Inquinamento e danni ai fondali marini, al pescato, e al turismo.
I rischi delle ricerche in mare dell’oro nero
di Erasmo Venosi
ROMA – L’Europa ha prodotto tre direttive vincolanti per l’Italia: al 2020 il 17 per cento dei consumi finali deve provenire da fonti rinnovabili insieme al taglio del 21% delle emissioni. Infine risparmi energetici del 9% al 2016. Di tutto questo non se ne rinviene traccia, nelle decisioni assunte dal Ministero dello Sviluppo Economico. Un dicastero cui sfugge che la crisi economica ha rimescolato le carte a livello globale. Gli Stati Uniti hanno “stracciato” il G-8 e optato per il G-20 con riconoscimento esplicito delle economie emergenti. Dal 1992 e dopo 5 secoli di centralità dell’Atlantico nel flusso merci il Mediterraneo è ritornato a essere cerniera tra Oriente e Occidente. E area strategica per il futuro dell’Italia.
Tutto questo rinvia a considerare le risorse inutilizzate presenti nel Mezzogiorno congiuntamente alla importanza di quel canale navigabile che è l’Adriatico. Le perforazioni e le indagini sismiche, sul medio e basso Adriatico, dovrebbero tenere conto del dato quantitativo che riguarda le risorse certe (sviluppate e non sviluppate) e le risorse non accertate (probabili, possibili). Dai dati del ministero dello Sviluppo economico guidato da Claudio Scajola risulta che le riserve recuperabili (certe, probabili e possibili) ammontano a 170 miliardi di metri cubi di gas di cui 116 accertati (65% in mare) e 106 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 61 accertati (6,3% in mare). Il 50% di riserve di gas sono concentrate nell’Alto Adriatico.
Ottimisticamente i fondali marini abruzzesi e pugliesi dovrebbero contenere risorse recuperabili di gas pari al 17% (30 miliardi di mc), che coprirebbero il fabbisogno italiano per 4 mesi! Gli strumenti che consentono la verifica della presenza d’idrocarburi sono le indagini sismiche con la tecnica dell’air gun (generazione di potenti onde sonore che in mare viaggiano a velocità 4 volte più grande che nell’aria, arrivando a chilometri di distanza). La tecnica produce, tra le altre cose, una diminuzione del pescato intorno al 50 per cento in un raggio di 70 chilometri. Inoltre sono molto danneggiate le capacità uditive dei pesci che utilizzano il suono per la ricerca di prede o per trovare esemplari per l’accoppiamento.
Delfini e tartarughe spiaggiano spesso a causa proprio dell’utilizzo dell’air gun. Incidentalmente va detto che l’Adriatico è la zona più produttiva del Mediterraneo. Nel 1993 il Gesamp un consorzio che studia l’inquinamento marino in collaborazione con l’Unesco, la Fao, le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale della sanità, ha stimato che un tipico pozzo esplorativo scarichi fra le 30 e le 120 tonnellate di rifiuti speciali durante l’arco della sua breve vita (Report 1993). Si stima che le attività estrattive ed esplorative offshore ogni anno immettano nel mare Mediterraneo circa 300mila tonnellate di petrolio (Danovaro-Chemistry and Ecology).
Fenomeno infine da valutare è la subsidenza dell’Adriatico. Da tali evidenze emergono alcune domande. Perché sono state vietate (intesa tra Regione Veneto e ministero) le attività di ricerca nell’Alto Adriatico (50% di risorse recuperabili) e in particolare nel Golfo di Venezia fino alla verifica dell’esclusione dei rischi di subsidenza? La situazione abruzzese e pugliese in termini di stabilità morfologica dei fondali marini sull’erosione della costa è forse diversa? Perché le norme di riferimento applicate sono quelle della nazionalità della società che effettua la ricerca?
Negli Usa e in molti Paesi dell’Occidente la distanza per le ricerche, 5 km (Abruzzo) e 9 km (Puglia) sono vietate. Sulla zona atlantica degli Stati Uniti il limite è pari a ben 160 km dalla costa! Il motivo? Proteggere turismo e pesca! Il futuro è alle spalle del ministro dello Sviluppo e dimostrato dall’affermazione che bisogna valorizzare le risorse interne d’idrocarburi.
Da Paese delle bellezze paesaggistiche da difendere insieme al turismo ai “magliari” che consentono ai petrolieri stranieri di trivellare il nostro splendido mare. Il beneficio? Nullo! Giacché le royalties sono le più basse del mondo. Di converso, il il danno alle attività turistiche, alla riconversione energetica e alle risorse ittiche è estremamente rilevante.
di Erasmo Venosi
da il quotidiano Terra