Crollo del Ponte Morandi di Genova: Riflessione dell’ingegnere Gabriele Del Mese.
Riccardo Morandi, medaglia d’oro degli ingegneri strutturisti e il collasso del viadotto di Genova. Ing. Del Mese: “L’Italia è sotto shock, la reputazione dell’Ingegneria è gravemente ferita“.
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
ROMA – A distanza di pochi giorni dal crollo del Ponte Morandi di Genova e al dolore che ha scosso l’Italia e gli italiani per tutte quelle vittime innocenti, sono ancora cocenti le polemiche e i processi sommari che a caldo sono stati celebrati dopo gli autorevoli interventi di un bel po’ di gente che a vario titolo hanno espresso pareri “tecnici” da grandi esperti come: il capo del M5S e vice Premier Di Maio; il Ministro Toninelli; il Premier Conte; il vice premier Salvini; e tutti quelli con quelle facce “un po’ così”, con giornalisti “compiacenti” hanno convinto gli italiani su come, quando, perché e chi è che sono i colpevoli, e specie dopo i tanti esperti come il Presidente dell’Associazione “Locustre ritrovate” e il segretario del “circolo dei Mini Puffi animati“, finalmente la parola a qualcuno che può parlare da tecnico, da studioso, da esperto per i ruoli e una professione brillante esercitata nella sua vita, in tutto il Mondo e tra i più bravi del Mondo.
Si tratta dell’Ing. Gabriele Del Mese, salernitano di Eboli, che nella sua carriera internazionale è stato responsabile per la progettazione e la costruzione di un gran numero di progetti complessi, inclusi ospedali, università, teatri, impianti sportivi, edilizia terziaria ed edifici industriali, ponti, aereoporti, Città e via di seguito, tutte cose straordinarie per chi non ne capisce, ordinarie per chi pratica il “saper osare“, professionalmente apprezzate per chi vive ed opera nel settore delle grandi progettazioni integrate, lasciando alla storia opere moderne di grande valore: artistico, tecnico, tecnologico e soprattutto innovativo.
Ma chi è Gabriele Del Mese? Può permettersi di parlare specie dopo le argute e competenti dissertazioni del Presidente dell’Associazione “Locuste ritrovate” e il segretario del circolo dei “Mini Puffi animati“, dei quali, pare, Premier e Ministri abbiano grande considerazione? Se il Mondo in Italia pare andare alla rovescia ci può provare, e provandoci lo fa con molto garbo e, ovviamente, “sotto voce”, specie se le considerazioni che egli e magari vuole che queste arrivino a chi di dovere e che aprano una discussione vera e competente che può fare solo bene in questo momento che pare tutti parlino a “spiovere”.
Nel 2000 fonda Arup Italia con sede a Milano e successivamente a Roma. E’ membro della Institution of Structural Engineers (MIStructE). Alcuni dei suoi progetti: Palahockey, Torino; Stazione TAV Firenze; Il Sole 24 Ore, Milano; American Air Museum, Duxford, UK; Commerzbank HQ, Francoforte, Germania e tanti altri di ogni parte del Mondo.
Nel 2004, riceve la Medaglia d’Oro del premio Cittadini Illustri, istituito dalla Camera di Commercio di Salerno per rendere omaggio ai salernitani che si sono distinti ed hanno avuto successo nel Mondo.
Nel 2009 è stato insignito della Laurea ad Honorem in Ingegneria Civile e Architettura presso il Politecnico di Milano. E’ visiting professor in diversi istituti internazionali e università italiane.
Promotore e sostenitore della progettazione integrata multi-disciplinare come approccio ideale per raggiungere un livello di qualità unitaria, metodologia perseguita negli anni da Arup e che ne ha fatto un modello in termini di eccellenza e una garanzia di risultato, facendone divenire Gabriele Del Mese paladino nel Mondo.
