi che a sua volta utilizzò Lulzim Basha, allorquando leader dell’opposizione Socialista protestò contro Berisha Premier e leader del Partito Democratico. Le accuse a posizioni invertite erano simili, gli scontri però furono più violenti e segnarono il declino di Berisha stesso.
Europa Si, Europa No, Europa “NI”. Ma sicuro che gli albanesi veramente vogliono entrare in Europa? È conveniente per l’Albania negoziare un ingresso dando fondo a tutte le sue riserve per uniformarsi ai trattati Europei? A giudicare da come il resto del Paese segue la Protesta e distrattamente ne osserva gli sviluppi, sembrerebbe di No. In questo momento il Paese è abbastanza favorito negli scambi commerciali e una ripresa che tocca il turismo, la produzione e i commerci nel momento in cui si “pareggiano” i fondamentali frenerebbe lo slancio del Paese, oltre al fatto che potrebbe generare una lievitazione delle ricchezze, che a sua volta porterebbe nel breve tempo ad una situazione economica come quella in cui si è trovata la Grecia.
Questo, senza nulla togliere al ruolo che le opposizioni devono svolgere mantenendosi però in un alveo di conclamata civiltà politica, lo sanno e lo dicono tutti, lo sanno e probabilmente non lo dicono nemmeno le opposizioni, il cui primo obiettivo è quello di disarcionare il “condottiero“. E noi scommetteremo che da qui a qualche anno si monteranno nuove proteste simili a quelle di oggi e quelle del 2011.
L’Albania e gli albanesi, più che l’Europa rincorrono il “sogno italiano“, è con l’Italia che si sentono legati e da secoli, e di quel legame ne è prova da una parte le numerose comunità che nel corso dei secoli hanno trovato dimora in Italia e dall’altra, più recentemente riferendoci al secolo scorso il freno imposto dal regime Comunista oltranzista che ha bloccato ogni sua spinta propulsiva. Se questi due fattori non avessero creato spinte contrapposte l’Albania sarebbe potuta essere l’ultima Regione italiana, e con uno statuto speciale conservare la sua autonomia regionale.
Ma la domanda oggi è sempre la stessa: Gli albanesi veramente vogliono entrare in Europa? La “freddezza” del resto del Paese nei confronti dell’azione politica delle opposizioni sembrerebbe glaciale, ora non resta che aspettare gli sviluppi.
Tirana, 16 maggio 2019