Ignorare il costo energetico ed ecologico e concentrarsi solo su quello monetario dell’estrazione ha condotto il pianeta alla attuale condizione.
Nessun timore per la modernità, ma andrebbe assunta una posizione responsabile e precauzionale.
di Erasmo Venosi
Il 22 aprile si celebrerà il quarantesimo anniversario di Earth Day e paradossalmente i “Potenti” del pianeta hanno condiviso una pericolosa strategia di stallo (fallimento della Cop 15 di Copenaghen) rispetto alle decisioni che sarebbero necessarie assumere in campo ambientale. Negazionisti delle responsabilità dell’uomo rispetto al riscaldamento globale, lobby delle fonti fossili e “armate” di media di proprietà stanno conducendo ad una rischiosa situazione di mancate decisioni e assunzioni di responsabilità su questioni prioritarie che riguardano l’oggi e il futuro.
Nessun anacronistico timore della modernità ma una posizione responsabile e precauzionale andrebbe assunta. Volendola mettere brutalmente in termini, scientifici gli impatti ambientali prodotti dalla crescita dipendono da tre variabili (equazione di Holdren): popolazione, ricchezza pro capite e tecnologie. Insomma l’insostenibilità ambientale dipende dal numero delle persone, da quante cose il sistema produttivo produce e dal modo come queste cose sono prodotte.
Nei mondi vuoti e semivuoti e dell’abbondanza delle risorse del Neolitico e dell’Olocene non esistevano problemi di limitatezza di risorse e l’inquinamento non aveva assunto dimensioni planetarie. In duecento anni siamo passati da 500 milioni di abitanti a circa 7 miliardi! I lietopensanti (un neologismo di Giovanni Sartori) pensano che la tecnica e le innovazioni supereranno ogni angoscia legata alla limitatezza delle risorse. Ma questo è assolutamente falso! Basterebbero già le prime due leggi della termodinamica a smentirli: la tecnica non crea nulla, può solo trasformare, e in ogni trasformazione materia ed energia vengono trasformate in qualcosa di inutilizzabile. L’illustre e inascoltato sconosciuto Roegen da tempo predica che il Pil non deve essere massimizzato ma ottimizzato e che la via dello sviluppo coincide nel trarre utilità crescenti da sempre minori risorse.
Insomma la soluzione consiste nel passare dalla crescita illimita, alla gestione intelligente di ricchezza e risorse. Il prerequisito per ottenere tutte le altre risorse è la disponibilità di energia, e le fonti fossili sono le più importanti forme di energia che usiamo. Gli ottimisti irridono le posizioni che denunciano l’esauribilità di petrolio e gas e riducono tutta la questione al problema degli investimenti nella ricerca. Indipendentemente dai comodi e strapazzati valori numerici relativi alle disponibilità di petrolio, si ignora (ma questo accade anche per l’uranio usato nel nucleare) che il vero parametro da utilizzare nelle stime sulle risorse energetiche è il rapporto tra l’energia prodotta e quella spesa (EROEI) e che chi investe vuole essere remunerato (maggiorazione congrua del valore dell’EROEI).
Ignorare il costo energetico ed ecologico e concentrarsi solo su quello monetario dell’estrazione ha condotto il pianeta alla attuale condizione. Il picco di produzione non è lontano e banalizzare la curva a forma di campana che evidenzia il massimo e poi il declino della produzione (curva di Hubbert) è argomento forse elegante ma pericoloso. La politica è felice di non decidere se le viene fornita la “stampella” giustificativa. Crescono così gli attacchi dei negazionisti a quanti istituzionalmente, come l’IPCC, si occupano di riscaldamento globale.
Argomenti giustificatori del riscaldamento globale come le cause naturali (variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, dell’angolo di inclinazione dell’asse terrestre, della linea di precessione degli equinozi, macchie solari, radiazione cosmica, emissioni vulcaniche ) hanno trovato adeguate risposte nel IV Rapporto di IPCC. Le argomentazioni dei negazionisti si rifanno a contestatori del global warming (www.oism.org) e a istituti di marcato orientamento politico (www.marshall.org).
Ai negazionisti nostrani una domanda: com’è spiegabile, al di fuori delle cause antropiche, la diminuzione negli ultimi decenni della concentrazione di carbonio tredici, la cui concentrazione è particolarmente bassa nei combustibili fossili se paragonata con la concentrazione dello stesso (C 13) proveniente da altre fonti di emissioni? Cambiamenti climatici, biodiversità perduta, inquinamento da azoto, assottigliamento dell’ozono, aumento dell’acidità oceano, consumo del suolo e di acqua richiedono una riconversione sotenibile del sistema energetico. Nessun integralismo e costose scelte unilaterali ma scelte: che, ormai, non sono più rinviabili.
di Erasmo Venosi “Terra”
Erasmo Venosi riesce sempre ad interessare ed i suoi articoli assumono sempre più l’aspetto di perle rare destinate ai “porci” (è un modo di dire, nessuno si offenda).