Un bagaglio professionale quello di Del Mese, di livello internazionale di tutto rispetto che gli consente di intervenire, appunto, in punta di piedi e a bassa voce rispetto ad una tragedia che oltre ad aver procurato un immenso dolore per le vittime rischia di mettere sotto accusa una parte importante delle professionalità e delle imprese, oltre che delle tecnologie italiane, punto di riferimento mondiale nel settore delle grandi infrastrutture ed altro.
di Gabriele Del Mese
pubblicato: 20/08/2018 sulla rivista PPAN
«Il crollo del Ponte di Genova rappresenta un preoccupante campanello d’allarme che ci impone di rivedere e controllare tutte le opere infrastrutturali costruite in Europa dal dopo guerra in poi”
Quelle che seguono sono considerazioni del tutto personali, fatte a monte del recente tragico crollo del viadotto sul Polcevera a Genova. Non ci sono ‘giudizi’ su quelle che potrebbero essere state le molteplici cause del crollo. Queste saranno investigate dagli esperti nominati al proposito, con la speranza e l’augurio che con il loro lavoro, da questa tragedia si possa imparare ancora di più come percorrere la difficile strada dell’eccellenza professionale per una ingegneria creativa, e per il suo ruolo sociale nella evoluzione dell’umanità.
Questi sono i punti alla base delle mie riflessioni:
- L’ingegneria italiana era la migliore al mondo in quel periodo per questo tipo di opere, e Morandi e Nervi, tra gli altri, insieme alle imprese italiane sono stati giganti innovativi che hanno operato in un momento difficile e con poche regole. A loro, negli anni futuri, tutti ancora si ispirano e si ispireranno;
- Il meglio di oggi in un settore specifico tecnologico dell’ingegneria non sarà necessariamente il meglio tra 50 anni nello stesso campo; anzi… bisogna convincersi che le nostre opere di ingegneria e architettura hanno vita limitata in senso fisico ma non necessariamente in senso creativo, artistico e di progresso scientifico;
- L’assenza di regolamenti, o – se ci sono – i Regolamenti stessi non devono mai limitare o reprimere la creatività e l’innovazione ma devono incoraggiarla;
- Creatività e innovazione sono il sale della terra, ma bisogna accettare che vanno mano a mano con il rischio;
- Senza innovazione, senza il rischio che ne deriva, e senza gli innumerevoli crolli accaduti nella lunga storia dell’umanità oggi non potremmo ammirare i capolavori romani, quelli gotici, i grandi ponti, etc etc.
Conosco bene questo ponte, non solo perché lo studiammo all’Università, ma anche perchè l’ho attraversato tante volte andando a Genova. È crollato il 14 agosto 2018, spezzando la vita di molte persone e rendendone tante altre sfollate, perchè le loro case erano costruite sotto questa struttura.
La città di Genova è a lutto e l’Italia è sotto shock, mentre la reputazione stessa dell’Ingegneria è gravemente ferita. La situazione è ancora confusa e ci vorrà del tempo prima che un’indagine appropriata spieghi i molteplici motivi di questo crollo.
Amministratori, politici, architetti ed ingegneri sono stati interpellati in TV ed ognuno ha dato una sua interpretazione, reagendo ad un primo impulso, spesso senza avere alcuna conoscenza specifica dei problemi connessi con la progettazione, costruzione e manutenzione di queste complesse opere infrastrutturali, col rischio di aumentare la confusione presente e offuscare le lezioni che tutti disperatamente vogliamo imparare da questo tragico disastro.
Non c’è dubbio che presto, apposite commissioni di esperti nazionali ed internazionali saranno al lavoro per individuare le cause del crollo e dare poi linee guida per la futura progettazione di queste opere, la loro manutenzione e la loro aspettativa di vita utile.
Lo sviluppo di infrastrutture è stato dagli albori della civiltà il fattore principale che, anche attraverso guerre e conquiste, ha condizionato la crescita del progresso umano. È quindi utile menzionare brevemente i difficili anni e il clima generale politico e sociale, sia in Italia che in Europa, nel periodo non troppo lontano, quando la maggior parte delle infrastrutture che, ancora oggi usiamo, fu ritenuta urgente e necessaria e fu costruita.
Muratura e legno sono stati per secoli i principali materiali da costruzione in Italia ed in Europa. Il loro uso nel corso dei tempi e con tutte le sfumature di sensibilità culturale da nazione a nazione, ci ha lasciato dei capolavori indiscussi fino alla seconda guerra mondiale. L’enorme distruzione che questo evento causò ed il conseguente e urgente bisogno di ricostruzione, segnò in effetti la fine dell’uso di questi materiali in tutta Europa.
