Furono tre giorni di pace, amore, libertà. L’alba della speranza di una “rivoluzione” iniziata e mai ultimata.
Il popolo di Woodstock 50 anni fa cercava nella musica la liberazione dalle regole imposte dalla società. Un evento sconvolgente, irriverente, anticonformista. Prese tutti, uomini, donne, giovani di tutte le età, liberi di amare, di cantare e soprattutto di trasgredire.
da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese
WOODSTOCK – Il raduno avvenne a Woodstock, nel 1969, una collina nella località di Bethel, nei pressi di White Lake, nello Stato di New York. Tre giorni di musica che ospitarono il festival rock “Woodstock Music end Art Fair” con la esibizione di artisti come Jimi Hendrix, Janis Joplin, gli Who, Crosby Stills Nash & Young, Jefferson Airplane, Santana, Joe Cocker e i massimi esponenti musicali del momento.
Woodstock e la Contea di Sullivan furono “invase” pacificamente già dalla fine del mese di luglio, da decine di migliaia di persone, soprattutto giovani provenienti da ogni angolo degli Stati Uniti. Tutti a partecipare a quello che poi è risultato essere stato il più grande evento e il più grande raduno di tutti i tempi di musica Rock. Un movimento di persone, che successivamente fu ribattezzato Woodstock Nation.
Negli anni successivi anche se ci sono stati grandi raduni che hanno cercato di “imitare” quello di Woodstock, pur assumendo nuove forme e pur avendo sempre lo scopo di aggregare i giovani intorno alla musica per cercare di dare forza e spessore a ideali o battaglie sociali, o alla pace all’amore e alla libertà, non hanno mai avuto lo stesso slancio e la stessa spinta emotiva che fu di quei tre giorni indimenticabili, che hanno segnato intere generazioni, sia quelle che l’hanno vissuta e condivisa, che le altre invece che ne hanno respinto avversandolo quel periodo e quelle forme di proteste insolitamente pacifiche.
Gli artisti che si alternarono sul palco ormai sono un mito, sono noti a tutti, da Jimi Hendrix agli Who, da Joan Baez a Crosby, Stills & Nash, passando per Janis Joplin,Grateful Dead e Jefferson Airplane. Pochi sanno, però, che a organizzare quell’evento di portata epocale furono essenzialmente quattro giovani, Michael Lang, John Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld e tutto sommato coetanei delle rock star che si esibivano. L’anno successivo Michael Wadleigh, realizzò il film che fece conoscere al resto del mondo Woodstock. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, non sono stati ancora perdonati i grandi assenti di allora: i Beatles, Bob Dylan e altri che per quello che rappresentavano avrebbero dovuto esserci.
In Italia il riverbero di quel grande evento si ebbe gli anni successivi e con l’uscita e il successo del film, anche perché i nostri discografici erano ancora intenti a sostenere i “melodici”, con il rock non avevano grande dimestichezza. Oltre ai discografici nemmeno gli organi di stampa diedero rilievo a quella che fu una vera e propria rivoluzione e di Woodstock nessuno ne parlava.
Erano gli anni sessanta, un decennio di benessere economico ma soprattutto di conquiste sociali che segnarono la storia del mondo. Proprio in quel decennio dal 15 al 17 di agosto, giusto 50 anni fa si è tenuto l’irripetibile festival di Woodstock.
Woodstock, con oltre 500mila presenze, fu il più grande successo che oscurò tutte le manifestazione musicale precedenti. Era sicuramente l’inizio di una nuova era che fece sognare e sperare milioni di giovani di tutto il mondo, fu l’inizio di una rivoluzione che metteva al centro l’amore, la pace, la libertà. Una rivoluzione di musica iniziata e mai ultimata.
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Il profilo di alcune rock star e alcuni brani significativi
Richie Havens (Freedom)
Viveva a Woodstock, non aveva problemi a raggiungere l’affollatissima location del concerto e così, venerdì 15 agosto 1969, fu il primo artista a salire sul palco aprendo la serata inaugurale del festival dedicata al folk. Con la chitarra acustica dalla accordatura aperta, la voce profonda e quella «Freedom» improvvisata alla fine dell’esibizione ne lasciò il segno.
Joan Baez (We shall overcome)
Con Dylan e ancora prima di Dylan (già dal 1960) fu la portabandiera della rinascita folk dei Sixties. A Woodstock celebrò il marito finito in carcere per diserzione, portò ballate struggenti come «Sweet Sir Galahad», dedicò la sarcastica «Drug Store Truck Drivin’ Man» dei Byrds a un certo Ronald Reagan, governatore proibizionista della California, e aprì a un futuro di speranza con l’intramontabile “We shall overcome”, divenuto inno del folk Made in Usa.
Santana (Soul Sacrifice)
Al momento dell’esibizione a Woodstock il loro album d’esordio non era ancora uscito. A imporre Carlos e soci, una band di perfetti sconosciuti messicani, fu Bill Graham, proprietario del leggendario Fillmore East, che dovette minacciare l’organizzazione per introdurre Santana. La storia della musica gli ha dato ragione. La prova esclusivamente di chitarra si chiama «Soul Sacrifice».
Creedence Clearwater Revival (Born on the Bayou)
A Woodstock c’era anche la band dei fratelli Fogerty, con bestseller internazionali di singoli come “Proud Mary” e “Have you ever seen the rain”. Per loro un set molto “tirato” aperto dalla ruvida “Born on the Bayou” e giunto al culmine con il riff tagliente e sensuale di “Susie Q”.
