Entro il 2010 il 3% della ricchezza prodotta in Europa andrà alla ricerca.
……………. … ……………
di Erasmo Venosi
ROMA – L’Agenda dell’Unione Europea ha aggiunto nel 2002 all’Agenda di Lisbona del 2000 l’obiettivo di destinare entro il 2010 a Ricerca e Sviluppo il 3% della ricchezza prodotta in Europa. Il teorico principale degli effetti dell’innovazione sullo sviluppo economico resta Joseph Schumpeter (“Teoria dello Sviluppo Capitalistico”).
Il Nobel dell’economia Arrow in un articolo di 40 anni fa “Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention”, affermava che l’investimento in ricerca non era molto compatibile con l’esigenza del profitto. La conclusione era che tale ragione “imponeva” che la ricerca dovesse essere sostenuta dallo Stato. L’innovazione conseguente alla ricerca è la forza che può raddrizzare la storia e determinare il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
L’innovazione modifica le strategie aziendali, orientate alla difesa di quote di mercato conquistate anni fa e concentrate sulla riproposizione di prodotti, servizi e processi produttivi del tempo che fu e che sono perdenti , nella lotta per la sopravvivenza delle aziende. Il lavoro non si conserva senza innovazione. Che cosa hanno effettivamente prodotto i Governi sul versante della Ricerca? Molto poco , e insufficiente a determinare quella rottura di paradigma che la crisi finanziaria prima ed economico-sociale dopo ha prodotto.
La ricerca è stata considerata dalla politica un bene voluttuoso, da ridurre o eliminare nei momenti di crisi economica. Nel 2006 questo comparto era un punto centrale del programma di governo , ma questo non evitò un taglio del 30% ai finanziamenti, che diminuirono da 130 milioni di euro a 80.Incredibilmente nel 2007 furono prelevati dal fondo per la ricerca 30 milioni di euro per concederli agli autotrasportatori. Il governo Berlusconi poi, subentrato ha poi devastato con grande determinazione, università e ricerca con l’obiettivo della loro completa privatizzazione, in totale negazione con quanto dimostrato dai maggiori studiosi di settore come Arrow, Aghion e Howitt.
La legge 133 del 2008 ha ridotto di un quinto il finanziamento ordinario all’Università e quindi anche alla ricerca scientifica. Blocco del turnover e possibilità per le Università con i conti a posto di destinare il 60% dei posti ai ricercatori. La legge Gelmini del 2009 prevede che devono essere emanate i criteri valutativi per titoli e pubblicazioni nei concorsi a ricercatore. Ad oggi nulla è avvenuto! Perplessità suscita l’esperimento istituito dal Ministro dell’Economia: nel 2004 nasce l’Istituto Italiano di Tecnologia con una dotazione annua di 100 milioni di euro.
Risultano non spesi circa 400 milioni di euro, e va positivamente registrata la rete collaborativa costituita con alcuni centri di ricerca italiani di eccellenza (Politecnico di Milano, San Raffaele, la Normale di Pisa il Laboratorio di Nanotecnologie di Lecce e altri). I campi di ricerca sono robotica, neuroscienze e nanobiotecnologie. Direttore scientifico di IIT è il Prof Cingolani e membro del Comitato Scientifico il Prof. Veronesi.
Sicuramente i settori di ricerca identificati sono interessanti, ma sarebbe stato meglio una procedura pubblica aperta a tutti e valutata da soggetti terzi. Il finanziamento della ricerca dell’Istituto in cui il Prof Veronesi è direttore scientifico e quella di finanziare il Laboratorio di Nanotecnologie ha determinato un conflitti d’interesse che nel settore strategico della ricerca sarebbe stato meglio evitare adeguando le procedure alle migliori esperienze internazionali.
Pesanti critiche sono giunte all’IIT in un articolo su “Science”, dove alcuni scienziati coinvolti nella progettazione dell’Istituto, denunciano il mancato recepimento dei loro suggerimenti Nell’articolo si cita un Rapporto negativo su IIT , commissionato dall’ex Ministro Padoa Schioppa e mai reso pubblico dal suo successore.
Erasmo Venosi
Quando si parla di ricerca troppo spesso si focalizza l’attenzione solo sull’ammontare dei finanziamenti, trascurando i veri handicap della ricerca in Italia che sono la disorganizzazione, la mancanza di trasparenza e di controllo, la verifica dell’efficacia delle attività. Ci sono montagne di denari che vengono spesi per sostenere attività di ricerca inconcludenti, che producono solo convegni e pubblicazioni sterili senza alcun reale interesse scientifico e quel che è peggio senza alcun impatto positivo sull’economia del territorio.
L’Università è un mondo profondamente malato che va riformato radicalmente. Purtroppo ogni tentativo di riforma incontra la rivolta proprio degli studenti, che non si rendono conto di star difendendo proprio quel sistema che soffoca ogni loro possibilità di crescita e la speranza di una leale competizione.
Buttare altri soldi in quel carrozzone senza riformarlo, renderà solo più solidi i preesistenti centri di potere senza dare alcun beneficio al Paese.