Il cemento armato, materiale relativamente nuovo, fu scelto, per una serie di motivi socio-economici, come materiale primario per la ricostruzione post-bellica e, in qualche modo, fu adottato a rappresentare la loro era, l’era della rinascita. Tra le molte ragioni per questa scelta c’era il fatto che fosse facilmente disponibile e quindi economico, con buone resistenze statiche e soprattutto aveva il grande pregio di poter essere manipolato per riprodurre qualunque forma di qualsiasi dimensione e spessore, disegni scultorei e architetture insolite. Una delle dichiarazioni di maggior effetto, relative all’uso del cemento armato, era che si poteva usare come se fosse ‘marmo fluido’. La scelta fu anche incoraggiata dal fatto che era disponibile un’abbondanza di mano d’opera artigianale di alta qualità e soprattutto molto economica, con carpentieri capaci di produrre casseforme lignee difficili e predisporre in esse armature con andamenti intrigati, che potevano addirittura seguire le linee isostatiche delle tensioni. Questo dava ai progettisti la sensazione di un controllo totale sul materiale che usavano ed inoltre lo potevano utilizzare nel migliore dei modi, sia in-situ che in complicate forme prefabbricate.
L’uso strutturale dell’acciaio non era percorribile a causa del suo costo molto elevato dopo la guerra.
Il progettista dell’imponente viadotto a Genova fu Riccardo Morandi (1902-1989) che insieme al suo contemporaneo Pier Luigi Nervi (1891-1979), entrambi con sede a Roma, furono due giganti in questo settore. Questi due ingegneri italiani abbracciarono la difficile sfida della ricostruzione del dopo guerra. Erano in effetti dei visionari e come tali, idearono soluzioni che spesso andavano oltre i confini della scienza ingegneristica del loro tempo. L’eccellenza e l’innovazione dei loro progetti attirarono l’attenzione internazionale, al punto tale che, ad entrambi, in date successive, fu assegnata la prestigiosa ‘Medaglia d’Oro’ dall’Ordine degli Ingegneri Strutturisti del Regno Unito, gli unici italiani ad averla ottenuta, ad oggi: a Nervi nel 1967 e a Morandi nel 1980.
È interessante far presente che i capolavori di Nervi furono costruiti dalla sua stessa impresa, con la quale egli partecipava alle gare proponendo sia il progetto che la sua costruzione. Forse era convinto che le sue difficili forme plastiche non sarebbero state costruite facilmente e a costi accettabili da imprese tradizionali.
Ad ogni modo, la loro reputazione era tale, che entrambi lavorarono sia in Italia che all’estero.
Non è azzardato dire che in quel periodo le imprese e gli ingegneri italiani diventarono leader del settore ed acquisirono una reputazione senza pari in tutto il mondo.
Anche se i francesi hanno il credito di aver inventato il cemento armatoprecompresso, tuttavia questi due italiani lo portarono ad uno standard elevato, sia in opera che nella prefabbricazione, quando era ancora ai suoi albori.
Non c’è dubbio che sia Morandi che Nervi furono dei pionieri che generavano soluzioni innovative e creative, e tutti sanno che l’innovazione va mano in mano con una certa quantità di rischio.
Insieme ai progettisti e imprese del loro tempo, con enorme coraggio, costruirono opere iconiche e insolite, in un’epoca in cui praticamente non esistevano Regolamenti o Codici, non c’erano opere precedenti cui far riferimento, nè molte conoscenze nè record sulla durabilità dei materiali che usavano, peraltro con caratteristiche tecniche notevolmente inferiori a quelle odierne. Era anche assente una certa preoccupazione di possibili collassi progressivi, e mancavano in Italia appropriati riferimenti di sicurezza sismica.
Essi erano parte di un particolare tipo di ‘Rinascimento’ in quel periodo, quando illuminate politiche fecero sì che, nonostante il Paese fosse appena uscito in rovina da una guerra, mettessero le basi per una rinascita che produsse, tra tante cose, il miglior sistema autostradale d’Europa, progettando e costruendo in tempi record (1956-1964) più di 800 km di strade, viadotti e gallerie, per connettere Milano a Napoli lungo la dorsale appenninica attraverso montagne impervie.
Da veri pionieri brevettarono persino nuovi sistemi costruttivi (per il viadotto di Genova, Morandi usò il suo ‘Sistema M5’) e sperimentarono anche materiali compositi (il ‘Ferrocemento’ di Nervi).
Si può certamente dire che il loro lavoro ispirò sia gli ingegneri a loro contemporanei, che le generazioni future di tutte le nazioni.