Janis Joplin (Work me Lord)
Sacerdotessa e di lì a poco martire del rock americano anni Sessanta, Janis Joplin fu oscurata dal film e dagli album di Woodstock per questione di diritti e case discografiche. Sul palco, alle prese con un’esibizione ad alto tasso di blues, alcol e… spirito maternalistico nei confronti del pubblico, dovette divertirsi non poco. E via con un’intensa versione di «Work me Lord».
Jefferson Airplane (Won’t you try)
Altra grande band della Bay Area di San Francisco, con la personalità forte della cantante Grace Slick e delle trame chitarristiche di Jorma Kaukonen. A Woodstock eseguirono buona parte dell’album «Volunteers», sorta di testo sacro dell’«altra» America che non si riconosceva nell’interventismo di Washington. Pubblico in visibilio per «Won’t you try».
Joe Cocker and the Grease Band (With a little help from my friends)
Sale sul palco da sconosciuto, scende con una lunga carriera davanti a sé. Epigono tardivo della scena blues britannica, Joe Cocker chiude il suo set a Woodstock con una cover della beatlesiana «With a little help from my friends» aromatizzata all’organo Hammond che fu una vera e propria ipnosi per il pubblico. Uno dei momenti più alti del festival, non c’è dubbio.
The Band (Tears of rage)
Anche loro erano di casa a Woodstock. Avevano casa. La leggendaria «Big Pink», residenza georgica della band canadese con annessa sala di incisione dove improvvisava con mastro Bob Dylan, sorgeva infatti proprio nella cittadina dello Stato di New York. Si dice che gli organizzatori scritturarono Robetson e soci nella speranza che Bob Dylan volesse poi partecipare, Dylan, non si presentò anche se la sua Band c ne evocò lo spirito attraverso alcune cover tra cui “Tears of rage”.
Crosby, Stills & Nash (Suite: Judy Blue Eyes)
Per il più grande gruppo della storia, Woodstock era la seconda esibizione dal vivo della sua storia. L’ex Byrd David Crosby, l’ex Buffalo Springfield Stephen Stills e l’ex Hollie Graham Nash salirono sul palco sommessamente, lanciarono quasi distratti la loro «Suite: Judy Blue Eyes» e il mondo seppe che da tre voci e due chitarre potevano uscire fuori armonie non meno intriganti che da un quartetto d’archi. Nel finale si unì a loro Neil Young.
Jimi Hendrix (The Star Spangled Banner) esibizione cult
La star di Woostock per eccellenza si presentò e sul palco improvvisò. La sua band, gli Experience, non esisteva più. Jimi allora si affidò al batterista Mitch Mitchell, al bassista Billy Cox, a un chitarrista ritmico e a due percussionisti per quella che sarebbe stata la prima e ultima esibizione di Gipsy Sun and Rainbows. Suonò lunedì 18 agosto all’alba, restavano ad ascoltarlo quarantamila spettatori a fronte dei cinquecentomila delle altre serate. Quelli che andarono via si persero la sua versione dell’inno americano, “The Star Spangled Banner”, avrebbe spostato più in là il confine tra ciò che nella musica popolare è o non è lecito.
Paul Butterfield Blues Band (Drifting Blues)
Con la sua armonica, bianco ma con la voce da nero, band interrazziale, con un repertorio pieno di pezzi tradizionali e arrangiamenti Paul Butterfield era in forma al festival di Woodstock, spalleggiato dal chitarrista Mike Bloomfield, restituisce con Drifting Blues, tutta la carica emotiva della loro performance.
A 50 anni da Woodstock oggi 15 agosto 2019
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Woodstock è stata una tappa fondamentale per le libertà fondamentali. E’ stato anche il momento in cui i giovani, pur attraverso la musica, hanno fatto capire al mondo che c’erano, che non era tutto perduto, che avevano anche loro qualche cosa da dire. Purtroppo questo sogno, non ha trovato ancora una realtà, ed è stato travolto dalla società distratta, consumistica, prevaricatrice. L’amore per la vita, il rispetto per l’uomo, l’esaltazione delle libertà, il valore della pace, sono ancora sogni e spesso vengono turbati da brutti sogni e dal risveglio ancora più brutto.
@Un sognatore
dopo quei momenti di grande esaltazione dove veramente si è creduto che il mondo stesse cambiando, tutta quella generazione di “figli dei fiori”, pacifisti, anarchici, ecc. che fine hanno fatto? Erano loro che dovevano cambiare il mondo ed invece il mondo ha cambiato loro. Molti di questi sono entrati nel Sistema e si sono adeguati, si sono piegati, ed hanno ripetuto gli stesi errori di coloro che contestavano. Solo pochi sparuti individui, facilmente isolabili, hanno mantenuto vivo questo spirito e lo hanno fatto o isolandosi dalla società vivendo in un mondo utopico o dando un contributo, seppur minimo, al cambiamento (che non c’è stato perché fagocitato dal potere prevalente).
E allora cosa resta di tutto questo? Solo un bel ricordo ed il rimorso di aver perso una grande occasione.
Certo che le cose dovrebbero essere andate diversamente se molti del movimento del 68 non si vendevano al miglior offerente .Per noi settantenni per chi ci ha creduto veramente è stata una grande delusione. é stata una bella occasione e forse unica. Una rivoluzione a metà. Resta l’orgoglio di averne fatto parte e che tutte le lotte non sono state vane ,i valori di libertà ,di pace e fratellanza sono conquiste indelebili nel tempo.