Mi piacerebbe che il dott. Venosi rispondesse a queste mia domande:
1) Cosa ne pensa delle teorie di Bill McKibben sulla necessità della crescita zero?
2) Ritiene che la curva di produzione dei combustibili fossili sia molto vicina al suo picco? E che significa vicina? Quanti anni avremo ancora di autonomia?
3) Lei crede nelle soluzioni energetiche locali, sia in termini di efficienza produttiva che di sostenibilità dei costi per i singoli utenti?
4) La globalizzazione è un processo reversibile? E’ auspicabile per il nostro pianeta un ritorno ad una dimensione meno globalizzata?
5) Sono affascinato dal discorso di McKibben, quando dice che la società dovrebbe essere misurata non in termini di crescita ma in altri termini, ad es. di soddisfazione, di qualità della vita, di numero di amici pro capite. Con questi parametri forse anche noi del sud Italia potremmo cominciare a misurarci con il nostro nord. Lei cosa ne pensa?
viva la liberta’ wwwwwwooooooooowwwwwww
i cambiamenti previsti varieranno in maniera significativa tra le varie regioni del globo.
Particolarmente gravi saranno le conseguenze per i Paesi in via di sviluppo, i più vulnerabili anche per effetto delle loro ridotte capacità di adattamento. Nel settore agricolo, ad esempio, i Paesi in via di sviluppo rischiano di andare incontro a crescenti incertezze per quanto riguarda la disponibilità di cibo e persino a un aumento della frequenza e della durata delle carestie. La ridotta disponibilità di cibo potrebbe far crescere la migrazione di popolazioni alla ricerca di territori più idonei allo sviluppo di condizioni normali di vita. Per i Paesi industrializzati, gli impatti più significativi riguarderanno l’intensità e la frequenza degli eventi estremi, il ciclo idrologico e la disponibilità di acqua, la salute. L’esperienza di alcuni eventi estremi recenti suggerisce che, per le aree urbane, i processi di adattamento potrebbero risultare costosi e comportare elevati costi sociali.
Per tutta l’Europa meridionale, le modifiche climatiche previste dagli scenari climatici dell’IPCC (incremento delle temperature tutto l’anno, riduzione delle precipitazioni estive, aumento di intensità e di frequenza di forti precipitazioni) comporteranno la riduzione della disponibilità di risorse idriche, l’aumento del rischio di alluvioni, il deterioramento della qualità dei suoli, l’aumento della frequenza degli incendi, la crescita dell’erosione e la perdita di zone umide nelle aree costiere.
Il quadro degli impatti previsti risulta particolarmente critico per l’Italia, che soffre peraltro di condizioni di dissesto idrogeologico del territorio che compromettono la capacità di rigenerazione delle sue risorse, nonché la sua capacità di mitigare gli effetti di eventi climatici estremi. Le analisi più recenti delle serie meteorologiche effettuata dal CNR mettono infatti in evidenza che, già oggi, l’andamento dei principali parametri climatici risulta in linea con quello riscontrato a livello globale e previsto dall’IPCC per il 21° secolo. In generale, il clima italiano sta infatti diventando più caldo e più secco, in particolare nel Sud, a partire dal 1930. Nello stesso tempo, in tutta l’Italia settentrionale, l’intensità delle precipitazioni è andata crescendo negli ultimi 60-80 anni, con un aumento del rischio di alluvioni in questa regione, in particolare nella stagione autunnale quando il rischio di alluvioni è massimo. Infine, l’innalzamento delle temperature e il cambiamento del regime delle precipitazioni avranno serie conseguenze anche sui ghiacciai.
Il clima del nostro pianeta è dinamico e si sta ancora modificando da quando la Terra si è formata. Le fluttuazioni periodiche nella temperatura e nelle modalità di precipitazione sono conseguenze naturali di questa variabilità. Vi sono comunque delle evidenze scientifiche che fanno presupporre che i cambiamenti attuali del clima terrestre stiano eccedendo quelli che ci si potrebbe aspettare a seguito di cause naturali.
L’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera sta causando un corrispondente incremento della temperatura globale della Terra. Le rilevazioni effettuate hanno dimostrato che undici degli ultimi dodici anni (1995-2006) sono stati i più caldi mai registrati da quando si hanno misure globali della temperatura alla superficie (dal 1850). Inoltre si ritiene che la temperatura media globale superficiale possa aumentare di 1,1-6,4°C nel secolo in corso, pur con significative variazioni regionali.
Il riscaldamento è maggiore nelle aree urbane sia a causa dei cambiamenti che si sono verificati nelle coperture dei terreni che per il consumo di energia che avviene nelle aree densamente sviluppate (fenomeno conosciuto come “isole di calore”).
In ogni caso, secondo l’IPCC, la probabilità che l’aumento delle temperature sia causato esclusivamente da fenomeni naturali è estremamente bassa, inferiore al 5%: questi cambiamenti sono causati dalle attività umane. Pensiamoci su con buon senso e aggiunto ad un pacato confronto!