Le loro opere sono state usate ed ‘abusate’ per più di 50 anni durante i quali tante cose sono drasticamente cambiate, a cominciare dall’enorme aumento di volume del traffico stradale, le dimensioni, i pesi e le portate dei mezzi di trasporto, una politica che ha preferito, in un Paese prevalentemente montagnoso, far muovere le merci su gomma piuttosto che su ferro. Sono anche cambiate le capacità di ‘performance’ degli stessi materiali strutturali usati negli anni ’50, i Codici e Regolamenti sempre più stringenti e avanzati, le tecniche di modellazione e analisi informatiche che sono oggi a disposizione di tutti e perfino le tecnologie di monitoraggio e manutenzione.
Paradossalmente, alla luce dei Regolamenti ed Eurocodici contemporanei, la gran parte delle opere di questi creativi sarebbe oggi fuori regola o addirittura illegale!
C’è da chiedersi come dobbiamo ‘vedere’ oggi i manufatti del nostro recente passato e come, più in generale, le future generazioni devono rapportarsi con il passato creativo ed innovativo dei loro predecessori a dispetto anche di qualche crollo o inevitabile sorpasso tecnologico dovuto al progresso.
Non c’è dubbio che i veri capolavori rimangono tali nel tempo. Dobbiamo però convincerci che la gran parte delle nostre costruzioni sebbene possa durare moltissimo, non è però eterna, specie se le condizioni d’uso alla base della loro progettazione mutano drasticamente e se manutenzione, monitoraggio e adeguamento tecnologico sono manchevoli o totalmente assenti.
Alcune opere del nostro recente passato, se ritenute ‘uniche’, devono essere trattate come tali sia con riferimento al monitoraggio che alla manutenzione e all’adeguamento. Se le condizioni d’uso dovessero cambiare in modo consistente, e la struttura iniziale fosse ritenuta ancora ‘salubre e in buona salute statica’ allora forse il loro uso dovrebbe essere limitato a quanto l’opera poteva portare inizialmente. Inoltre, se i costi di manutenzione di queste opere dovessero essere eccessivi, o addirittura superare quelli di una nuova costruzione, forse bisogna avere il coraggio di demolirle e sostituirle.
Per concludere: il ‘Ponte Morandi’ di Genova è il prodotto culturale e tecnico del meglio tecnologico degli anni ’50 e fu costruito negli anni ’60; è un’infrastruttura gigantesca sia per dimensioni che per il compito svolto; usa solo pochi ma essenziali elementi strutturali; è unico come forma, tecnica costruttiva e iconicità, come del resto la maggior parte delle sue opere. Fu concepito e costruito agli albori del cemento armato precompresso in una zona orograficamente molto complessa, usando materiali strutturali di moderata ‘performance’ se paragonati a quelli odierni. È stato usato per più di 50 anni in condizioni severe sia di traffico che ambientale, e forse ha operato con manutenzione o stima della sua reale capacità portante non sempre appropriata.
Questo tragico collasso non deve scoraggiare la ricerca dell’eccellenza dell’ingegneria creativa italiana ed internazionale, e deve darci la speranza che ci siano lezioni preziose da imparare da quanto accaduto. Questo rappresenta un preoccupante campanello d’allarme che ci impone di rivedere e controllare tutte le opere infrastrutturali costruite in Europa dal dopoguerra in poi.
Roma, 23 agosto 2018
Alle dotte considerazioni del prof. Gabriele Del Mese, non ci resta che avviare una seria riflessione su come aggiornare metodologie costruttive e normative performanti alla bisogna.
Sovviene una filastrocca profetica di quasi sessanta anni addietro di un noto ed amato poeta italiano, che tra una rima alternata, un frizzo ed un lazzo, evidenziava una tragica realtà:adro di “erre”
C’è, chi dà la colpa
alle piene di primavera,
al peso di un grassone
che viaggiava in autocorriera:
io non mi meraviglio
che il ponte sia crollato,
perché l’avevano fatto
di cemento “amato”.
Invece doveva essere
“armato”, s’intende,
ma la erre c’è sempre
qualcuno che se la prende.
Il cemento senza erre
(oppure con l’erre moscia)
fa il pilone deboluccio
e l’arcata troppo floscia.
In conclusione, il ponte
è colato a picco,
e il ladro di “erre”
è diventato ricco:
passeggia per la città,
va al mare d’estate,
e in tasca gli tintinnano
le “erre” rubate.
Gianni Rodari – (1962)
…io per nn saper ne leggere ne scrivere, non avrei fatto un ponte con due tiranti : isosstatico, ma ne avrei aggiunti altri due 2+2 . Lo schema iperstatico presenta maggiori possibilità di trovare configurazioni di equilibrio perima del crollo.