Bisogna capire che le piante non vanno solo annaffiate, vanno anche potate.
Mi spiace, ma proprio non riesco a tacermi di fronte alla gravità di certe osservazioni. “Pubblicazioni sterili, nessun impatto sull’economia, gli studenti non si rendono conto…”
Vede, sig. Inverso, non è tanto il merito di quanto afferma, su cui si potrebbe ( e si dovrebbe) ragionare in una maniera che trascende le logiche comuniticative di un web, che mi preoccupa. Mi preoccupa, e molto, invece, la pericolosità di veicolare pubblicamente questi tipi di messaggio.
Vede, sig. Inverso, mai bisognerebbe dimenticare, al di là delle rispettabilissime opinioni personali, che il valore della ricerca va ben oltre i risultati che produce. La ricerca rappresenta la possibilità che abbiamo di proporre idee che saranno valutate attraverso il vaglio rigoroso della scienza. E questo, seppur sfortunamente non ci dovesse rendere più ricchi, ci rederebbe di certo tutti, in vario modo ed in varia misura, migliori.
Una giovane ricercatrice.
Devo condividere pienamente le parole del Sig. Inverso, aggiungendo che oltre alle già citate criticità della ricerca accademica italiana (disorganizzazione, mancanza di controlli, ecc), il male più profondo è il nepotismo e il clientelismo che minano alle basi la ricerca universitaria italiana perchè fanno crollare il pilastro fondante principale: la meritocrazia. Non condivido invece l’idea che la ricerca possa rappresentare un mero esercizio mentale di proposizione di idee. Credo che la ricerca (pubblica e privata, si badi bene) vada organizzata secondo schemi di pianificazione strategica nazionale e indirizzata alla soluzione di problemi di interesse pubblico e che i risultati debbano poter essere misurati e valutati in efficacia e in ricadute sulla nostra organizzazione economica e sociale. Insomma non è più rimandabile una profonda riforma della ricerca in Italia, tenendo conto che nei momenti di crisi economica, investire in ricerca consentirebbe di farci trovare avanti nel momento in cui la crisi finisce.
“Non condivido invece l’idea che la ricerca possa rappresentare un mero esercizio mentale di proposizione di idee”. Parla forse della ricerca c.d. pura, (poco) diversa da quella applicata?
è la mentalità aziendale che ne sta mortificando il valore, trattandola come un lusso di cui in tempo di crisi ci si dovrebbe quasi vergognare.
Eppure, dal quel “mero esercizio mentale di proposizioni di idee” è nato, per esempio, il modello copernicano e da lì, ad esempio, il laser che usiamo per scrivere e leggere i Cd o gli strumenti per fare le mammografie per combattere i tumori. Mica poco per un puro esercizio intellettuale di chi si dilettava a interrogarsi sulle origini dell’universo?
Sono convinta, per quanto poco valga la mia opinione, che nessun esercizio intellettuale, quando sottoposto al vaglio rigoroso della scienza, sia inutile. Mai, in ogno caso, quanto l’applicare alla Cultura del Sapere la mentalità aziendale degli speculatori interessati solo al profitto immediato.
Non c’è un solo governo che favorisce la ricerca e quindi la finanzia. I ricercatori, quelli che magari hanno un contratto a tempo determinato e quelli invece che con pochi mezzi si tuffano negli studi e attraverso la sete di conoscenza vogliono andare oltre il conosciuto, addirittura vengono mortificati e abbandonati a se stessi.
Le ragioni sono molteplici e vanno solo ed esclusivamente nella logica del profitto, e così accade che la ricerca pagata e finalizzata solo al marketing e al business, raggiunge risultati anche eccellenti ma poi spesso (sempre) quei risultati non sono accessibili a tutti perché costosi o peggio ancora alcuni vengono taciuti, per evitare impatti sull’economia.
Così noi ci troviamo a 50 anni dalla fine delle riserve petrolifere e ancora non siamo in condizione di indicare quale sia l’alternativa alle fonti energetiche esauribili a basso costo e a grande produzione.
Devo dire io il perché?
Se parliamo poi nel campo della medicina, ma chi vuoi che finanzi studi su particolari patologie mediche rare?
Potrei continuare, ma purtroppo sarebbe solo un lungo elenco che ci farebbe arrabbiare ancora di più.
Purtroppo la logica del profitto e dei numeri non può essere applicata su tutto.
Si deve essere consapevoli che alcuni settori non rientreranno mai in questa logica, non per questo si deve trascurarli. Questo è un errore che si sta perseguendo negli ultimi anni anche in Italia e soprattutto nella Sanità pubblica. Con la scusa di abbattere gli sprechi, che pure ci sono, negli ospedali si tende a disfarsi di reparti che non sono “produttivi”, e così magari tutti vogliono le specialistiche e nessuno la geriatria.
Che dobbiamo fare con gli anziani, poiché costano li dobbiamo sopprimere?
Ecco, la ricerca deve ambire a mete raggiungibili ma sconosciute, deve essere libera e i risultati devono essere disponibili e subito a tutti e con costi contenuti. Utopia?